Il reportage

Essere mamma in carcere, storie di donne e bambini in cella: “Privati dell’infanzia e del diritto di essere femmina”

Giustizia - di Rossella Grasso

17 Maggio 2023 alle 13:47 - Ultimo agg. 17 Maggio 2023 alle 13:54

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Essere mamma in carcere, storie di donne e bambini in cella: “Privati dell’infanzia e del diritto di essere femmina”

Secondo i dati del ministero della giustizia, il 31 marzo 2023 le donne nelle carceri italiane erano 2.477. Poco più del 4 per cento del totale della popolazione detenuta, una quota da sempre molto bassa che ha fatto immaginare il carcere prettamente al maschile. Ma per una donna la detenzione è una condizione assai differente. La sua condizione di donna rischia continuamente di essere snaturata, compreso il suo essere mamma. In Italia esistono gli Icam, Istituto di Custodia Attenuata, dove le mamme possono scontare la loro pena con i figli a seguito. Al 31 marzo 2023 il sistema penitenziario italiano conta 25 detenute madri con 28 bambini. Ventuno di loro, con 23 bambini al seguito, si trovano nei cinque Icam operativi. Una situazione che pone le donne dinanzi a una serie di difficoltà

Essere donna in carcere

Il carcere per una donna non è un’esperienza facile. “La detenzione al femminile è tutta di risulta”, ha detto Micaela Tosato tra le fondatrici di Sbarre di Zucchero, un gruppo di attiviste e attivisti che hanno deciso di mettere insieme le forze per divulgare e sensibilizzare tutti sul mondo del carcere soprattutto al femminile e sulla difesa dei diritti. Il sottotitolo del gruppo nato su Facebook ma presto diventato operativo de visu, è emblematico: “Quando il carcere è donna in un mondo di uomini”. Secondo Micaela che il carcere lo ha vissuto in prima persona, la detenzione al femminile è ‘di risulta’ sotto tanti punti di vista: “Innanzitutto in Italia esistono pochi istituti prettamente femminili – spiega – sono quasi tutti ricavati dal maschile, in spazi dunque ‘di risulta’. Per le donne viene fatto il minimo, persino le attività si fanno se avanzano dal maschile”. Micaela, che da mesi raccoglie le testimonianze sul carcere al femminile spiega che visto che le donne sono poche, per gli istituti mettere in piedi attività ad hoc non solo è più complicato ma ha costi anche solo organizzativi troppo elevati. E quindi non si fanno.

In carcere ho incontrato per la prima volta l’analfabetismo – continua Micaela – anche l’istruzione è poco o nulla. Eppure anche in carcere uomini e donne hanno gli stessi diritti e doveri”. Ma per donne e uomini la detenzione ha un peso diverso: “Non sai com’è lavarsi con l’acqua fredda tutti i giorni o poter sentire tuo figlio solo una volta a settimana. In più non si capisce perché ma non c’è divisone a seconda delle esigenze ad esempio di persone con disagio psichico. In carcere non sei più femmina, ti tolgono anche l’identità”.

Il gruppo di Sbarre di Zucchero è nato dopo il drammatico suicidio di Donatella Hodo, che si è tolta la vita a 27 anni nella sua cella. Così le amiche di Donatella sentirono il bisogno di parlare di carcere e diritti soprattutto per le donne. “Donatella avrebbe avuto bisogno di maggior cura – continua Micaela – aveva avuto una vita difficile, fatta di violenze e le avevano anche tolto un bambino, era tossicodipendente. In carcere non c’è rieducazione ma nemmeno ricostruzione, come quella di cui avrebbe avuto bisogno Donatela”.

Essere mamma in carcere

Mi manca proprio fare la mamma. Se io sto qua con mia figlia io credo che è per continuare a fare la mamma però poi non ci danno la possibilità di farlo”, racconta una giovane mamma che sta scontando la sua pena nell’Icam di Lauro, in provincia di Avellino. Chi scrive ha avuto la possibilità di trascorrere una giornata con le donne detenute insieme ai loro bambini e toccare con mano la sofferenza di queste donne che da una parte possono tenere accanto i loro bambini, dall’altra sono come ‘amputate’ della loro prerogativa di essere madri. Il problema non è certamente l’Icam di Lauro, dove gli operatori fanno di tutto per cercare di rendere la vita di mamme e bambini più serena possibile, ma un sistema che genera “un ossimoro: mamme e carcere”, come ha detto Samuele Ciambriello, Garante dei detenuti della regione Campania.

Gli Icam sono stati introdotti dalla legge 62 del 2011 e prevede che i bambini possano stare accanto alle loro madri fino a 8anni. L’ambiente cerca di essere un po’ più familiare e meno duro per non far sentire ai bambini il peso di trovarsi in carcere. Sui muri ci sono disegni, le celle sono una sorta di piccoli appartamenti composti da una camera da letto, una cucina e il bagno. Sulle pareti le mamme appendono foto e disegni per far sentire i loro bambini più a casa. Ma alle finestre ci sono le sbarre e le porte alla sera vengono chiuse con pesanti chiavi e riaperte al mattino dopo, perché l’Icam resta pur sempre un carcere. “Nei periodi invernali i passeggi sono chiusi presto – racconta una mamma – i bambini sanno già cosa vuol dire ‘assistente’, ‘apertura’, ‘chiusura’. Quando sentono il rumore delle chiavi hanno paura”.

I bambini sono liberi: ogni giorno vanno a scuola e potenzialmente fare tutte le attività pomeridiane che farebbe qualunque bambino, dallo sport al gioco a casa di un amichetto, ad esempio. Il problema è che non sempre c’è chi può accompagnarli e i bimbi finiscono per andare a scuola alle 8 e tornare all’Icam alle 16. La giornata poi è finita qui. “Io e mia figlia qui dentro passiamo il tempo da detenute, entrambi. Non facciamo nulla o quasi dalla mattina alla sera. Penso che non è giusto: non è il modo per educare noi o i bambini”, racconta ancora un’altra mamma. La vita di questi bambini e delle loro mamme trascorre come in un eterno lockdown, limitato allo spazio di una cella.

A questo si aggiunge il disagio per le mamme di non poter uscire nemmeno per andare a parlare con una maestra o andare a vedere una recita, ad esempio. “Mia figlia ha fatto la prima recita della sua vita all’asilo. L’ho preparata io da qui, nella nostra stanza. L’ho dovuta salutare sull’uscio dell’Icam. Nonostante siano venuti i nostri familiari dalla Puglia per non farle mancare l’affetto, lei si è rifiutata di farla. Voleva la sua mamma e non poteva averla”. “I nostri sono ‘i bambini reclusi’e vittime di pregiudizio fuori da qui – continua la mamma – Sono figli di detenuti e devono essere messi da parte. C’è una bambina che ha sentito parlare del panino del McDonald’s da uno degli ‘amici liberi della scuola’, come li chiamiamo noi, e voleva mangiarlo. Come fai a spiegarle che non lo può avere?”. C’è un’altra cosa che le mamme proprio non sanno come spiegare ai loro figli: “Ogni mese abbiamo i colloqui con i familiari e due telefonate a settimana – spiega una mamma – quando mio figlio piange che vuole parlare con il papà come faccio a dirgli che mamma ha finito il tempo? È giusto che il bambino debba aspettare?”.

“Per noi è come una terza carcerazione qui dentro perché vedi tuo figlio soffrire e non puoi fare niente”, racconta una madre. Una mamma racconta la sua vicenda che ha reso sua figlia di 3 anni tragicamente vittima delle lungaggini della giustizia. La donna sta scontando un reato commesso 13 anni fa “quando io ero una persona diversa e mia figlia non era nemmeno in calendario”. Tredici anni dopo aver commesso il fatto arriva poi la condanna che deve scontare: “se avessi potuto scontare all’epoca la pena, ora mia figlia sarebbe a casa sua in grazia di Dio, non con me in carcere. Perché questo è un carcere, non una casa famiglia come tanti credono”. La mamma racconta che, per cercare di evitarle un trauma, a sua figlia ha detto che insieme dovevano andare al campeggio per un certo periodo. “Ho cercato in tutti i modi di non farle pesare questa situazione raccontandole che era solo una vacanza in un posto dove c’erano anche altri bambini – continua – All’inizio ci ha creduto, credo. Poi qui ha parlato anche con altri bambini che sono più grandi che sanno dove si trovano. Purtroppo tra di loro se ne parla. Io spero che con il lavoro che sto facendo riuscirò ad annebbiare il ricordo di mia figlia di questo posto. Ho provato a dirle che io devo restare qui per lavorare. Lei mi ha detto che vuole andare a casa dai fratelli e che soldi non ne vuole. A volte non so cosa dirle. Io ringrazio l’Icam perché da una parte mi ha dato la possibilità di essere qui con mia figlia ma davvero non so se un domani mia figlia mi potrà perdonare”.

L’alternativa possibile

Antigone nel suo report sul carcere al femminile sottolinea come oggi la quasi totalità delle donne si trova in carcere per piccoli reati contro il patrimonio o per droga. Un quarto di loro ha addirittura un residuo pena di meno di un anno. “Servirebbero politiche di depenalizzazione e di decarcerizzazione delle donne, sarebbe una soluzione al problema della detenzione femminile in Italia. Tuttavia già da 10-15 anni e ancora di più oggi l’accento è tutto sulla sicurezza e la punizione invece che sulla riabilitazione. Un cambiamento delle cose resta un miraggio”.

Samuele Ciambriello da tempo si batte insieme a Paolo Siani per l’eliminazione di luoghi di reclusione come l’Icam. Per quanto nell’istituto si veda lo sforzo enorme per rendere la vita delle detenute madri e dei loro figli più vivibile e meno traumatica, resta una situazione paradossale e problematica nella sua concezione. “Può continuare a esistere la maternità in carcere? Come cresce un bambino in carcere? Che tipo di affetto e di relazioni potrà mai avere? È vero, possono andare a scuola. Ma non è meglio per loro un luogo alternativo al carcere? Una non deve venire in carcere con i figli. L’anno scorso il parlamento ha approvato una legge per far uscire dal carcere i bambini, creando delle comunità di accoglienza. Ebbe solo 6 voti contrari. Quest’anno è stata bloccata al Senato”.

In Italia non c’è più né fascismo né comunismo, c’è il giustizialismo che fa più morti alcune volte – continua Ciambriello – Il populismo politico e penale vuole che se una ha sbagliato deve andare in carcere. Peccato che qui ci sono anche persone accusate di piccolo spaccio con una condanna a tre anni. Perché non fargli vivere una misura alternativa al carcere? L’indifferenza è un proiettile silenzioso che uccide lentamente. Chiediamoci perché stanno qui loro con i figli. E chiediamoci perché 12mila minori in Italia e 6.400 in Campania vivono una disgregazione familiare, affettiva, familiare, economica. Quando ci occupiamo di loro? Quando commettono un reato grave? Non vorrei che la pubblicistica comune porti a non dare speranza a queste persone. Dico ‘No ai bambini in carcere’ e quindi liberando i bambini dobbiamo liberare anche le mamme. Lo so a volte la politica tra il dire e il fare ci mette il mare. Io chiedo di mettere il coraggio. Dobbiamo intervenire per ricucire queste vite disgregate altrimenti queste lacerazioni crescono. E i ragazzi che vivono qui dentro che idea si fanno? Non solo dei genitori ma dello Stato. Uno Stato vendicativo? Occorre liberare i minori ed educare gli adulti”.

17 Maggio 2023

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