17 maggio 1955
Palazzo crollato al Vomero: la strage di via Bonito, 9 morti e la scena nel film “Le mani sulla città”
Un palazzo piegato in due, una densa nube, le macerie e i soccorsi disperati. Il tragico crollo a Napoli negli anni de "Le Mani sulla città". Il resoconto dell'Unità dell'epoca: "Le pendici della collina vomerese sono ormai gremite di costruzioni, si utilizza anche il più piccolo e malsicuro fazzoletto di terra"
Archivio Unità - di Antonio Lamorte
Sentirono prima un rumore come di pietre scaricate da un camion e quindi un boato, l’aria riempirsi di polvere e calcinacci, una nube che lasciò un palazzo accartocciato e un bilancio tragico. A neanche un centinaio di metri dal punto in cui si è aperta la voragine la scorsa notte a Napoli, nel quartiere Vomero, il 17 maggio del 1955 crollò una palazzina di sei piani. A via Bonito. Nove i morti, sette operai, un architetto e un appaltatore. Un episodio rimasto nella storia della città, immortalato per sempre anche nel film capolavoro di Francesco Rosi, Le mani sulla città, che a quella strage si ispirò per la scena del crollo di un edificio in via Nuova Marina.
“Un edificio di cinque piani in via di ultimazione, sulla collina di San Martino al Vomero, è crollato stamane improvvisamente, seppellendo sotto la valanga delle macerie undici operai che da pochi minuti avevano iniziato il lavoro”, si leggeva nel primo resoconto sul posto dall’Unità in edicola mercoledì 18 maggio 1955. Dopo alcune ore di lavoro, di soccorsi dei vigili del fuoco, erano stati estratti dalle macerie i cadaveri di tre lavoratori, altri tre venivano portati all’Ospedale Pellegrini in condizioni disperate, gli altri risultavano dispersi.
La tragedia di via Bonito
“Recatisi sul posto qualche ora dopo la tremenda sciagura, siamo rimasti colpiti immediatamente da una scena inaspettata e di primo acchito inspiegabile. Il mucchio di macerie che si presentava ai nostri occhi era in uno spazio relativamente ristretto – un perimetro di 150 metri o poco più – ed era alto appena tre o quattro metri. La struttura di cemento armato dell’edificio non si era cioè abbattuta su di un lato, ma era stata come inghiottita da una voragine misteriosamente apertasi nelle fondamenta”, continuava il resoconto del quotidiano.
Stando ai testimoni oculari il crollo si era verificato intorno alle 7:30, quando un rumore fortissimo, “simile a quello prodotto dallo scarico di pietre da un camion”, si era ingigantito fino a diventare un boato e una nuvola di fumo aveva pervaso la scena. “Dopo qualche minuto, al posto delle snelle strutture in cemento armato era un mucchio di macerie contorte”. Alcuni testimoni videro il palazzo piagarsi in due e crollare su se stesso. Le prime ipotesi avanzavano la presenza di una caverna al di sotto delle fondamenta dell’edificio crollato.
Le mani sulla città di Napoli
Progettista dell’edificio era l’architetto Antonio Minorri, il palazzo era costruito dall’impresa dell’ingegnere Renato Rossi, per conto della cooperativa San Francesco. “Come si è detto, il terreno sul quale sorgeva l’edificio si trova ai margini di un pendio della collina di S. Martino, il punto più alto del quartiere Vomero, dove in questi ultimi anni si è intensificata l’attività edilizia e purtroppo non sempre secondo una linea che garantisse l’assoluto rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti. Le pendici della collina vomerese sono ormai gremite di costruzioni per le quali si utilizza anche il più piccolo e malsicuro fazzoletto di terra”.
La tragedia provocò profondo cordoglio e sincero sconcerto nella popolazione, l’agitazione delle sigle sindacali. L’articolo riportava il bilancio di 18 morti e 84 feriti nei cantieri napoletani fino a quel giorno di maggio di quell’anno 1955. Secondo quanto ricostruito dopo le indagini, i periti conclusero che a provocare la tragedia fu l’erronea costruzione della scala centrale dell’edificio, sostenuta da piccole travi di sostegno invece che da pilastri più solidi.