La mossa dei figli
Strage di via D’Amelio, i figli di Borsellino contro Presidenza del Consiglio e Viminale: responsabili civili del depistaggio
Cronaca - di Redazione
I tre figli del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta il 19 luglio 1992, si scagliano contro quelle stesse istituzioni che abbandonarono il padre.
Così Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino nel corso dell’udienza preliminare tenuta questa mattina nel processo a carico di Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, i quattro poliziotti accusati di depistaggio in relazione alle indagini sulla morte del giudice, oltre a chiedere la costituzione di parte civile, hanno sollecitato la citazione come responsabile civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministro dell’Interno.
Stessa richiesta avanzata, attraverso il legale, dal fratello del magistrato, Salvatore, fondatore del movimento delle Agende rosse.
“Continuiamo il nostro impegno in ogni sede e in ogni ambito alla ricerca della verità. Fiducia nelle istituzioni e nella magistratura in particolare. Questa ulteriore appendice sul depistaggio che nasce dal troncone principale costituisce una parentesi importante rispetto al coinvolgimento in quella stagione stragista, sullo sfondo, comunque, di uno scenario che sembra coinvolgere numerosi altri livelli istituzionali”, ha spiegato Fabio Trizzino, marito e legale di Lucia Borsellino, a margine dell’udienza tenuta a Caltanissetta. Il gup si è riservato di decidere e ha fissato la prossima udienza per il 19 settembre.
Lo “scenario” è quello del processo ai quattro agenti che facevano parte del pool investigativo “Falcone Borsellino”, guidato dal dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002) e che si occupò delle prime indagini sulla strage di via D’Amelio e che soprattutto gestì la collaborazione con la giustizia di Vincenzo Scarantino, indotto a rendere false dichiarazioni sull’attentato sottoponendolo a minacce, maltrattamenti e pressioni psicologiche (vicende che hanno visto prescritti l’ex dirigente Mario Bò e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo)
Da testimoni i quattro agenti oggi alla sbarra sono diventati imputati, a processo per depistaggio per aver dichiarato il falso deponendo come testi nel corso del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
Troppi i “non ricordo” pronunciati dai quattro agenti, con i giudici del tribunale nisseno che avevano deciso di mandare i verbali delle loro deposizioni in Procura al termine del processo per il depistaggio che ha visto imputati Bò, Mattei e Ribaudo.