Il fondatore di Wikileaks
Assange, sì al ricorso contro l’estradizione: l’Alta Corte apre uno spiraglio
Non infondate le argomentazioni della difesa sul timore di un processo non giusto negli Usa. Il co-fondatore di Wikileaks rischia fino a 175 anni di prigione per spionaggio. La moglie: “Per gli Stati uniti è il momento di rinunciare”
Esteri - di Angela Stella
Ieri l’Alta Corte di Londra ha concesso la possibilità di un ulteriore appello a Julian Assange contro l’estradizione negli Usa, riconoscendo come non infondate le argomentazioni della difesa del fondatore di WikiLeaks sul timore di un processo non giusto oltre oceano.
L’uomo è accusato di un presunto complotto per ottenere e divulgare informazioni riservate di difesa nazionale riguardanti la pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti sulle guerre in Afghanistan e in Iraq e sui crimini di guerra commessi durante i conflitti.
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In particolare sono le 17 accuse di spionaggio e un’accusa di uso improprio del computer, che lo espongono ad un massimo di 175 anni di prigione.
I pubblici ministeri americani sostengono che Assange, 52 anni, abbia incoraggiato e aiutato l’analista dell’intelligence dell’esercito americano Chelsea Manning a rubare dispacci diplomatici e file militari pubblicati da WikiLeaks, mettendo a rischio vite umane.
Il verdetto dei giudici d’appello – Victoria Sharp e Jeremy Johnson – non è entrato nel merito del ricorso, che sarà a questo punto dibattuto più avanti.
Tuttavia ha riaperto la partita dell’estradizione, dopo che già a marzo era stato introdotto un primo spiraglio con il rovesciamento del no secco opposto in primo grado dalla giustizia britannica all’istanza di ricorso della difesa.
Dopo la lettura del breve dispositivo, gli avvocati di Assange si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni sorridenti riecheggiavano anche da parte della moglie dell’ex primula rossa australiana, Stella Morris, da suo padre e fra i sostenitori radunati fuori dal palazzo di giustizia.
Il co-fondatore di WikiLeaks avrà ora “alcuni mesi” per preparare un nuovo “processo d’appello” con tutti i crismi, come precisa la Bbc. Ma, almeno per il momento, resta in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh, dove si trova da cinque anni.
Nel 2022 il governo britannico aveva emesso un ordine di estradizione nei suoi confronti, contro cui Assange aveva presentato un ricorso, poi respinto.
I suoi legali avevano nuovamente chiesto di poter fare appello contro l’ordine, e lo scorso marzo l’Alta Corte di Londra aveva stabilito che gli Stati Uniti avrebbero avuto tre settimane per fornire garanzie che, una volta estradato, Assange avrebbe potuto godere del Primo emendamento della Costituzione statunitense, che tutela la libertà di espressione, e che non avrebbe ricevuto trattamenti diversi non essendo cittadino statunitense.
L’Alta Corte aveva anche chiesto che, in caso di condanna, la pena non fosse una condanna a morte, prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange di violazione dell’Espionage Act del 1917, mai contestato in oltre un secolo a un giornalista.
I giudici Sharp e Johnson non hanno ritenuto evidentemente adeguate le presunte “rassicurazioni” messe sul piatto dagli avvocati del Dipartimento di Giustizia di Washington sui due punti sollevati dai difensori rispetto alla garanzia di un giusto processo negli Usa.
Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito, almeno verbalmente, che la pena capitale non sarebbe stata chiesta dalla pubblica accusa statunitense; mentre sul secondo punto si sono in effetti limitati a riconoscere ad Assange un vago diritto di fare istanza per ottenere la protezione del Primo Emendamento, pur in veste di cittadino australiano, rinviandone tuttavia la concessione concreta o meno alla futura pronuncia di “una Corte” d’oltreoceano.
I giudici hanno “preso la decisione giusta”. A dichiararlo è stata la moglie Stella: “Come famiglia siamo sollevati, ma fino a quando si potrà andare avanti così? Gli Stati Uniti dovrebbero rinunciare subito al caso. È il momento di farlo. Abbandonare questo vergognoso attacco ai giornalisti, alla stampa e al pubblico che va avanti da 14 anni. Questo caso è vergognoso, e sta facendo pagare un tributo enorme a Julian. L’amministrazione Biden avrebbe dovuto abbandonarlo fin dal primo giorno, ma ora è il momento giusto per farlo. Quindi, per favore, coloro che negli Stati Uniti hanno il potere di prendere una decisione, per favore abbandonate questo caso ora. Non lasciate che questa cosa vada avanti ancora a lungo”, ha concluso la donna.