Il caso del giornalista
Ferrara e Cappellini contro Assange: il campo largo del manettismo
Gli Stati Uniti chiedono l’estradizione di Assange per sbatterlo per sempre in una cella americana. Gli inglesi hanno dato il consenso, ma Assange ha presentato una serie di ricorsi, e in questi giorni si discute l’ultimo.
Esteri - di Redazione Web
I giudici inglesi hanno chiesto tempo. Decideranno solo nei prossimi giorni la sorte di Julian Assange, il giornalista australiano che ha scoperto e reso pubbliche le informazioni su diversi orrori commessi dagli americani in Iraq e in Afghanistan.
Per avere realizzato questo scoop, Assange è stato condannato in America a 175 anni di prigione e ora è detenuto a Londra in un carcere di massima sicurezza (da 5 anni, più sette trascorsi barricato nell’ambasciata dell’Ecuador). Gli Stati Uniti chiedono l’estradizione di Assange per sbatterlo per sempre in una cella americana.
Gli inglesi hanno dato il consenso, ma Assange ha presentato una serie di ricorsi, e in questi giorni si discute l’ultimo. Se sarà “no a Washington” si avvierà un processo che potrebbe portare alla sua liberazione. Se invece sarà sì a Washington, per Assange, che è malato di cuore, si prospetta l’ergastolo ma anche, probabilmente, una morte dietro le sbarre non troppo lontana.
Nell’attesa della sentenza in Italia c’è un certo silenzio. Tranne un paio di giornali, tra i quali questo, nessuno pensa che bisogna battersi per la libertà di informazione. Il silenzio è stato rotto ieri due articoli, uno di Giuliano Ferrara e uno di Stefano Cappellini, i quali si scagliano non contro persecutori di Assange ma contro Assange.
Dicono che è una spia e ha messo in difficoltà la Casa Bianca e va punito. E se la prendono coi giornali che avanzano una ragionevolissima somiglianza tra i caso Navalny e il caso Assange. Che in effetti non solo si somigliano parecchio, ma sono quasi uguali: la furia dei regimi contro i dissidenti.