Le testimonianze
La vita dietro le sbarre della piccola Katia: a due anni ha sempre vissuto in prigione
Oggi il carcere tende a fungere da deposito di disagi sociali per persone alle quali la politica non riesce a dare delle opportunità e una speranza. Eppure la tenuta della nostra civiltà si verifica proprio a partire da come vengono trattenute le persone nelle nostre carceri.
Editoriali - di Aboubakar Soumahoro
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” recita l’articolo 27 della Costituzione. Le 3 storie che condivido qui, che ho potuto raccogliere durante le mie visite ispettive parlamentari, sono racconti che dovrebbero interrogarci su come tutelare e promuovere il principio costituzionale dell’articolo 27.
La prima è quella di Katia (un nome di fantasia per tutelare la sua privacy) che mi ha detto con la voce spezzata e le lacrime agli occhi: “questa mia bambina di 2 anni, vive con me qui da detenuta da quando è nata”.
Mentre stringevo tra le braccia la bimba di Katia, ho pensato da padre e da politico, che è un fallimento per il nostro stato di diritto non riuscire a garantire a questa innocente creatura tutte le prerogative della vasta giurisprudenza dei minori, tanto più che “la responsabilità penale è personale”, come recita l’articolo 27.
La seconda storia è quella di Antonio che mi ha detto: “Onorevole, qui entriamo sani ma usciamo rotti”. Il carcere, nella sua concezione educativa come sancisce la nostra Costituzione, ha senso se riesce a correggere la disumanità di una persona senza per questo mortificarne l’umanità.
La terza storia riguarda Stephen che mi ha detto: “ho sbagliato e voglio saldare il mio debito con la giustizia, però viviamo ammazzati in condizioni disumane e senza riscaldamenti”. Questa testimonianza di Stephen trova conferma nei numeri citati dall’Associazione Antigone che, dopo aver visitato 76 carceri nel 2023, spiega: “ Il 31,4 per cento delle carceri visitate è stato costruito prima del 1940. La maggior parte di questi addirittura prima del 1900; nel 10,5 per cento degli istituti visitati non tutte le celle erano riscaldate; nel 60,5 c’erano celle dove non era garantita l’acqua calda per tutto il giorno e in ogni periodo dell’anno; nel 53,9 per cento degli istituti visitati c’erano celle senza doccia; nel 34,2 per cento degli istituti visitati non ci sono spazi per lavorazioni; nel 25 per cento non c’è una palestra, o non è funzionante. Infine nel 22,4 per cento non c’è un campo sportivo, o non è funzionante. Sono numeri che fotografano quindi una condizione delle carceri e della sua popolazione che è fatiscente, degradata e vicina al collasso totale; i suicidi in carcere sono stati 69 nel 2023, il secondo numero più alto dal 1992”.
Questa drammatica situazione degli istituti penitenziari in Italia è palesemente in contrasto con i valori della nostra Costituzione. Infatti ho incontrato molti detenuti, soprattutto immigrati che in alcuni istituti rappresentano il 60% della popolazione detenuta, in condizioni detentive drammatiche strutture sovraffollate, celle con l’acqua dal soffitto o con rifiuti, assenza o carenze della figura di mediatori linguistici e culturali, carenza di personale, bagni spesso malfunzionanti, mancanza di spazi comuni, assenza o scorso percorso di formazione, ecc…
Oggi il carcere tende a fungere da deposito di disagi sociali per persone alle quali la politica non riesce a dare delle opportunità e una speranza. Eppure la tenuta della nostra civiltà si verifica proprio a partire da come vengono trattenute le persone nelle nostre carceri. A tale proposito il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione diventa occasione per riconoscere alle persone detenute quella umanità che dovrebbe portare alla salvezza della nostra comunità.
*Deputato, scrittore e attivista per i diritti