La rubrica
La rivolta nelle università è un nuovo ‘68, ma forse non basta
In breve ad essere contestato è il nichilismo fondamentalista dell’Occidente, che si autoesalta nel suo predominio invadente. Fino a quando? Non stupisce la coazione a ripetere dei poteri, che non hanno imparato nulla… dal Sessantotto.
Editoriali - di Mario Capanna
Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica.
(S. Allende)
“Contestate e create”: con queste brevi parole uno dei miei maestri, Ludovico Geymonat, prestigioso filosofo della scienza (controrelatore alla mia tesi di laurea), si rivolse agli studenti di un liceo, che gli chiedevano quali insegnamenti potesse dare loro.
Contestate: nel senso che avete il diritto-dovere di sottoporre a vaglio critico tutte le conoscenze trasmesse dalle generazioni precedenti; create: non limitatevi a demolire, ma costruite la vostra visione del mondo, mettendo il vostro spirito a servizio del cambiamento.
Parole che si attagliano ai giovani d’oggi. Nell’Occidente, al di là e al di qua dell’oceano. Dopo il tempo del riflusso e del trionfo del “pensiero unico”, non era scontato che i giovani reagissero e si sollevassero a dire la loro, con la voce, ma anche con i propri corpi, diventati cartelli fisici di protesta, che non scappano di fronte alle forze di repressione.
Vengono in mente le parole di Mario Savio, uno dei dirigenti più noti del Sessantotto americano: “Arriva un momento in cui il funzionamento della macchina diventa così odioso, rende così disgustati, che non si può continuare a tenerla in moto, non si può neppure lasciarla funzionare senza reagire. E allora bisogna buttarsi contro la macchina con il proprio corpo, buttarsi sul motore e sulle ruote, sulle leve, su tutto l’apparato e fermarla”.
La vasta protesta nelle università americane, italiane, europee (la simultaneità delle mobilitazioni è un dato altamente significativo) trae sì origine dallo sdegno profondo per lo sterminio dei palestinesi a Gaza, ma va molto oltre e investe i presupposti stessi della cultura e della “civiltà” occidentale.
Ad essere contestati sono: la pretesa di continuare una egemonia neocoloniale e bellicista, non solo in Medioriente (con gli Usa come protervi protettori di Israele) ma anche nel contrasto preoccupante contro la Cina; la chiusura nei confronti del multipolarismo verso cui tende il mondo; un modello di sviluppo che ha determinato i mutamenti climatici, in grado di mettere a repentaglio il futuro stesso dell’umanità; il “benessere” per pochi (la società dell’1 per cento) e il presente e il futuro come incubo per moltitudini.
In breve: il nichilismo fondamentalista dell’Occidente, che si autoesalta nel suo predominio invadente. Fino a quando? Non stupisce la coazione a ripetere dei poteri, che non hanno imparato nulla… dal Sessantotto.
La sollevazione degli studenti americani (ma anche italiani, francesi ecc.) considerata solo come un problema di ordine pubblico: intervento massiccio della polizia e migliaia di arresti, compresi quelli di molti giovani ebrei democratici. Il lungimirante… Biden si è scagliato contro il “caos” (con gioia di Trump, pronto all’incasso politico).
Dalle università il risveglio dei giovani tende ad estendersi nelle società. Ne è sintomo il meeting europeo del movimento altermondialista, svoltosi di recente a Marsiglia, con la partecipazione di circa mille delegati, provenienti anche dai Paesi dell’Est.
Nell’anniversario del controvertice del G8 a Genova del 2001 e del Forum sociale europeo di Firenze del 2002, i temi affrontati sono stati: il cambiamento climatico, l’erosione continua dello stato sociale nel continente, il riarmo europeo e la guerra, l’avanzata delle destre.
A rinvigorirsi è l’idea portante: un altro mondo è possibile. Fermenti, certo, ancora impari rispetto alla bisogna, ma è rilevante che ci siano e tendano a svilupparsi. Il riaffiorare del pensiero critico e il fatto che le idee ricomincino a camminare sulle gambe dei giovani sono di solito una buona cosa.
Minoranze? Ovvio. È sempre così all’inizio dei grandi mutamenti storici. A dare l’assalto alla Bastiglia non fu la maggioranza del popolo francese, ma una sua esigua minoranza, capace poi di conquistare il Paese.
Mi inteneriscono i colleghi giornalisti che mi compulsano per sapere se, a mio giudizio, siamo di fronte a… un nuovo Sessantotto. A parte il fatto che la storia non si ripete, siamo dinanzi a un contesto internazionale molto diverso, sebbene con qualche tratto di similarità.
Ma: oggi il mondo sta bruciando, in mezzo a tensioni e pericoli ben più gravi rispetto a mezzo secolo fa, e un nuovo Sessantotto, posto per astratta ipotesi che si realizzasse, non basterebbe, dinanzi alle nuove, lancinanti contraddizioni.
È necessario qualcosa di più e di meglio di quanto accaduto allora. Che si verifichi dipende da noi. Noi tutti.