Testimonianza in Commissione
Incontro segreto tra Borsellino e Mori, Scarpinato sapeva: “Il Pm voleva far arrestare Giammanco”
Nuova sconvolgente testimonianza dell’avvocato della famiglia in commissione parlamentare antimafia: “Organizzò l’incontro con i Ros il 25 giugno 1992 perché aveva scoperto qualcosa di tremendo sul procuratore Giammanco. Circostanze così gravi da convincerlo che il suo capo fosse un infedele”
Giustizia - di Paolo Comi
“Borsellino voleva arrestare l’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco (morto nel 2018, ndr) o fare arrestare Giammanco. Borsellino ha organizzato un incontro segreto con l’allora colonnello del Ros dei carabinieri Mori e il capitano De Donno, il 25 giugno del 1992, perché aveva scoperto qualcosa di tremendo sul conto del suo capo. Si parla contrasti e circostanze talmente gravi che lo hanno convinto che quel suo capo era un infedele”. E’ quanto affermato ieri dall’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del magistrato ucciso a Palermo 31 anni fa, davanti alla Commissione parlamentare antimafia.
Una testimonianza sconvolgente che apre scenari inediti su quanto accadde nell’estate del 1992 nella Procura del capoluogo siciliano, da Borsellino definita “un nido di vipere”. Dell’incontro fra Borsellino ed gli ufficiali del Ros, avvenuto presso la Stazione carabinieri di Carini, era a conoscenza Roberto Scarpinato, a quel tempo magistrato della Procura di Palermo. Scarpinato, ora senatore del M5S e ieri presente a Palazzo San Macuto, era stato “destinatario di una confidenza di Borsellino ed è Scarpinato a dircelo”, ha aggiunto Trizzino, marito di Lucia Borsellino, primogenita del magistrato ucciso nella strage di via D’Amelio.
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L’incontro sarebbe stato rapido e Borsellino andrò dritto al punto dicendo ai carabinieri che avrebbe voluto approfondire l’inchiesta su appalti e mafia, aggiungendo che dovevano parlare soltanto a lui. Trizzino, sul punto, ha anche citato l’audizione di Maria Falcone, davanti al Csm in cui, nel trigesimo della morte del fratello Giovanni, aveva riferito di tale circostanza. La testimonianza di Trizzino, iniziata la settimana scorsa, ieri ha vissuto momenti di grande tensione. “Ho un conflitto di interessi, ma di tipo emotivo”, ha precisato Trizzino, ricordando ai siciliani che il motivo per cui ci hanno messo 30 anni per fare l’autostrada Palermo-Messina “sta nel rapporto mafia-appalti dove è condensato il sistema di cointeressenza tra aziende della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, e le società del gruppo Ferruzzi (all’epoca gestite da Raul Gardini, morto suicida nel 1993 durante l’inchiesta Tangentopoli, ndr)”. Un cointeressenza che sarà replicata nella speculazione di Pizzo Sella, a Palermo.
L’avvocato della famiglia Borsellino ha poi ricordato cosa disse all’epoca il suocero a Maria Falcone, che chiedeva insieme con Alfredo Morvillo i motivi per cui il fratello Giovanni avesse dovuto lasciare Palermo: “State calmi perché sto scoprendo cose tremende”.
Non poteva mancare nell’audizione un passaggio su Totò Riina, il capo dei capi, il quale decise “la strategia di attacco che costituì la super ‘cosa’ che vedeva coinvolti gli uomini che misero a punto le stragi tra cui Matteo Messina Denaro. Riina se ne assunse in proprio la responsabilità di via D’Amelio, si comportò da vero dittatore”.
Un paio di settimane prima di morire, ha proseguito Trizzino, a Casa Professa a Palermo Borsellino lasciò ai posteri il suo testamento spirituale, firmando al tempo stesso la sua condanna a morte, dicendo: “Io sono testimone e so cose che devo riferire all’autorità giudiziaria”. “Molti collaboratori di giustizia ci dicono che lì Borsellino si sovraespose”, ha ricordato Trizzino, lasciandosi quindi andare ad un duro sfogo: “Non viviamo più: in questa situazione è del tutto impossibile l’elaborazione del lutto per noi. I familiari vogliono cercare la verità per una questione di dignità e di impegno. Le nuove generazioni della famiglia anziché cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi nella ricerca della verità che non è semplice”.
Prima di concludere, Trizzino ha rivolto l’invito alla Commissione di chiedere “all’autorità giudiziaria le annotazioni del diario di Giovanni Falcone che non sono 14 ma 39″. Nelle annotazioni, Falcone “si lamenta del fatto che in riferimento al rapporto mafia-appalti i fedelissimi di Giammanco affermino che quel rapporto era carta straccia”. Si tratta di annotazioni “di cui il popolo italiano non ha avuto mai disponibilità”.