L'intervista all'attore
Povere creature, parla Willem Dafoe: “Un film che parla di liberazione”
L’attore celebra la regia di Lanthimos e si sofferma sulla storia di Bella, creatura femminile resuscitata dal dottor Baxter da lui interpretato: “Vent’anni fa un’opera così sarebbe stata accolta diversamente...”
Cinema - di Chiara Nicoletti
Dopo il trionfo all’ultima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia dove ha vinto, a furor di pubblico e critica, il Leone D’oro, Povere Creature, la nuova fatica del regista greco Yorgos Lanthimos sta finalmente per uscire in sala con Walt Disney Company Italia.
Dal 25 Gennaio potremo vedere al cinema il film in corsa per gli Oscar 2024 con protagonista Emma Stone, qui anche produttrice, nei panni di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita dal brillante e poco ortodosso scienziato Dr. Godwin Baxter (Willem Dafoe). Ormai italiano e cittadino romano, Dafoe ha incontrato la stampa al Cinema Barberini di Roma, non solo per raccontarci l’esperienza sul set insieme a Stone e Mark Ruffalo ma per fare un punto sulla sua eclettica carriera, riconosciuta mondialmente in questo gennaio con una stella sulla Walk of Fame di Hollywood.
Com’è stato lavorare con Yorgos Lanthimos ed Emma Stone?
Lanthimos è un regista che ha la capacità di creare mondi. Non ti dà indicazioni di regia, ti osserva, guarda quello che fai per poi apportare i suoi aggiustamenti. Visto che già si è impegnato molto nel creare quella realtà, sta a te metterla in scena. È riservato, parla molto poco e ti dirige prendendoti in giro, stuzzicandoti. Emma è fantastica, tutto era incentrato intorno a lei. Con Lanthimos hanno un rapporto speciale di grandissima vicinanza, ormai lei è come una musa per lui. È stato bellissimo vedere come interagiscono tra loro e stare con lei sul set. Noi eravamo lì a darle sostegno, non ha nessun atteggiamento da diva e ha grande talento, è stato un set molto felice, siamo stati molto bene.
Quanto è importante un regista per lei e il suo lavoro?
I registi per me sono estremamente importanti perché come attori è importante concedersi nelle mani di una persona che abbia una visione forte, chiara. E tu vai, ti muovi verso quella visione cercando di farla tua, abitarla. E non deve essere neanche necessariamente qualcosa che mi risulta subito chiaro ma deve essere un posto verso il quale vado e che cerco di trasformare per poi realizzare la vita interiore del personaggio. Questo mi piace del rapporto tra attore e regista.
Vede il suo Dr. Godwin Baxter anche un po’ come un mostro che gioca a creare esseri viventi?
Ovviamente questo film prende a prestito dalla storia di Frankenstein ma c’è differenza perché il mostro che quel dottore crea è un qualcosa che gli provoca repulsione, mentre nel nostro caso, della creatura da lui creata, il mio personaggio ne è quasi innamorato. A Bella lui sta dando una seconda chance, e dandola a lei, la sta dando a se stesso. Crede fortemente nella scienza e crede in una seconda vita. È vero che c’è la sensazione di qualcosa di non etico e non ortodosso, ma per lui è qualcosa di generoso e positivo.
Per cambiarle il viso nel film infinite ore di trucco: che esperienza è stata?
L’ho fatto in passato e lo rifarò in futuro, lavorare con una “maschera” sul viso ti permette di guardarti allo specchio e vederti sparire mentre emerge qualcun altro. Ti offre lo spazio per provare altri tipi di sentimenti e altri modi di essere. È il nucleo e il cuore del “fare finta di essere qualcun altro”. Non è comodo ma ne vale sempre la pena.
Viene da una famiglia di medici, quanto è stato importante questo suo background per interpretare il Dottor Baxter?
Forse così importante non lo è stato ma mi ha permesso di creare una relazione con questo film. Io sono cresciuto in continuo contatto con gli strumenti chirurgici perché spesso accompagnavo mio padre quando faceva il giro di visite e durante l’adolescenza facevo il portiere nella sua clinica. Sono stato vicino alla medicina, alla malattia, ai tentativi di tornare sani. Per la stragrande maggioranza delle persone, l’idea di doversi recare in ospedale fa paura invece per me è legato ad una specie di ritorno in famiglia, mi ispira fiducia.
In Povere Creature gli uomini non fanno una bella figura o una buona fine. Cosa si può fare per la salvezza degli uomini?
Quello che posso dire è che la rappresentazione degli uomini nel film è oppressiva nei confronti delle donne e sono sicuro che nel vederlo molti uomini si riconosceranno nei personaggi. Piuttosto, quello che viene mostrato nel film è la capacità di resistenza delle donne, anche dal punto di vista sessuale e forse questa è una delle ragioni per cui gli uomini hanno cercato di tenere le donne sottomesse per così tanto tempo. Siamo finalmente in un momento di turbinio e di cambiamento rispetto anche alla posizione delle donne nella società e non credo che vent’anni fa questo film sarebbe stato accolto così. Non so cosa possa salvare gli uomini, io faccio già fatica a salvare me stesso. Aggiungo però che questo film esprime una liberazione personale attiva ed è un qualcosa che noi vediamo attraverso gli occhi di una donna
Ferve il dibattito su sale e piattaforme, qual è la sua idea?
Non sono assolutamente una autorità in materia. Peraltro, quest’anno sono usciti numerosi bei film, alcuni finanziati dalle piattaforme di streaming. D’altra parte sostengo e continuo a credere nella visione di un film nelle sale cinematografiche e non per la dimensione dello schermo ma per l’impegno che una persona si assume nell’andare in un luogo neutrale e condividere la visione con degli sconosciuti. Lo trovo molto importante.
Ha finalmente ricevuto una Stella sulla Walk of Fame di Hollywood, cosa rappresenta?
È stata una bellissima cerimonia, perché si sono presentati degli amici e dei registi con cui ho lavorato. Pedro Pascal, con il quale avevo lavorato come attore e Patricia Arquette, con cui ho lavorato da regista, hanno tenuto dei discorsi meravigliosi e mi sono sentito parte di una comunità. Una sensazione che non si prova spesso soprattutto se come me partecipi a tanti progetti differenti, piccoli, grandi, internazionali, locali. La Walk of fame è universalmente riconosciuta come estremamente importante ma è anche difficile accettare l’idea che quella mattonella mi sopravviverà.
C’è un sogno, un progetto che vorrebbe tanto affrontare?
Ovviamente non posso rispondere a questa domanda perché ci sono sempre cose e progetti che vorrei fare ma questi riguardano persone, luoghi e proposte. Ho certamente dei desideri riguardo a dei progetti ma il processo di ricerca del personaggio è di gran lunga migliore dell’atto di esprimere una preferenza per un ruolo, che porta con sé un elemento di narcisismo. La bellezza è crearlo quel personaggio perché ti metti da parte e riesci a realizzare ed interpretare una vita che non è la tua.