Il Capitano sempre più solo

Salvini è tornato quello del Papeete: fa una cosa e ne sbaglia due per la gioia della Meloni

Arruolandosi a fianco dell’orso moscovita, il leghista permette a Meloni e Von der Leyer di andare indisturbate a distribuire miliardi al despota d’Egitto

Politica - di Michele Prospero - 23 Marzo 2024

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Salvini è tornato quello del Papeete: fa una cosa e ne sbaglia due per la gioia della Meloni

È un Capitano solo e allo sbando quello che ha convocato tutti i leader della destra radicale europea a Roma. L’abbraccio in Aula con Giorgia Meloni, che intanto nascondeva la faccia sotto la giacca, ha svelato la esatta dimensione dell’ex leader non più padano: un partner minore che ha perso ogni rilevanza.

Le sue sparate sono rumori di fondo senza alcuna forza, e più egli va in escandescenza verbale più Giorgia Meloni lo bacia per la grazia ricevuta. Spargendo generose dichiarazioni d’amore verso gli autocrati che vincono le elezioni, l’inquieto Salvini crede di infilare chi guida il governo neroverde nei guai.

Neppure si accorge che le sue fughe vetero-lepeniste sono gradite proprio dalla premier, la quale, di fronte alla perdurante attrazione putiniana del ministro dei Trasporti, riesce a vendere ancora la favola, cui in verità credono solo Mieli e Padellaro, della statista di Colle Oppio come formidabile argine a una destra ancora più eversiva alle porte.

Dinanzi ad un’opposizione frantumata e con una porzione interna desiderosa di concordare un fatal inciucio, Palazzo Chigi intuisce che all’angolo si trovano i deputati leghisti, ridotti a dare battaglia sul terzo mandato dei presidenti di regione o a scaldarsi su faccende pittoresche.

Arruolandosi nel fronte orientale a fianco dell’orso moscovita, Salvini rappresenta il migliore sostegno di Meloni e permette a Giorgia e Ursula di viaggiare verso le Piramidi per distribuire miliardi al despota egiziano.

La condottiera dal volto mascherato può marciare diritta verso un’autocrazia legale perché i governi occidentali chiudono tutti e due gli occhi per accogliere la Patriota che sbaglia ma che intanto affibbia un bel ceffone al disertore Salvini.

Dopo il caldo rovinoso del Papeete a costui non riesce più una mossa. Il cocente colpo di sole lo ha disorientato e costretto a vagare perennemente alla ricerca di frescura. Al riparo sotto l’ombra di Giorgia, il Capitano trova l’agognato ristoro al salato prezzo però di perdere le incredule truppe, che ormai diffidano dell’abilità strategica di un segretario in scadenza.

In marcia spedita verso lo zero politico, Salvini raccatta il più grottesco tra i generali e lustra gli stivali ai cuori neri d’oltralpe perdendo nel contempo il supporto di tutti i governatori del Nord, i quali gli fanno sapere che hanno ben altro da fare che presentarsi all’adunata chiassosa dei ribelli sovranisti.

Il duro partito della terra padana è diventato il giocattolo guasto di un capo scottato nel mare d’agosto. L’astuto Bossi era riuscito a immunizzare il settentrione dall’onda post-missina inventando una pregiudiziale contro “la porcilaia fascista”.

La sua strumentale ostinazione costrinse il Cavaliere a siglare due distinti patti di coalizione: uno al Nord vergato solo con il Carroccio, l’altro al Sud stretto con la fiamma tricolore di Fini. Il Senatur ha condannato a lungo la destra nostalgica a starsene lontana dai luoghi presidiati da amministratori apprezzati come autentici “sindacalisti del Nord”. La testa ancora calda di Salvini ha stracciato il miracolo che un tempo è riuscito a Bossi e ora regala l’intera Italia settentrionale agli appetiti dei quadri addestrati a via della Scrofa.

Coltivando la pretesa assurda di essere ancora più destro dei feticisti del corpo della buonanima, di spacciarsi per ancor più nazionalista del “sovranista alimentare”, di esibire un machismo italico più muscolare di chi denuncia il “femmineo Macron” o brandisce la “sostituzione etnica”, il frastornato erede di Alberto da Giussano si appresta a chiudere metaforicamente la sede di via Bellerio, perché sin troppo acclarata è la sua condizione di subalternità.

Il regolamento dei conti, che è stato fissato con il congresso federale d’autunno, potrebbe giungere troppo tardi per salvare il partito più vecchio della Seconda Repubblica, il quale non dispone più di un leader credibile, di una organizzazione, di un progetto politico.

Non saranno certo i videomessaggi di una Le Pen che ha dato buca, o le formule incendiarie degli irriducibili lusitani giunti nei “Roma Studios” sulla Tiburtina, a restituire un senso alle abbronzate camicie verdi.

23 Marzo 2024

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