La rubrica
Liceo Tasso di Roma occupato, la repressione è la risposta più becera
Poiché una trentina di occupanti erano stati individuati, altri 170 si sono autodenunciati. Il preside Paolo Pedullà ha deciso, per tutti, la sospensione per dieci giorni più un bel 5 in condotta.
Editoriali - di Mario Capanna
Se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni.
(J. Ortega y Gasset)
Che le scuole e le università in Italia siano tornate nelle condizioni simili, se non peggiori, esistenti prima del Sessantotto , è un dato di fatto. I processi di restaurazione non perdonano. Una conferma, fra le tante, è fornita dalla reazione all’occupazione degli studenti del liceo Tasso a Roma.
Le cronache di questi giorni ne hanno parlato diffusamente, ma in modo superficiale. Gli obiettivi principali dei giovani erano: esame della riforma Valditara, della scuola ridotta ad “azienda”, l’introduzione di materie quali l’educazione sessuale e sentimentale, l’apertura di uno sportello contro la violenza e i femminicidi.
Poiché una trentina di occupanti erano stati individuati, altri 170 si sono autodenunciati. Il preside Paolo Pedullà ha deciso, per tutti, la sospensione per dieci giorni più un bel 5 in condotta. Entusiastica, non a caso, l’approvazione del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e del vicepremier Salvini. Sono scesi in ballo anche i genitori dei ragazzi, ovviamente divisi tra favorevoli e contrari. E pure gli insegnanti.
Tutta la vicenda indica questioni di fondo. In primo luogo: la scuola è, prioritariamente, a servizio degli studenti, non dei professori e dei presidi. Che gli allievi occupino l’istituto, con motivazioni innovative, può aprire una sana dialettica fra la scuola che conserva e la scuola che si apre sul mondo. Chi non capiva questo, nel Sessantotto lo definivamo “matusa” (con riferimento al patriarca antidiluviano Matusalemme…).
È chiaro – lo confesso – che io sono partigiano, nel senso che non sopporto quegli adulti che non si ricordano di quando avevano, loro!, 16 o 17 o 20 anni. E che non comprendono come gli studenti possono imparare, dall’occupazione della scuola per qualche giorno, più di quanto apprendono nell’intero anno scolastico.
La responsabilità, individuale e collettiva, dell’autogestione, il legame di solidarietà, lo studio autodeterminato, gli errori, che anch’essi insegnano, e il loro superamento, persino i momenti di “gioco”, il sapore della libertà creativa: sono tutte esperienze che fanno crescere, ben più delle ore passate fra banchi e cattedra.
Perciò la repressione è la risposta più becera. Al preside Pedullà, sperando che ritiri i provvedimenti, ricordo l’esempio di Daniele Mattalia, preside del liceo Parini di Milano, che nella primavera ’68 si rifiutò di chiamare la polizia per sgomberare gli occupanti, e per questo fu sospeso.
Due modi radicalmente diversi di esercitare l’autorità.