Il partito di estrema destra

Alternative für Deutschland, chi sono i neonazisti tedeschi fino a ieri alleati di Salvini

L’identità contro il mondo globale, la nazione contro l’Europa, ma anche il liberismo sfrenato e le velleità di chi vorrebbe farne un polo conservatore e moderato. Che cosa c’è dietro l’ascesa dei nuovi nazi, scaricati persino da Le Pen

Editoriali - di Michele Prospero - 23 Maggio 2024

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Alternative für Deutschland, chi sono i neonazisti tedeschi fino a ieri alleati di Salvini

Mentre la fiamma di Giorgia si fonde con quella di Marine Le Pen per bruciare gli ultimi simboli della vecchia Europa (e mentre la stessa Le Pen rompe l’alleanza con i nazi tedeschi di Afd) un tribunale regionale tedesco prova a sbarrare la strada che da Colle Oppio conduce fino a Berlino.

L’esito della lunga crisi della forma democratica in Europa dipenderà molto dalla capacità di resistenza della Germania, che dopo le elezioni in Baviera e in Assia del 2023 ha mostrato i primi segni dell’avvenuto contagio.

La scorsa settimana il giudice di Münster ha avvalorato la classificazione – fornita dai servizi segreti – di Alternative für Deutschland come “caso sospetto” di partito di estrema destra.

Ciò comporta che rispetto all’AfD possano legittimamente applicarsi i dispositivi di controllo e di intelligence escogitati secondo le leggi per l’autodifesa di una “democrazia protetta”.

È sbagliato però aspettare che a neutralizzare il radicalismo conservatore provveda la sola mano coercitiva, sia pure armata dal diritto costituzionale. Servirebbe anche la politica per il contenimento di una forza che, comunque, è data adesso al di sotto del 20% che lambiva nelle settimane scorse.

Certo, dopo la sentenza tedesca, si spengono le tentazioni di alcuni ambienti democristiani di procedere allo sdoganamento dei nostalgici delle camicie brune, che stuzzicavano pur avendo conquistato solo un piccolo municipio della Turingia e un centro di 39mila abitanti in Sassonia.

Il guasto che le carte bollate non riparano è invece la fragilità che si è impadronita anche del sistema politico tedesco, quello cioè con più sopravvivenze nella mediazione della politica organizzata, e quindi sulla carta più attrezzato a rimanere immunizzato dalla semplificazione populista che avanza con pulsioni illiberali.

L’AfD non è nata su un impianto ideologico di tipo nostalgico-reazionario, ma raccogliendo i frutti di una dirompente campagna – analoga a quella altrettanto distruttiva orchestrata nel 2007 dal Corriere sulla “casta” – contro “ein politischer Kartell”, sigla con cui si puntava a cavalcare la disillusione lievitata dopo le lunghe esperienze di “Große Koalition”.

Nelle elezioni del 2021 i due maggiori partiti hanno racimolato appena il 49,8% dei voti, nel 2017 avevano il 53,4% e nelle precedenti il 67,2%.

La crisi sociale del 2008, il fenomeno migratorio ingigantitosi dopo l’accoglienza di oltre un milione di profughi siriani nel 2015, creavano degli estesi serbatoi di rabbia antipolitica che hanno trovato un sistema rappresentativo indebolito nella sua base di legittimazione e sostegno.

Da una rilevazione del 2019, condotta in occasione del 70° anniversario della Legge fondamentale, emergeva che il 50% degli interpellati – e il 95% dei sostenitori dell’AfD – credeva ad una rigenerazione che soltanto nuovi (anti)partiti al di fuori dei giochi avrebbero potuto garantire.

Uno dei maggiori scienziati politici tedeschi, Klaus von Beyme, ha sottolineato che all’erosione della democrazia contribuiva anche l’impatto che i talk show hanno esercitato nello sviamento delle opinioni effimere.

Nella cultura di massa, con le ospitate gestite da staff alla ricerca del “mostro” televisivo, le Tv inventano intellettuali spendibili (“un professore guadagna una vita propria nei media che non è in alcun modo identica alla sua reputazione nella comunità scientifica”).

I teatrini della videopolitica spengono il reale e attizzano lo spettacolo fasullo della personalizzazione. “La realtà si fonda sui fatti, e questi sono giudicati noiosi dai conduttori che interrompono spesso la discussione con l’osservazione: ‘Non vogliamo entrare nei dettagli ora’. Anche la selezione dei partecipanti al talk show svela che nel dibattito si cercano vivaci ‘rivoltosi’ e provocatori” (von Beyme).

In questo scenario di continua erosione delle strutture razionali, che alimentano le pratiche consensuali alla base del regime politico, è stata possibile l’ascesa della destra radicale.

La leadership della Merkel venne denunciata da un gruppo di economisti liberisti come responsabile di un tradimento della Volksgemeinschaft tedesca.

Rompendo l’identità nazional-popolare, il suo governo aveva destinato risorse ai rifugiati e, incrinando i valori tradizionali della famiglia, aveva aperto ai diritti civili e all’ideologia gender.

Più che lo schematismo basso vs. alto, comune a variegati movimenti anti-establishment, AfD maneggia l’urto frontale di tipo orizzontale noi vs. gli altri.

L’Europa viene sfidata in nome di un liberismo di marca identitario-culturale, che su linee etniche separa gli Stati laboriosi-produttivi dagli Stati consumatori-assistiti, i quali vengono considerati eticamente colpevoli per il loro debito eccessivo.

Se nelle politiche del 2013 AfD si arrestò ad un 4,7%, con il quale non superò la soglia di sbarramento per entrare in parlamento, le sue istanze euroscettiche, rinsaldate dalla protesta contro le politiche immorali di salvataggio della Grecia, trovarono maggiore ascolto nelle europee del 2014, che regalarono ad AfD il 7%.

Nel Bundestag la destra radicale è entrata come terzo partito (con il 10,4% nel 2021 e il 12,6% nel 2017) perché si è rivelata molto abile nell’arte dell’ambivalenza, riuscendo a mescolare le ricette antifiscali di un liberismo a portata del cittadino comune con i richiami ad un etno-populismo utile per edificare una fortezza identitaria.

Mentre gli altri soggetti populisti di solito ricorrono al traino di una leadership carismatica, AfD si presenta come un partito acefalo e assai litigioso.

Il suo insediamento è legato non alla figura di un capo, ma alla capacità di politicizzare una grande frattura: appassita quella originaria anti-euro, il movimento si è attrezzato per surriscaldare le nuove ansie (i richiedenti asilo, le invasioni islamiche in un clima da guerra di civiltà, le difficoltà economiche causate dalla “Zeitenwende” del 2022).

Con una agenda che vede l’accumulazione di sempre nuove tensioni, AfD ha esordito come esperimento volto a inventare un “partito popolare capitalista” (volkskapitalistische Partei), per approdare infine ad una declinazione ultranazionalista del “patriottismo solidale” (solidarischer Patriotismus).

La ricostruzione del suo radicalismo verbale registra l’impiego delle tecniche manipolatorie tipiche della “psicanalisi inversa”, orientata cioè non alla terapia ma alla riproduzione indeterminata del malessere.

Tutto ciò suggerisce a Fedor Ruhose di estrapolare una sorta di “ciclo stilistico AfD”, che consiste in tre momenti successivi e tra loro coordinati: “polarizzazione, scandalismo ed emotività”.

Attraverso questo circuito demagogico, l’AfD riesce a provocare e a mantenersi nello spazio pubblico manipolato sul piano unico della emotività.

La tattica dell’“innesco permanente” consente di inventare bolle di inimicizie reali o fittizie, di rafforzare sentimenti identificanti e di avviare pratiche di esclusione sulla scia della lotta contro la sostituzione etnica (“Bevölkerungsaustausch”).

Tra gli studiosi tedeschi non esiste una univoca posizione circa la natura effettiva di AfD. Alla luce delle rilevanti sfumature analitiche affiorate, Hubert Kleinert si chiede: “Si tratta di un partito nazional-conservatore, nazional-liberale, populista di destra o addirittura di un partito radicale di destra? È un partito di destra nuovo, ma democratico? Oppure è in definitiva qualcosa di completamente diverso?”.

Non manca tra gli specialisti, ma soprattutto tra i politici di centro, chi riconosce la possibilità di un adattamento di AfD che ne agevoli una svolta liberal-conservatrice, e così renda il partito idoneo ad affiancare i moderati al governo della Repubblica federale.

Il politologo Frank Decker adotta un atteggiamento più guardingo e ha sciolto i nodi ermeneutici scrivendo che “alcuni osservatori intendono evitare l’imbarazzo di classificare l’AfD come una forza populista di destra. Sulla scorta dei battibecchi che scoppiano nei vertici del partito, costoro sostengono che il movimento è formato da tre componenti in sostanza incompatibili: una prima economicamente liberale, una seconda nazional-conservatrice e una terza populista di destra. In questa lettura si nasconde un malinteso, perché le tre correnti in realtà non solo risultano del tutto compatibili tra di loro, ma in un certo senso sono anche in correlazione tra loro. Tutte e tre insieme costituiscono la ‘formula vincente’ programmatica ed elettorale dei nuovi partiti di destra”.

Ora che a Münster c’è un giudice che ha risolto in punto di diritto questioni politologiche controverse, l’errore sarebbe quello di non comprendere le ragioni sociali, politiche e culturali che hanno portato al declino l’Spd. La sua incapacità di coniugare pace e rappresentanza del lavoro, transizione ecologica e tutele salariali, rende la Germania un terreno minato.

Un elemento di rassicurazione, che lascia margini all’iniziativa politica democratica, viene dal fatto che il 73% degli intervistati nei sondaggi è fermo ed esclude l’idea stessa di poter prendere in considerazione un voto per il populismo di destra. Il gigante nero è dunque vulnerabile e può essere efficacemente contrastato.

23 Maggio 2024

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