L'ultimo erede al trono

Chi era Vittorio Emanuele IV, il non-re morto senza lasciare rimpianti

Se ne è andato a 87 anni Vittorio Emanuele IV di Savoia. Della sua biografia si ricorda solo quel colpo di carabina che costò la vita a un ragazzo tedesco di 19 anni. E poi le trame della madre - unica antifascista della famiglia - che tentò di farlo re (da bambino) per cacciare Mussolini

Editoriali - di David Romoli

4 Febbraio 2024 alle 14:00

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Chi era Vittorio Emanuele IV, il non-re morto senza lasciare rimpianti

Nipote di Vittorio Emanuele III, il re che spalanco le porte al fascismo e poi spalleggiò Mussolini fino a che il disastro che avevano provocato non fu troppo palese per nasconderselo, pronipote di Umberto I, il re delle stragi operai eseguite da Bava Beccaris, quello giustiziato dall’anarchico Gaetano Bresci nel 1900, Vittorio Emanuele IV, nei suoi 87 anni di vita, conclusi ieri, si è dimostrato degno delle tradizioni di famiglia.

La detronizzazione, per fortuna, gli ha impedito di fare altrettanti guai, in caso contrario, ci si può scommettere, non avrebbe mancato. Nel suo piccolo si è limitato, secondo ogni ricostruzione credibile e nonostante una dubbia assoluzione, ad ammazzare un ragazzo tedesco che dormiva in barca, Dirk Hamer, 19 anni.

Quella notte di fuoco è il culmine della poco scintillante biografia del monarca mancato, che per la verità forse al trono non sarebbe asceso comunque. Nella disputa per la successione, peraltro solo nominale che negli ultimi 18 anni lo ha visto incrociare metaforiche lame col cugino alla lontana Aimone di Savoia Aosta, il titolo di “capo di casa Savoia” è toccato infatti al più gagliardo e meno sfaccendato cuginastro, manager della Pirelli.

In quella notte fatale, all’Isola di Cavallo, qualcuno, forse un gruppo di ospiti del playboy italiano Nicky Pende, rubò per burla un regal gommone. L’erede aprì il fuoco, stando alla sorella della vittima, strillando “Italiani vi ammazzo tutti”.

Sparò due colpi, uno dei quali colpì Hamer che dormiva in una barca adiacente. Le prove, distrutte o gravemente inquinate portarono solo a una condanna per porto abusivo d’armi. Al telefono l’assolto se la rise di gusto: “Anche se avevo torto devo dire che li ho fregati. E’ davvero eccezionale: venti testimoni e si sono affacciate tante di quelle personalità importanti”. Quando si nasce Savoia… Lui lo nacque, e si vide.

Reprobo impenitente, l’assolto non mancò di prendersela con la sorella della vittima, che ha passato la vita reclamando giustizia, e con i giornali che lo trattavano da assassino nonostante la sentenza. Finì per essere condannato lui a due anni, con la condizionale per calunnia nei confronti della donna, ed Ezio Mauro, accusato di diffamazione, fu assolto con sentenza di Cassazione esplicita sui dubbi non cancellati dalla sentenza assolutoria.

Del resto l’uomo era abituato a furbate del genere: in esilio dal 1948 campava una vita tutt’altro che grama in veste di “intermediario d’affari” continuando a reclamare il trono e il ritorno in Italia. Nel 2002 la seconda richiesta fu accolta, a patto che rinunciasse alla prima, giurasse fedeltà alla Costituzione, di sfuggita si decidesse a criticare le leggi razziali del 1938, particolare che sino a quel momento gli era sfuggito, e rinunciasse a ogni pretesa.

Si impegnò. Giurò e promise. Poi nel 2007 chiese un risarcimento di 360 milioni di euro, spicciolo più spicciolo meno, per il doloroso esilio a lungo subìto. Tra i tanti guai giudiziari nei quali il non-re è incorso il più serio non è stato il colpo di carabina ma un’inchiesta del giudice Woodcock che lo inquisì nel 2006 per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e allo sfruttamento della prostituzione. Era un’inchiesta che faceva acqua da tutte le parti, gli costò un periodo (breve) di domiciliari commutato poi in divieto d’espatrio.

Il caso Vittorio Emanuele fu una sagra delle intercettazioni distribuite a pioggia ai giornali, che pubblicavano solerti. Sui capi d’accusa, in parte archiviati, in parte finti con piena assoluzione, non dicevano assolutamente niente queste intercettazioni. Ma permettevano favolosi pettegolezzi e tanta gogna.

Vittorio Emanuele era una persona orrenda? Può darsi, ma l’essere persone orrende non è reato penale. Nella selva di parole orribili pronunciate dal non-re che finirono sui giornali, peraltro, c’era anche la sola battuta di spirito riuscita che si conosca, commentando il divieto d’espatrio: “Ho aspettato 56 anni per rientrare in Italia e adesso non me la fanno più lasciare”.

Per certi versi la cosa migliore nella vita dell’appena scomparso è stata la madre, Maria Josè, la sola antifascista conclamata nella famiglia reale. Le trame, peraltro scombiccherate e bislacche, della moglie di Umberto II, a tutti gli effetti “l’ultimo re” anche se solo per pochi giorni, coinvolgevano il figlio ancora in culla.

Nel 1939 aveva in mente un golpe organizzato con due figure come Rodolfo Graziani e il capo della polizia Bocchino per detronizzare Vittorio Emanuele e sostituirlo con Umberto che però avrebbe subito abdicato in favore del pargolo. Non prima di aver messo alla porta il duce sostituendolo “con un antifascista”.

Ironia del caso, a muoversi in quella direzione sarebbe stato, cinque anni dopo, proprio Vittorio Emanuele III, certo senza formalizzarsi troppo sull’antifascismo del sostituto, nel caso specifico il maresciallo Badoglio.

La cospirazione abortì subito e il principe di Napoli, titolo assegnato al pargoletto in culla, mancò la prima e ultima occasione di diventare re. Non che qualcuno abbia mai rimpianto la fatale combinazione e del resto non solo l’erede al trono ma anche l’uomo non è che si lascino dietro molto da rimpiangere.

4 Febbraio 2024

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