La brigata di spie e giornali
Dossieraggio del Domani, così è finito il giornalismo d’inchiesta
L’inchiesta non è del giornalista, è di esponenti dello spionaggio, che poi imbeccano i giornalisti o addirittura lavorano su input dei giornali o dei giornalisti. Niente a che fare col giornalismo militante. Questo è giornalismo militare, in divisa.
Politica - di Piero Sansonetti

È una bruttissima storia questa dei dossier spionistico-giornalistici preparati per danneggiare, o sputtanare, o ricattare – non sappiamo – esponenti politici, o della finanza, o imprenditori, o personaggi genericamente vip.
Per la categoria dei giornalisti è una forte umiliazione e una valanga di fango. Perché? Per due ragioni. La prima è che uno scandalo di queste proporzioni – simile a quello della P2 del 1981, o addirittura allo scandalo Sifar del 1964 – viene tenuto sottotraccia da molti grandi giornali. Lo tengono sottotraccia per solidarietà coi colleghi. Sia coi colleghi inquisiti che con quelli che temono di poter finire inquisiti.
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La seconda ragione è che si rompe il velo su cos’è il famoso giornalismo d’inchiesta, che spesso viene sbandierato come il vero giornalismo perché fondato sul coraggio e sulla capacità di scoprire.
Chi da un po’ di tempo lavora nel giornalismo – come me e parecchi altri – in realtà già lo sapeva che il giornalismo d’inchiesta, oggi, non ha niente a che fare con quello che fu una trentina d’anni fa. Allora i giornalisti di inchiesta contrastavano il potere.
Indagavano, cercavano, parlavano con le persone, trovavano. Le inchieste, di solito, erano sociali. Non c’entravano niente con lo spionaggio. Oggi, a quanto pare, le inchieste dipendono dal potere.
L’inchiesta – cioè – non è del giornalista, è di esponenti dello spionaggio, che poi imbeccano i giornalisti o addirittura lavorano su input dei giornali o dei giornalisti. Niente a che fare col giornalismo militante. Questo è giornalismo militare, in divisa.
E per noi che facciamo i giornali è un grande problema. Perché è la credibilità dei giornali che viene colpita da questa inchiesta della magistratura perugina.
Diventa chiarissima una cosa che per la verità qualcuno già sapeva: il giornalismo giudiziario italiano è in gran parte del tutto dipendente o dalle procure o da pezzetti dei servizi segreti.
Che lo orientano, lo comandano, lo vezzeggiano o lo puniscono, non con lo scopo di far conoscere la verità, ma di far conoscere pezzetti di verità, molto parziali, e immersi nella fanghiglia dello zerosettismo.
Alla fine pagherà solo il sottufficiale della Finanza? È probabile. Le inchieste giudiziarie funzionano solo se possono contare sull’artiglieria del grande giornalismo. Sennò falliscono. E qui, vedrete, l’artiglieria lascerà le polveri bagnate.