Le mozioni sul Medioriente
Schlein oscura Conte e si allinea a Tajani: col benestare della Meloni passa la mozione Pd sulla tregua
Sì della Camera al testo dem grazie all’astensione della maggioranza, complice la telefonata tra Elly e Giorgia. Felice di aver così oscurato Conte e di essersi allineata (vedi Tajani) agli Usa
Politica - di David Romoli
A comporre il numero di palazzo Chigi è stata ieri Elly Schlein, non una ma due volte: un primo colloquio molto rapido intorno alle 14, un secondo, quello decisivo e più lungo, poco dopo. La segretaria del Pd è reticente: “Cosa ci siamo dette? Ho chiesto al governo un’azione più incisiva”.
In realtà le due primedonne della politica italiana hanno parlato anche di questioni più immediate, le mozioni sul Medio Oriente che stavano per essere messe ai voti alla Camera. Il risultato si è visto poco dopo in aula, quando il viceministro degli Esteri Cirielli ha chiesto la riformulazione di alcune parti delle cinque mozioni distinte delle opposizioni, nel qual caso, nel voto su quelle parti, il governo si sarebbe “rimesso all’aula”.
La maggioranza si è così astenuta sul punto chiave della mozione del Pd, la richiesta di un “cessate il fuoco umanitario” a Gaza, accompagnata, ma non in modo vincolante, a quella della “liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi”.
Grazie all’astensione della maggioranza quella parte della mozione che vedeva la segretaria Schlein come prima firmataria è stata approvata. A illustrare il testo era stata la stessa Elly, unica leader a prendere la parola nel dibattito sulla crisi mediorientale alla Camera chiesto dallo stesso Pd.
Il risultato è per la segretaria del Pd un successo pieno e su tutti i fronti. “Siamo molto felici”, dichiara subito dopo il voto in transatlantico e si vede dal sorriso che è vero. Peppe Provenzano, che il testo lo ha scritto, è altrettanto soddisfatto: “Grazie al Pd l’Italia è tornata dalla parte giusta”.
Soddisfazione pienamente giustificata. Stavolta la leader del Pd ha fatto centro: è stata lei a volere il dibattito, a proporre tramite intervista sul Corriere della Sera la convergenza con Meloni in nome della pace e a gestire la partita sia in aula che dietro le quinte. Schlein ha giocato di fino: l’intervento in aula è stato molto netto e drastico ma non aggressivo e urlato come quello di Ricciardi per i 5S.
Il testo era invece calibrato sin nelle virgole, salomonico ma non ambiguo. Per evitare rischi, la segretaria ha presentato la mozione solo alla Camera e non al Senato, dove il suo gruppo è meno fidato e comunque ha sottoposto preventivamente il testo al vaglio dell’assemblea dei deputati.
Il successo è dunque pieno: nei rapporti con il governo, perché il Pd si accredita come la forza che ha spostato la linea dell’Italia a favore del “cessate il fuoco”, nella competizione con Conte, che aveva adottato una linea molto più urlata e muscolare, pensando di lucrare consensi in un popolo di sinistra che sul tema Gaza è estremamente sensibile, e nei rapporti interni al partito, essendo riuscita a tenere sotto controllo le ali più estreme sia filopalestinese che filoisraeliana portando però a casa un risultato tondo.
In realtà quando ieri ha composto il numero della premier la stessa Elly si aspettava di sbattere su un cancello blindato. In realtà i segni di uno spostamento del governo, però, c’erano stati già in mattinata, quando il ministro degli Esteri Tajani, filoisrealiano doc, aveva affermato forte e chiaro che la reazione di Israele è “sbagliata” e “sproporzionata sui civili”.
Dette da lui erano parole pesantissime. Meloni si è mostrata invece interlocutrice attenta e disponibile. Ha solo chiesto che la liberazione degli ostaggi venisse messa prima, nel testo, del cessate il fuoco umanitario.
La chiacchierata non si è limitata a Gaza e le due leader hanno parlato anche dell’Ucraina e della difficile situazione che si sta creando a Washington e dei rischi per la Nato. In realtà non è difficile comprendere le ragioni di questa svolta.
La premier italiana era e resta legata al carro di Joe Biden e lo spostamento vistoso dell’amministrazione di Washington non poteva lasciarla imperturbata. La formula dell’astensione sul quel passaggio della mozione del Pd le ha permesso di spostarsi, senza invertire la marcia e senza esporsi troppo personalmente.
Il motivo principale della scelta della premier, che di fatto ha reso possibile il risultato brillante della principale rivale, è questo. Ma è probabile che abbiano pesato anche altre considerazioni. L’opportunità di aprire per la prima volta un canale di comunicazione con il partito più importante dell’opposizione e la soddisfazione nella battuta d’arresto di Conte.
L’avvocato, con la popolarità che si era conquistato da premier ancora fresca e con doti comunicative e demagogiche innegabili, è considerato a Chigi molto più temibile di Elly, se e quando sarà il caso di giocare la partita dell’elezione diretta del premier. Ieri sera Schlein era alle stelle ma Meloni non era affatto scontenta.