Il focus

Francesco De Pasquale, della Ong WHH: “Il vero dramma del Mali è la crisi umanitaria”

L'accesso ai beni di prima necessità per la popolazione, un contesto di guerra e di svolta autoritaria, lo sfruttamento delle risorse minerarie ed energetiche, la sfida geopolitica e l'importanza del Sahel per l'Italia e l'Europa. Il nostro approfondimento sul Mali con Francesco De Pasquale, Country Director della Ong tedesca Welthungerhilfe (WHH)

Esteri - di Andrea Aversa

10 Giugno 2024 alle 13:10 - Ultimo agg. 10 Giugno 2024 alle 15:53

Condividi l'articolo

Francesco De Pasquale, della Ong WHH: “Il vero dramma del Mali è la crisi umanitaria”

Il Sahel è una regione africana di estrema importanza per l’Europa e soprattutto per l’Italia, ha vissuto cinque colpi di Stato negli ultimi quattro anni: due in Mali (2020 e 2021), due in Burkina Faso (2022) e uno in Niger (2023). Da un punto di vista delle risorse energetiche, del fenomeno delle migrazioni e della sfida geopolitica tra lUnione Europea, la Cina, la Russia e la Turchia, paesi come Burkina Faso, Mali Niger, hanno un ruolo fondamentale per gli interessi nostrani e per quelli di Roma, in quanto capitale di un Paese al centro del Mediterraneo. Tutto ciò, senza considerare i continui e attuali tumulti che hanno portato, all’affermarsi di giunte militari, all’allontanamento dall’Occidente, alla fuoriuscita dalla Comunità Economica degli Stati dell’africa Occidentale (ECOWAS) – per istituire l’Aes (l’Alleanza degli stati del Sahel) – e all’aggravarsi delle crisi umanitarie. Inoltre, non è da sottovalutare il pericolo jihadista, visto che le missioni internazionali messe in campo dalla Francia prima e dall’Onu poi, non sono state in grado di arginare l’avanzata dei gruppi islamisti come lo JNIM Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (collettivo di sostegno per l’Islam e i musulmani legato ad Al Qaida) e l’EIGSEtat islamique au Grand Sahara (che noi definiamo generalmente ‘Stato Islamico‘).

La crisi del Sahel: approfondimento sul Mali

Anche se esistono ancora oggi dei forti legami con alcune potenze occidentali, come la Germania e proprio l’Italia, sono evidenti le responsabilità europee nell’aver valutato in malo modo le relazioni con questi paesi. È probabile che i popoli e i governanti dell’Aes abbiano dato impulso al loro processo di autodeterminazione, sfuggendo al presunto pregiudizio di superiorità che l’Occidente avrebbe avuto nei loro confronti. In questo contesto in continua mutazione, abbiamo cercato di approfondire la situazione del Mali. A Bamako l’attuale giunta ha esteso il periodo della transizione governativa, interdicendo i partiti dallo scenario pubblico e politico. La svolta autoritaria è stata palese. Nonostante lo stop agli accordi di Algeri, la maggioranza dei gruppi ‘ribelli’ indipendentisti del Nord sono stati ormai assimilati a gruppi terroristi. Il processo di riconciliazione è rallentato dalle forti e radicate differenze etniche e culturali presenti nel Paese.

Crisi umanitaria, risorse energetiche, sfida geopolitica e dittatura militare

Ma il vero allarme è dato dalla crisi umanitaria e alimentare (e del settore dell’educazione) che prevalentemente sta colpendo le fasce più deboli della popolazione, soprattutto i bambini. L’augurio è che dopo l’esito delle ultime elezioni Europee, il nuovo Parlamento e la futura Commissione Europea, mettano al centro della propria agenda politica l’Africa, con tutte le sue problematiche e potenzialità, trattando alla pari i propri interlocutori e cercando di bilanciare il rapporto tra gli interessi comunitari e le esigenze umanitarie di milioni di cittadini che al momento stanno vivendo un vero e proprio dramma. Abbiamo parlato di tutto questo con Francesco De Pasquale, Country Director della Ong tedesca Welthungerhilfe (WHH).

Intervista a Francesco De Pasquale della Ong WHH

Di cosa si occupa l’Ong Welthungerhilfe in Mali e qual è il suo ruolo?
L’Ong Welthungerhilfe (WHH) è tra le più grandi ONG tedesche, indipendente dal punto di vista politico e religioso, impegnata dal 1962 nella lotta contro la fame nel mondo. Infatti, il nostro obiettivo globale è ‘Zero hunger wherever we work’. Abbiamo dunque un focus preciso sulla lotta contro la fame nel mondo. Per darle un’idea dell’impatto del nostro lavoro, nel 2022 WHH ha supportato quasi 19 milioni di persone in 37 paesi del mondo. Io ricopro la funzione di Country Director per WHH in Mali e sono pertanto responsabile di tutte le attività dell’organizzazione nel paese. In Mali, la complessità del contesto richiede degli interventi articolati per rispondere ai bisogni crescenti della popolazione. WHH è un’organizzazione che in gergo definiamo ‘a doppio mandato’, il che significa che lavoriamo sia con interventi umanitari – cioè rispondendo ai bisogni immediati della popolazione che possono essere dettati dal conflitto, dalla fuga della popolazione o da shock climatici – sia con interventi di resilienza e sviluppo – cioè lavorando sulle problematiche strutturali del paese con interventi a medio-lungo termine. Le nostre operazioni si concentrano dunque sull’assistenza umanitaria, la sicurezza alimentare, lo sviluppo economico, l’agricoltura e l’ambiente, con un’attenzione particolare al ruolo delle donne e dei giovani“.

In questo contesto il vostro lavoro, le vostre attività sono diventate più complesse?
Il contesto umanitario in Mali continua ad essere caratterizzato da una crisi complessa derivante da una situazione di sicurezza instabile, esacerbata da fattori di vulnerabilità strutturale e cambiamenti climatici. Circa 7,1 milioni di persone, ovvero il 32% della popolazione attuale, hanno bisogno di aiuto umanitario e di protezione. La situazione è particolarmente grave nelle aree colpite dal conflitto, al centro e al nord, dove le problematiche di accesso (la capacità degli attori umanitari di raggiungere le persone colpite da una crisi, così come la capacità della popolazione colpita di accedere all’assistenza umanitaria), e i movimenti della popolazione esacerbano le vulnerabilità preesistenti. Nel 2024, si stima che siano necessari circa 701,6 milioni di dollari per consentire di fornire assistenza a 4,1 milioni di persone. In questo contesto, la realizzazione delle nostre attività è diventata certamente più complessa. L’intensificarsi del conflitto richiede uno sforzo ulteriore in termini organizzativi e operazionali per tutelare l’incolumità del nostro staff e delle comunità che intendiamo assistere. Il rispetto dei principi umanitari d’imparzialità, neutralità e indipendenza, ancora permettono a WHH e alla comunità umanitaria di operare nelle zone più toccate dal conflitto. È assolutamente importante operare nel rispetto di questi principi – ai quali aggiungerei quello della trasparenza – e di intervenire esclusivamente in base a criteri di vulnerabilità; nessun altro fattore deve influenzare il modo in cui il nostro team opera, perché potrebbe costituire un elemento di rischio. A una complessità strutturale si aggiunge il problema della disponibilità dei fondi. Nonostante i bisogni della popolazione siano in crescita, le organizzazioni umanitarie si ritrovano ad avere sempre meno finanziamenti disponibili per rispondere a tali bisogni. Questo è certamente dovuto al moltiplicarsi delle crisi nel mondo (Gaza, Ucraina, Sudan, etc.) ma anche alla tendenza secondo cui le scelte politiche del governo maliano influenzano la volontà dei donatori di finanziare attività di assistenza umanitaria o di sviluppo, perdendo dunque di vista quelli che sono i bisogni reali della popolazione“.

L’insicurezza alimentare è forse la piaga principale che attanaglia il Mali. In alcune zone del paese l’accesso all’acqua e al cibo è complesso per una discreta percentuale della popolazione. I cambiamenti climatici e il conflitto hanno causato gravi problemi alle coltivazioni e ai pascoli. Da questo punto di vista quali sono le prospettive?
In Mali c’è quella che io spesso definisco ‘la tempesta perfetta’ tra fame, povertà, mancanza di sviluppo economico e crescenti tensioni tra i vari gruppi etnici; governi instabili e conflitti violenti alimentati dalla minaccia terroristica (a partire dalla guerra nel in Libia e dal rovesciamento del presidente Gheddafi). In ultimo, ma non meno importante, le conseguenze dei cambiamenti climatici, che stanno causando un aumento di eventi meteorologici estremi come siccità e forti piogge, rendendo più difficile la produzione agricola. Come punto di partenza della riflessione, bisogna dire che il Mali è un Paese prettamente dedito all’agricoltura e all’allevamento. Pertanto, il cambiamento climatico ha un impatto immediato e diretto sull’economia del paese, sulla produzione e consumo di cibo così come sull’accesso all’acqua. Inoltre, rappresenta uno degli elementi chiave della tempesta perché è esso stesso uno dei fattori scatenanti del conflitto, in particolare di quelli intercomunitari tra comunità che praticano l’agricoltura e quelle che praticano l’allevamento, legato all’accesso alle risorse (acqua e terra). Le dinamiche del conflitto legato alla Jihad, a loro volta, spingono la popolazione ad abbandonare le proprie terre insieme ai loro averi, e a rifugiarsi nelle zone urbane e periurbane alla ricerca di sicurezza, mettendo sotto ulteriore pressione un sistema alimentare e i servizi sociali di base già incapace di soddisfare il fabbisogno minimo. Le prospettive per il 2024 sono purtroppo pessime. Si prevede che gli elementi sopracitati continueranno a mettere sotto pressione le popolazioni nel centro e nel nord del Paese, producendo la fuga della popolazione e influenzando negativamente le attività socioeconomiche (abbandono dei campi con calo della produzione agricola, furto di bestiame, danni/saccheggi dei raccolti). Secondo i dati raccolti, senza una risposta umanitaria adeguata, nel 2024, 2 milioni di persone non avranno accesso al cibo e ad altri bisogni alimentari di base, e 2 milioni e mezzo di bambini di età compresa tra 0 e 59 mesi a rischio di malnutrizione acuta verranno abbandonati al loro destino. I numeri sono purtroppo grandi e spesso c’è il rischio di essere incapaci di collegare un numero a un volto, a una vita. La fortuna di essere qui, mi aiuta a non dimenticare questi volti e mi ricorda quanto sia importante il lavoro che la comunità umanitaria sta facendo in un contesto così complesso“.

La sua opinione sul ‘Piano Mattei’ e del ruolo che ha e che dovrebbe avere l’Italia nelle relazioni con il Mali
Premetto che non ho competenze specifiche in materia e quindi, posso semplicemente esprimere quella che è la mia opinione personale. Ho provato grande stupore per la mancata partecipazione dei rappresentanti degli Stati del Sahel Centrale (Niger, Mali e Burkina Faso) alla conferenza di lancio del piano Mattei, in particolare considerando la loro posizione geografica strategica in relazione al tema migratorio. Trovo che il ‘Piano Mattei’, per quanto ambizioso negli obiettivi, segua un approccio sostanzialmente in controtendenza con la realtà e il posizionamento attuale della maggior parte dei paesi africani. La ragione della ‘rottura’ con l’occidente e la scelta di nuovi partner, è da ricercarsi proprio in quest’approccio top-down, un approccio in cui gli Stati africani sono trattati ancora come “stati di seconda categoria” e dove noi, ricchi e democratici stati occidentali, facciamo la ‘beneficenza’ senza tenere conto di quali siano (o possano essere) le loro priorità. Per esempio, il Governo del Mali negli anni scorsi ha lasciato sul tavolo delle negoziazioni decine di milioni di euro perché non si era sentito adeguatamente consultato nel processo di programmazione. E questo per affermare la propria sovranità anche a costo di lasciare scoperti finanziariamente alcuni servizi sociali di base. Questo esempio vuole mettere l’accento sull’importanza di un processo più inclusivo, di partenariati paritari e di scelte condivise. A giudicare dalla reazione di Moussa Faki, presidente dell’Unione Africana, riguardo il lancio del progetto, non sono certo che il Piano Mattei risponda a tali criteri“.

Il Mali, l’Europa e l’Ong WHH: le foto gentilmente concesse da Welthungerhilfe

10 Giugno 2024

Condividi l'articolo