Referendum e riforme
Referendum su autonomia differenziata e premierato, per rilanciare la democrazia servono proposte nuove
Editoriali - di Roberto Rampi

La stagione politica che si apre in Italia avrà come cuore il referendum sulle sedicenti autonomia differenziata e premierato. Si annuncia un ampio fronte del no. Che può essere la premessa ad una alternativa politica alle destre al governo. Può esserlo. Ma sarebbe importante scegliere gli argomenti con cui contrastare queste pseudo riforme. E anche il taglio culturale che si vuole dare a questa campagna politica. Perché sia una campagna progressista e non conservatrice. Che affermi la necessità di cambiare il Paese. Di rilanciare la democrazia. Di ripensarne le forme. Che colga la crisi e non difenda lo status quo. Che riconosca che non funziona più quasi nulla nella situazione attuale. Ma non per questo si può accettare una modifica quale che sia, che anzi può persino peggiorare la condizione già comatosa delle nostre istituzioni.
I progressisti nella storia sono stati i più convinti sostenitori del valore dell’autonomia contro il conservatorismo centralista. Le autonomie locali, il regionalismo, l’autonomia scolastica, la riforma del titolo quinto. Per il principio di sinistra della differenza che produce uguaglianza. Per il valore di non fare parti uguali tra diseguali. È proprio contro questo accordicchio al ribasso che vuole dare a un pezzetto di Lega, in nome della nostalgia una bandierina da sventolare che dietro al titolo di autonomia differenziata nasconde una mistificazione, un abbozzo di centralismo regionale, senza risorse e senza poteri. Laddove una riforma del sistema delle autonomie, un riordino dei poteri, un ripensamento anche creativo sarebbe quantomai necessario. Unire e ridurre il numero dei comuni potenziando però il decentramento, definire una volta per tutte le province rimaste nel limbo, ripensare le regioni dentro un necessario quadro europeo che superi il modello degli stati nazionali.
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Lo stesso vale per la forma di governo: separare i poteri tra esecutivo e legislativo è la condizione per rilanciare il Parlamento, soffocato da decreti e voti di fiducia. Ma il pasticcio inutile di una sorta di indicazione vincolante per il presidente della Repubblica sul presidente del Consiglio da incaricare non risolve alcun problema. Altra cosa sarebbe introdurre la sfiducia costruttiva e garantire poteri di gestione al governo, dando così al Parlamento uno spazio politico sulla prospettiva che ha perso da tempo, anch’esso da inquadrare in un innovativo rapporto con le istituzioni europee e il percorso di necessaria politicizzazione di queste.
Perché tutto questo si concretizzi servirebbe forse accompagnare al no referendario una proposta. Magari passando da quella di eleggere un comitato costituente, con un mandato di due anni, sganciato dagli impegni di governo, di maggioranza e di opposizione, eletto con un proporzionale puro, che consegni una proposta riformatrice complessiva da sottoporre direttamente a un referendum popolare confermativo. Per andare avanti e dire sì al cambiamento.