Parola al Maestro

Nicola Piovani si racconta: dalla collaborazione con De André all’amicizia con Morricone

Il Maestro Nicola Piovani: "L’intelligenza artificiale, come tutte le invenzioni scientifiche, può essere usato a fin di bene e a fin di male. La mia cultura è fortemente umanistica: personalmente, scrivo la musica ancora con la matita e la gomma"

Interviste - di Graziella Balestrieri

18 Gennaio 2024 alle 17:30

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Nicola Piovani si racconta: dalla collaborazione con De André all’amicizia con Morricone

Premio Oscar, Maestro in musica e della musica, autore delle più importanti e significative colonne sonore nel mondo del cinema, ma non solo. Stiamo parlando del maestro Nicola Piovani, che tra le sue collaborazioni può vantare (e viceversa) quella in due album fondamentali per la carriera di Fabrizio De André. Un ricordo, il suo, che ne apre tanti, da Fellini a Morricone fino ad arrivare ai giorni nostri, tra politica, scienza e sogni.

È stato coautore in due album di De André, due album fondamentali. Cosa le ha chiesto Fabrizio per Non al denaro, Non all’amore, Ne al cielo? E cosa le ha chiesto invece per Storia di Un impiegato?
Mi ha chiesto semplicemente di cercare idee, soluzioni musicali coerenti al progetto e ai testi, così diversi da un album all’altro. E mi ha entusiasmato subito.

Come siete venuti in contatto? E come mai scelse proprio lei?
Per quel che ne so io, lui aveva sentito gli arrangiamenti che avevo fatto per un LP di Duilio del Prete. Cercava un arrangiatore (forse era in crisi con Reverberi) e mi ha fatto telefonare da Roberto Danè. Quando ci siamo incontrati, mi ha informato che il progetto poetico dell’album c’era tutto, ma le musiche e i versi ancora no: c’era qualche spunto, qualche frase. E poi mi disse che c’erano alcuni testi, tratti da Edgar Lee Masters, belli ma non “musicabili”. E come esempio mi fece leggere il testo di Un medicO. “Vedi, non è adatto a una canzone”. Ero a Genova, a casa sua, e siccome lui si svegliava tardi la mattina, ne approfittai per provare a mettere in musica proprio quel testo, “Un medico”. Dopo pranzo lui la ascoltò, si incuriosì, e la sera mi propose di lavorare con lui anche alla scrittura musicale di altre canzoni, non solo degli arrangiamenti.

Come è avvenuta la lavorazione dei due album?
La lavorazione avvenne a Roma. Le musiche le componevo a casa mia, da solo. Ma poi seguivano lunghe e piacevoli sedute di confronto, in cui cambiavano note e parole, inventavamo soluzioni, ipotizzavamo esperimenti, cantavamo e suonavamo insieme a lungo.

Sono due album completamente diversi: di Storia di un impiegato in un’intervista De André disse che ci volle un anno e mezzo di lavoro e fu tormentatissimo: come mai? Lei avvertiva questo tormento quando era insieme a De André o era solo un tormento che si percepiva dai testi?
Riguardo a Storia di un impiegato le sue riserve, indecisioni o, se vuole, tormenti riguardavano proprio il progetto in sé: l’approccio direttamente politicizzato all’opera gli dava diffidenza, perplessità. O forse, diciamo, paura. Era convinto che sarebbe andato male.

La libertà che c’è nelle opere di De André non si percepisce in nessun altro artista neanche oggi, intendo libertà di pensiero, del sentire, dell’agire sia come individuo che, come individuo facente parte di una società. De André oggi avrebbe difficoltà ad essere ascoltato e percepito, visto la società che siamo diventati?
Fabrizio era un libero pensatore, un poeta autentico. E i poeti hanno avuto sempre difficoltà ad essere ascoltati da tutti. Ma ci sono sempre, ieri come ora, animi bisognosi di poesia, felici di ascoltarli. Se invece parliamo di mercato, di mercato discografico, editoriale, entriamo in un ambito tossico, distorto, dove le variabili per un successo o un fiasco sono tantissime e a volte misteriose. Fabrizio non ha mai inseguito il mercato, è sempre stato il mercato che ha cercato Fabrizio, a volte con ritardi inspiegati. Se De André avesse seguito la strada del mercato, come molti suoi colleghi hanno fatto, avrebbe passato la vita a tentare di riscrivere Marinelle e fac-simili dei suoi precedenti successi. E invece lui, periodicamente, ha serenamente cambiato strada, grande o piccolo che fosse il successo.

De André ha una scrittura completamente unica: per quanto la sua poetica fosse elevata comunque arrivava a tutti: per lei De André è un cantautore o un poeta?
Dico “poeta” perché “cantautore” è una parola che non mi entusiasma.

Il suonatore Jones come è nata? Perché a un certo punto la musica quasi interrompe il racconto e sembra iniziarne un altro, una roba fiabesca, poi riprende di nuovo con le parole e poi il finale che passa da uno stato di allegria a qualcosa che muore, però riprendendo l’inizio della canzone: perché l’ha pensata così?
Il suonatore Jones ha una storia particolare che ho raccontato più volte. Nel progetto iniziale doveva essere una canzone in stile Dylan-Woody Guthrie: cioè stile ballata americana, con chitarra e armonica a bocca, in quattro quarti. Ma quando arrivammo alla fine del disco, non riuscivamo a trovare una musica che ci convincesse appieno: il disco, in corso d’opera, aveva cambiato i suoi binari iniziali. Canzoni come La Collina, Un ottico, Un Chimico, avevano battuto strade inedite per il percorso di De André, l’album aveva assunto un’altra faccia, un’altra anima musicale. Dopo giorni di incaglio creativo, mi venne in mente di proporre a Fabrizio, per il finale dell’album, un netto cambio di strada. Proposi una musica in Tempo di siciliana, un sei ottavi di antica tradizione nostrana, abbandonando la suggestione folk-americanoide -molto di moda in quegli anni. La scrissi velocemente, piacque a tutti e la registrammo in quattro e quattr’otto: flauti dolci, pochi strumenti e epilogo sinfonico, con vocalizzi di soprano. Fabrizio in seguito mi disse più volte di essere molto affezionato proprio a quella canzone.

La vostra collaborazione è finita lì oppure poi è nata anche un’amicizia?
La nostra collaborazione finì lì: quegli album sono una parentesi sinfonica nel suo cammino. Lui poi ha navigato per altre acque, aveva altre esigenze. E, nel mio piccolo, anche io, ero attratto dalla musica per il cinema, il cinema era generoso con me. Ne restò un’amicizia a distanza molto cordiale e molto rispettosa.

Facciamo che De André è vivo, è stato in un altro posto e domani la chiama per sapere come vanno le cose qui e le chiede quale sua canzone rappresenta di più la società di oggi: quale sceglie?
Un matto

Abbiamo le canzoni certo, ma quanto manca De André a questo paese?
Beh, diciamo che c’è penuria di liberi pensatori, di poeti che non si misurano sul numero di copie vendute. Anche se ce ne sono: ne conosco diversi, che fanno meno chiasso, ma che vivono per la poesia, non per i privilegi che possono derivare dalla professione di “poeta”.

Lei è “molto” attivo su Twitter (X): condivide pensieri e anche posizioni politiche: come si trova sui social?
Il social li frequento poco: i miei account Facebook, Instagram sono gestiti da miei collaboratori, che ne fanno un utile uso di comunicazione professionale, e su quelli non metto bocca. Twitter invece è un mio piccolo spazio, che seguo personalmente, e su cui nessuno mette bocca. Twitter – io lo chiamo ancora così, X è lugubre – mi sembra molto adatto all’arte degli aforismi, nella quale mi diletto, da dilettante.

Lei è notoriamente di sinistra: le piace Elly Schlein, o non crede che possa prendere in mano un partito sempre e troppo diviso?
Auguro a Elly Schlein di riuscire a sormontare le grandi sabbie mobili di un partito che, ad essere generosi, possiamo dire sgangherato. La Schlein ci sta provando e io spero molto in un suo successo, una svolta che ridia ottimismo ai progressisti italiani. Glielo auguro e ci conto.

Ha lavorato con tantissimi registi: quale regista ha sconvolto completamente la sua visione di cinema e di musica applicata al cinema?
Beh, da tutti i grandi ho imparato qualcosa sul tema musica-immagine, partitura-sequenza. Ovviamente, Federico Fellini aveva un modo continuamente spiazzante di lavorare al montaggio di un film. Mai intellettualistico, mai teorico o professorale: aveva la naturalezza del poeta, che è qualcosa che mi contagia sempre molto.

Che ricordi ha del maestro Morricone?
Nei primi anni, quando io iniziavo a lavorare, Morricone è stato per me un maestro generoso di consigli. Poi è diventato un collega molto leale e confidenziale che mi ha molto sostenuto. E negli ultimi anni si è rivelato un vero amico, generosissimo. In tempi di covid tenevamo un rapporto telefonico quotidiano: condividevamo i grandi temi della musica del Novecento – sui quali avevamo idee diverse – e condividevamo con giocoso impegno il tifo per la Roma. Spartivamo anche momenti di regressione creaturale. E risate, di cui sento molto la mancanza.

Come compositore, musicista, e un grande artista del nostro tempo, come vede l’utilizzo dell’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale, come tutte le invenzioni scientifiche, può essere usato a fin di bene e a fin di male. Mi hanno chiesto giorni fa se penso che un giorno l’AI potrà sostituire i compositori di musica. Ho risposto che forse potrà sostituire anche gli ascoltatori. Chi lo sa? La mia cultura è fortemente umanistica, ma neanche l’umanesimo è più una certezza. Personalmente, scrivo la musica ancora con la matita e la gomma.

Femminicidio: da uomo e da artista, che cos’è per lei? E c’è un modo per educare le nuove generazioni
Ognuno dovrebbe fare la sua parte. Cominciando per esempio dal linguaggio troppo maschilista, che usiamo con troppa indulgenza. Una donna che pratica ingegneria è un’ingegnera, non un ingegnere. Così come l’infermiera o la portiera.

In molti se la sono presa con la musica trap, ma non è il primo genere musicale che offende le donne: secondo lei la trap ha grande influenza sui giovani di oggi?
Non mi intendo di trap. Ma non è da oggi che le canzoni sono maschiliste. Negli anni Sessanta la radio cantava “Il pericolo numero uno: la donna”, quasi tutte le canzoni diffondevano un’immagine femminile subalterna, sottomessa. Ne ricordo una di successo che diceva: “bella dispettosa / non uscirai di casa / dal primo giorno che diventerai mia sposa”. Ci sono celebri canzoni-sceneggiate napoletane che inneggiano al femminicidio. La novità di alcune zone musicali post-rock in voga è di presentarsi come progressiste, antiborghesi, rivoluzionarie: quando invece rappresentano il peggio del pensiero conservatore.

C’è qualcosa che vorrebbe ancora fare e che ancora non ha fatto?
Ho in mente tanti progetti musicali che non so se farò in tempo a realizzarli.

18 Gennaio 2024

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