Il conflitto Russia-Ucraina
Vertice in Svizzera è un flop: solo USA, Russia e Cina possono fermare la guerra
Il conflitto russo-ucraino si è ormai tramutato in una più allargata contesa tra il Nord e il Sud globale. Non si avanza nella soluzione diplomatica senza una convergenza fra tre dei pilastri dell’attuale sistema policentrico
Editoriali - di Michele Prospero
Se la diplomazia diventa anch’essa uno strumento di guerra, un incontro come quello di Lucerna, che si è svolto senza neanche aver concordato un temporaneo cessate il fuoco e con il nemico nemmeno presente al tavolo, si rivela come un pretesto per continuare il conflitto. Non a caso il raduno svizzero seguiva di pochi giorni gli accordi bilaterali tra Kiev e Washington in virtù dei quali gli Usa si impegnano a stanziare altri fondi per la prosecuzione a tempo indeterminato dello scontro militare. La convinzione delle cancellerie occidentali è che Mosca si trova in grave difficoltà: l’indebolimento del dominio dei cieli, a seguito della disponibilità di nuovi ordigni autorizzati a colpire il suolo russo, la renderebbe vulnerabile; le sue armate si sarebbero impantanate nella conquista di ulteriori spazi e per giunta il dispotismo russo soffrirebbe di un isolamento che lo relega ancor più ai margini negli affari internazionali. Questi postulati, al solito, mescolano situazioni effettive del teatro bellico e costruzioni ideologiche tutte da calibrare.
Sarà anche sull’orlo della disfatta, e però la solitudine di Putin è un dato equivoco. Tra i novantadue governi accorsi in Svizzera a testimoniare comprensione per la causa della sovranità ucraina violata, ben dodici hanno negato la sottoscrizione del documento finale che insisteva sull’integrità territoriale di Kiev. E si tratta di Paesi cruciali: l’India, il Brasile, l’Indonesia, il Messico, il Sudafrica, persino gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Se ad essi si aggiunge il peso del grande assente, la Cina, si coglie come gli Stati che rappresentano la maggioranza della popolazione (nonché una vasta porzione del Pil) del mondo siano cauti e tutt’altro che ostili a Mosca. Il conflitto russo-ucraino si è ormai tramutato in una più allargata contesa tra il Nord e il Sud globale, e ampio è il ventaglio delle nazioni che riconoscono Mosca come un interlocutore per la edificazione di un nuovo ordine mondiale aperto e plurale.
Per questo motivo il diversivo svizzero registra un fallimento. Zelensky incassa il sostegno di Meloni, ma su di lui incombe l’incognita del novembre americano e la dissoluzione della più recente versione dell’asse franco-tedesco reinterpretato in chiave muscolare da Macron e Scholz. Anche Putin deve vedersela con una faticosa guerra d’attrito che spegne le velleità di resuscitare un’antica grande potenza. I duellanti devono essere indotti a negoziare. La governance ancora possibile entro un mondo così disordinato, se non può accettare la provocatoria richiesta di una capitolazione dell’invaso, neanche può consentire il prolungamento di una guerra infinita per ottenere “la vittoria” nelle trincee. Gli Stati più influenti devono imporre, ricorrendo alla loro forza persuasiva (economico-militare), la via della trattativa come occasione per siglare un compromesso durevole.
Le garanzie per la sicurezza reciproca dei belligeranti prevedono una mediazione che, oltre alle assicurazioni circa il potere sovrano e il territorio dell’Ucraina, escluda l’appartenenza di Kiev alla Nato (perché i missili all’Avana destano scandalo, mentre quelli che “abbaiano” verso Mosca sono tollerabili?) e inventi forme originali di autonomia per le regioni ora occupate con la cosiddetta “operazione speciale”. La coalizione di Lucerna, abbozzata da Zelensky nel segno di un logoro marketing delle relazioni internazionali, ha fatto cilecca anche per la stanchezza delle opinioni pubbliche dinanzi ai troppi morti in battaglia e ai costi di un’economia di guerra. Non si avanza nella soluzione diplomatica senza una forte triangolazione che includa Russia, Cina e Stati Uniti. Al di fuori di questa convergenza fra tre dei pilastri dell’attuale sistema policentrico, il limite del giugno 2025, ipotizzato dagli osservatori come la data ultima per la chiusura del fronte orientale, è destinato a slittare nuovamente. In un quadro divenuto multipolare per anarchia, e sempre più destabilizzato per mancanza di un centro di direzione, il silenzio delle armi in Europa è la prima condizione per scongiurare il baratro.