Ospite a Santa Cecilia

Intervista a Maria Duenas, la violinista prodigio: “Amo scoprire perché è stato composto un pezzo, quali emozioni ci sono dietro”

“La prima cosa che faccio quando inizio a preparare un pezzo è informarmi sulla sua origine. Scoprire perché è stato composto, quali emozioni ci sono dietro”

Interviste - di Angela Nocioni

10 Marzo 2024 alle 20:30

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Intervista a Maria Duenas, la violinista prodigio: “Amo scoprire perché è stato composto un pezzo, quali emozioni ci sono dietro”

Sembra una bambina in pasta di zucchero, di quelle in bilico sulla cima delle torte nuziali. I capelli neri raccolti, l’abito lungo bianco stretto in vita e quelle ballerine appena nascoste dall’ultima balza di tulle all’ingresso del palco.

Ma quando a passo sicuro arriva davanti all’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, guarda per lunghi secondi il direttore Stanislav Kochanovsky negli occhi e seria seria prende il violino in mano, insieme alla sua musica esplode la potenza della sua grazia.

È una delle migliori violiniste del mondo Maria Dueñas e pare non farci caso. Ha ventidue anni, è andalusa di Granada, allegra, soave. I critici di mezzo mondo lodano il suo dominio tecnico dello strumento e quel portamento regale al centro della scena.

Figlia di una professoressa di liceo e di un agente della Guardia civil. Chissà che quella disinvoltura e quella spensieratezza abbiano a che fare anche con la naturalezza con cui i genitori e le sorelle hanno lasciato Granada con lei per accompagnarla all’estero a studiare e per proteggerla.

Ha un violino storico, un Guarneri del 1736, prestato dalla Nippon Musical Foundation. È contesa dalle migliori accademie del mondo, tutte le orchestre vogliono come solista la violinista prodigio.

Com’è crescere con addosso l’etichetta della bambina prodigio: un peso, uno stimolo, un obbligo, una lusinga?
Uno stimolo è stato quando ero più piccola, il violino per me è una cosa naturale. Io sto bene quando suono, sento che arrivo ad esprimere i miei sentimenti forse meglio che con le parole, con più sfumature. Mi costa descrivermi, immagino sia meglio lo facciano gli altri, da fuori, che lo faccia il pubblico. La musica è stata una cosa naturale che è venuta da sé, non ho mai avuto obbligo o pressione. E nella mia vita non c’è solo il violino. Ho avuto un’adolescenza come tutti gli altri, una infanzia e una adolescenza nelle quali c’erano tante cose tra cui il violino.

A guardarla in concerto sembra felice.
Sì, lo sono. È un piacere puro sul palco condividere l’amore per la musica con il pubblico. Me lo ricordo il mio primo concerto, non avevo nemmeno idea di cosa fosse un violino, i miei non sono musicisti, ma ascoltavamo musica classica a casa. Mi ricordo che ero piccola, seduta in quella poltrona e rimasi incantata dal potere della musica. Io a ogni concerto suono per quel bambino, che forse c’è forse non c’è in sala. Il mio obiettivo è che ogni volta la musica arrivi al cuore di chi è venuto ad ascoltarmi.

Ha paura prima di entrare in scena?
No, ma bisogna ci siano molti fattori per non avere paura. Certo, il talento. La sicurezza però è un’altra cosa e arriva dal lavoro di preparazione, io godo a suonare, mi sento come se il violino fosse la mia anima. Questo violino qui è con me da più di dieci anni. Ho sviluppato una parte di me e una forma di suonare insieme a lui. So cosa può darmi, non ho bisogno di pensare.

Ha una routine prima del concerto?
Molto lavoro quotidiano, non solo suonando il violino, io analizzo la partitura, studio la vita del compositore, cerco di capire perché ha scritto quell’opera. La prima cosa che faccio quando inizio a preparare un pezzo è informarmi sulla sua origine. Scoprire perché è stato composto, quali emozioni ci sono dietro, mi aiuta a capire. Stanotte ho suonato il concerto per violino di Cajkovskij, lui ha avuto vita drammatica e bisogna affrontare il concerto avendo la vita di Cajkovskiji nella testa.

Ha un obiettivo?
Che la gente ascolti la mia musica e mi riconosca, senza bisogno di sapere che sono io a suonare. Credo mi manchi ancora un po’ di cammino, ma la strada è questa. Quando ho cominciato e ascoltavo antichi violinisti, io potevo sapere esattamente chi era al violino senza leggere la musica, ecco: io vorrei arrivare a quello, a che il pubblico senza vedermi mi riconosca. Arrivare a quel suono unico, riconoscibile, perché di una persona sola, che il pubblico ascolta e pensa, eccola, è lei a suonare, la riconosco.

A quanti anni ha cominciato?
A sei. Dopo quel concerto, quando per la prima volta sul palco ho visto il violino, ho detto: voglio suonarlo. E i miei me l’hanno lasciato studiare, m’hanno iscritto a una scuola, tutto molto naturale.

L’hai scelto lei a sei anni lo strumento, non i suoi genitori?
L’ho chiesto io, loro mi hanno appoggiato.

A otto anni debutta come solista d’orchestra a Granada…
Sì, è un po’ complicato perché io ho iniziato il conservatorio un po’ prima degli altri. A 7 anni, non a 12. Quindi quando l’ho finito il problema era che non potevo continuare a formarmi in Spagna, non potevo andare all’università perché avevo 11 anni. Ho partecipato a un concorso per l’assegnazione di una borsa di studio all’estero e così sono potuta andare all’Università della Musica di Dresda, e a 13 poi sono stata accettata come allieva del maestro Boris Kuschnir, favoloso, e ci siamo tutti trasferiti a Vienna. La vita è un intreccio. Oltre al talento, contano gli incontri, i musicisti, i professori, è una storia che si va formando.

Balla?
Un po’ sì. Vienna è molto tradizionale e lì quando andavo a scuola tutti gli adolescenti andavano a lezione di danza da salone. Sono andata anche io, quindi un po’ ballo, sì, i classici: valzer, fox trot, tango.

Scrive?
Sì, qualcosa, ma solo per me.

E compone musica?
Compongo io le cadenze delle opere che eseguo. E poi sì, scrivo musica. È un modo molto sincero di esprimere se stessi la musica, è onesta la musica.

10 Marzo 2024

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