Le riforme del Governo

Perché l’Italia è il paese dei condoni, così abbiamo inseguito la perfezione

Così la politica tenta di rimediare a un sistema parossisticamente concepito in vitro, a una legge calata dall’alto su una nazione incapace di recepirla

Giustizia - di Alberto Cisterna

21 Gennaio 2024 alle 10:30

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Perché l’Italia è il paese dei condoni, così abbiamo inseguito la perfezione

Forse dietro l’abolizione dell’abuso d’ufficio, l’introduzione annunciata dello scudo penale per i medici, la rimodulazione del traffico d’influenze, la stessa “legge-bavaglio” proposta dall’onorevole Costa, i condoni fiscali, le sanatorie edilizie, forse dietro tutto questo diritto d’eccezione stanno questioni più complesse con cui la nostra democrazia rifiuta far di conto.

Se la pubblica amministrazione è, spesso, una sequela interrotta di inefficienze e ritardi; se tanti sono alla continua ricerca di contatti e amicizie per sbrigare anche la più semplice delle pratiche amministrative; se la sanità barcolla pericolosamente per la mancanza di risorse adeguate; se vincoli paesaggisti, culturali, archeologici, idrogeologici, ambientali esasperano, rallentano, paralizzano la stessa riqualificazione urbanistica ed edilizia delle città; se un mare di risorse pubbliche, sotto forma di superbonus, anziché aiutare il recupero e la sanatoria degli immobili abusivi, dei mostri sulle coste, ha favorito i soli proprietari in regola con le concessioni (di solito i più agiati economicamente); se tutto questo accade, allora condoni, scudi, abrogazioni sono solo una sorta di nuova epifania dell’amnistia e dell’indulto penali.

Il modo attraverso cui la classe politica del paese tenta di porre rimedio a un sistema parossisticamente concepito in vitro come perfetto, a una legge calata dall’alto su una nazione incapace di recepirla, così come l’amnistia cancella reati impossibili da perseguire e l’indulto mitiga pene impossibili da far scontare.

Occorre, ovviamente, semplificare il discorso. Per decenni si è impadronita del paese una visione del mondo etica, gelida, una sorta di sovrastruttura ideologica che non ammetteva eccezioni e ha immaginato di dar corso in terra a un mondo perfetto, con regole minute, acribie punitive, prescrizioni capillari.

La profonda contaminazione della legislazione nazionale con le regole provenienti dalla normazione europea (e certo consone a paesi con ben altri standard di efficienza amministrativa) ha generato un pantheon di prescrizioni alle quali è difficile star dietro. Basterebbe solo la perenne incapacità delle pubbliche amministrazioni italiane nello spendere i fondi strutturali e – ora anche quelli del Pnrr – per rendersi conto che è progressivamente calata sul paese una cortina di ferro cui eravamo sostanzialmente impreparati.

Farragini istituzionali, clamorose inadeguatezze delle stesse norme costituzionali sull’assetto dei poteri pubblici, corruzione endemica in alcuni gangli di primo rilievo hanno generato uno scollamento quasi insanabile tra il paradiso delle regole e l’inferno delle realtà quotidiana.

A Caronte di questo incessante traghettamento da una sponda all’altra dello Stige si è necessariamente posta la magistratura (e, non solo quella penale, visto il peso fondamentale di quella amministrativa e contabile) con il compito di individuare i dannati che – colpiti casualmente dalle stimmate dell’aver violato i precetti – meritano di essere scacciati dal mondo ideale e di finire nelle fiamme infernali.

Un compito che, alla fine, ha inevitabilmente finito per assumere connotati etici e moralistici (come ricordava il compianto Sgubbi in “Diritto penale totale”) perché totalitaristica era l’impostazione politica e l’ispirazione religiosa che sono state per decenni sul ponte di comando della società italiana. Il reo è il reprobo perché contraddice l’etica della perfezione imposta dalle norme a prescindere dal loro contenuto e dalla loro applicabilità.

Può darsi – come un legalismo giustizialista afferma non senza solidi argomenti – che dietro abrogazioni, condoni, scudi ci sia solo il becero intento di placare le aspettative di segmenti cospicui dell’elettorato più esposto e più in balia nelle acque limacciose e torbide in cui amministrazione, politica, imprenditoria e professioni sono costrette a navigare. Acque minutamente presidiate da un ferreo, inflessibile, minuto diritto della “navigazione” che nessuno veramente vuole, ma che anche, spesso, nessuno può davvero rispettare fino in fondo.

E, allora, la scorciatoia è apparsa quella dell’abolizione, della riscrittura, della cancellazione, del perdonismo, della protezione. Quando, invece, una democrazia che purtroppo si professa liberale – e appare tale solo nei principi declamati, atteggiandosi come asfittica e coercitiva nelle sue regole – dovrebbe piuttosto mettere mano a una profonda risistemazione delle istituzioni tutte, abbandonando l’idea fallace e romantica che la Costituzione italiana (tolta il nocciolo duro dei principi fondamentali) possa davvero credersi la “più bella del mondo” e assegnando nuove fondamenta ideali a un paese che è cambiato profondamente e che quelle regole del 1947 palesemente non rispetta e/o elude persino in ciascuna delle Istituzioni che ne costituiscono l’espressione. Nessuna esclusa.

Il consenso che certe proposte e iniziative riscuotono non è soltanto la conseguenza di pericolose derive demagogiche e populistiche – se non addirittura clientelari – ma il precipitato di una diffusa insofferenza di strati cospicui della popolazione che, per un verso, vedono le istituzioni pubbliche agire fuori dai precetti che le regolano e, per altro, subiscono il peso di norme che li espongono a conseguenze pesanti in un contesto di palese inefficienza.

Se i sindaci denunciano la “paura della firma” che paralizza lo sviluppo, i medici ricorrono alla “medicina difensiva” che spreca risorse già esigue per non finire in ceppi sull’altare mediatico-giudiziario, abrogare e scudare è solo un palliativo.

L’Unione europea è pronta a bacchettarci dall’alto dei suoi enunciati e dei suoi principi, e lo farebbe a ragione a condizioni invariate. La politica appare giunta a una sorta di capolinea in cui sembra aver esaurito trucchi ed escamotage e se non vuole esacerbare gli animi del paese – pendolante periodicamente tra giustizialismo e perdonismo – deve porsi l’ambizioso obiettivo di riscrivere le regole della convivenza civile e istituzionale. Con realismo, però, «la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai» (Lc 10, 2).

21 Gennaio 2024

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