In vista delle europee

Perché Bossi ha attaccato Salvini, cosa c’è dietro le parole dell’ex leader della Lega

L’uscita di Bossi ha trasformato le elezioni del 9 giugno in un’ordalia. Che la sorte di Salvini dipendesse dall’esito di quelle elezioni era già chiaro. Ora ogni ponte alle spalle. Salvini appare però al momento senza alternative.

Politica - di David Romoli - 16 Aprile 2024

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Perché Bossi ha attaccato Salvini, cosa c’è dietro le parole dell’ex leader della Lega

La durissima uscita di Umberto Bossi contro Salvini era meno attesa e scontata di quanto possa sembrare. Da mesi la villa di Gemonio era meta di pellegrinaggi dei leghisti o ex leghisti che chiedevano al fondatore di intervenire. Bossi si era sempre negato. Non che il suo giudizio su Salvini fosse meno severo di quello di quanti lo esortavano e spingevano.

A frenarlo erano il dubbio di non farcela a rovesciare un leader che molti nella Lega continuano a considerare l’ultima ancòra di salvezza ma anche la paura di determinare una spaccatura esiziale per la Lega, un colpo di grazia.

Se alla fine Bossi si è deciso a emettere la scomunica è per diverse ragioni. La prima è l’approssimarsi delle europee, non solo per i rischi di tracollo che comportano ma anche perché corre sotto traccia un dissenso profondo sul posizionamento nella Ue.

I governatori e gli amministratori del nord hanno sempre visto il Carroccio come rappresentanza di interessi materiali e specifici, non di opinioni generali. Essere tagliati completamente fuori dalla possibilità di incidere sulle scelte di Bruxelles in nome della guerra santa contro la Ue non li convince e li spaventa.

Bossi, nonostante le pittoresche messe in scena sul Po negli anni del secessionismo, è sempre stato consapevole di quanto la forza della Lega riposi proprio su quegli interessi concretissimi che le scelte del leader rischiano oggi di ledere.

Il caso Zaia ha senza dubbio pesato. L’incapacità di difendere il governatore del Veneto anche a fronte di una offensiva di FdI il cui obiettivo conclamato è strappare alla Lega quella roccaforte lo ha rivelato impotente nelle trattative con l’alleata premier, ha reso difficilissimi i rapporti già logorati con Zaia e certamente deluso lo stesso Bossi.

L’elemento finale è il rinvio sempre più probabile dell’approvazione dell’autonomia differenziata. Quella riforma è il solo filo che vincola a Salvini, l’uomo del tentativo fallito di trasformare la Lega Nord in Lega nazionale, il partito del settentrione.

Il cedimento di fronte alla scelta della premier di posticipare l’approvazione dell’autonomia per paura di inimicarsi l’elettorato meridionale, ha fatto suonare campanelli d’allarme a distesa. E probabilmente ha irritato anche il padre dell’autonomia, Roberto Calderoli, l’unico rappresentante della vecchia guardia leghista ancora in campo.

L’uscita di Bossi ha trasformato le elezioni del 9 giugno in un’ordalia. Che la sorte di Salvini dipendesse dall’esito di quelle elezioni era già chiaro. Ora ogni ponte alle spalle. Salvini appare però al momento senza alternative.

Il candidato di Bossi, il ministro Giorgetti, ha tutte le doti necessarie per essere il volto governista della Lega, un po’ come Roberto Maroni nell’antico Carroccio, ma, anche in questo caso come Maroni, gli mancano quelle necessarie per la leadership di partito.

Fedriga, il governatore del Friuli che molti indicano come papabile nuovo leader, non è deciso a muovere un passo che potrebbe bruciarlo. La prospettiva di un direttorio sembra fatta apposta per amplificare le paure di quanti vedono ancora in Salvini l’ultima spiaggia.

La premier, infine, potrebbe scegliere di dargli una mano concedendo qualcosa: dal partito del nord ha da temere molto più che dagli urli inoffensivi di Salvini. Forse non solo lei. Certo il Bossi di oggi non è più quello che chiamava i neri “Bingo Bongo” o ricordava ai magistrati che “le pallottole costano poco” né è quello delle carnevalate sul Po. Ma la linea resta il progetto di Miglio: spaccare l’Italia una volta per tutte.

16 Aprile 2024

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