L'amaro cdm

Rimpatri e terzo mandato, Meloni sgrida i ministri ‘ribelli’ e attacca la Chiesa

Ira di Meloni contro la Chiesa, che per bocca di mons. Perego (Migrantes) dà uno schiaffo al governo: “L’accordo con l’Albania? Buttano in mare 625milioni perché non sanno fare accoglienza”

Politica - di David Romoli

16 Febbraio 2024 alle 09:30 - Ultimo agg. 16 Febbraio 2024 alle 09:54

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Rimpatri e terzo mandato, Meloni sgrida i ministri ‘ribelli’ e attacca la Chiesa

Al cdm si dovrebbe parlare essenzialmente d’agricoltura, con un’informativa del ministro Lollobrigida. Spunta in extremis un altro tema: la premier annuncia un’ “informativa”. Trattasi di eufemismo diplomatico.

Meloni più che informare vuole fare il contropelo ad alcuni ministri, una lavata di capo per non aver dato seguito agli accordi sui clandestini stretti con alcuni Paesi nei mesi scorsi. Proprio ieri il Senato ha ratificato l’accordo con l’Albania ed è arrivato, per una volta inatteso, un attacco a strettissimo giro della Cei, per bocca del presidente Cemi e Migrantes, monsignor Perego: “Si buttano a mare 673 milioni per l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza”.

Giorgia non se lo aspettava e l’ha presa male. Soprattutto non vuole che gli accordi producano solo critiche e attacchi senza portare, a suo parere per responsabilità dei ministri competenti, risultati nei soli termini che conosce e che le interessano: la blindatura dei confini.

Ma non è l’irritazione della presidente a tenere alta una inconfessata tensione. C’è un convitato di pietra nella riunione del cdm del quale non si parla ma che tutti sanno essere il vero problema: il terzo mandato per i governatori e i sindaci dei comuni oltre 15mila abitanti. L’ammissibilità dell’emendamento della Lega non è ancora certa, FdI mirava a risolvere tutto per via procedurale, dichiarando l’emendamento inammissibile.

Ma il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Balboni, pur essendo di FdI, non sembra avere intenzione di risolvere il problema accollandosi la responsabilità di una forzatura oltre i limiti dell’irregolarità: “Devo approfondire con gli uffici ma nascondersi dietro un dito è inutile: la questione è politica e mi auguro sia risolta a livello di vertici politici”.

Insomma non con un sotterfugio e neppure con un voto della Commissione che potrebbe sancire una rottura difficilmente rimarginabile ma con un’intesa da ricercarsi in un summit dei tre leader. Quando? Prima di giovedì prossimo, quando la commissione passerà ai voti sugli emendamenti. A quel punto non ci sarà più modo di salvare la situazione.

L’incendio, intanto, non accenna a scemare d’intensità. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Ciriani finge di aprire uno spiraglio ma solo per strappare quel rinvio che i Fratelli speravano di ottenere grazie all’inammissibilità dell’emendamento: “Per noi la questione non si pone ora. Se ne può discutere ma non con un blitz come questo emendamento”.

Se non ora quando? A Montecitorio, quando si discuterà il ddl in materia presentato sempre dalla Lega. Calma, gesso e per ora riponiamo la polemica nel cassetto. Poi però allo stesso Ciriani scappa un affondo che riapre subito il duello: “Zaia è un ottimo governatore ma sarebbe al quarto mandato e nessuno è eterno, neanche lui”.

Il non-eterno Zaia, che è poi il vero centro del problema perché se non ci fossero di mezzo il Veneto e l’ambizione tricolore di toglierlo alla Lega di terzo mandato a destra non parlerebbe nessuno, replica pacato: “Io oggi penso solo al bene dei veneti ma dire che col terzo mandato si creano centri di potere è offendere i cittadini”.

Replica anche Centinaio:Non bisogna impedire ai cittadini di decidere. In Parlamento ci sono persone da decenni e allora perché non anche governatori e sindaci non possono candidarsi se hanno governato bene”.

Queste sono schermaglie di rito ma sullo sfondo trapelano toni meno consueti e molto più allarmanti. Il vicesegretario Crippa fa filtrare sussurri sulla possibilità di una rappresaglia sul premierato in caso di bocciatura del terzo mandato. Poi smentisce, “Non giochiamo ai ricatti e non incitiamo allo stop sul premierato. Ma chi governa deve potersi ricandidare e sottoporsi al giudizio del popolo. Conta la democrazia non i tavoli romani”.

Una retromarcia a metà e comunque il segnale è stato lanciato. Il ministro Lollobrigida, dal canto suo, agita uno spettro minaccioso: “L’elettore del centrodestra vuole l’unità e punisce chi lavora per dividere. È già successo con gli attacchi di Fini a Berlusconi”.

Quando si dice un avvertimento neppure troppo nascosto. Ma la questione non si può risolvere a colpi di pizzini e minacce perché per la Lega perdere il Veneto è inconcepibile, e senza terzo mandato non ci sarebbe scampo, e per Meloni rinunciare alla conquista prima della roccaforte leghista, poi dell’intero nord è altrettanto impensabile.

Per una volta lo scontro è serio e altrettanto dicasi della spaccatura che si registra, forse per la prima volta così apertamente, nel Pd sullo stesso tema. Sindaci e governatori sono all’attacco, la minoranza di Base riformista dà loro man forte ma anche molti esponenti non d’opposizione ritengono che il terzo mandato metterebbe al sicuro tre delle regioni oggi governate dal Pd e a rischio di conquista da parte della destra: la Campania di De Luca, la Puglia di Emiliano e soprattutto l’Emilia rossa, che senza Bonaccini traballa.

Ma Elly punta i piedi, proprio per risolvere con un colpo di spada il nodo del potere esercitato dai governatori, soprattutto quelli del sud: l’unica vera forza che oggi la può tenere sulla corda nel partito.

Rischia grosso: la rottura con i poteri locali, in un partito come il Pd, è a dir poco sconsigliabile e se, in seguito alla sua scelta d’impero, le regioni oggi del Pd dovessero cadere nel 2025 a pagare un prezzo salatissimo sarebbe proprio lei.

16 Febbraio 2024

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