Scontro in Sardegna
Elezioni regionali, centrodestra nel caos: è ancora stallo tra Salvini e Meloni
Il Carroccio ha presentato ieri la lista unica con il Partito d’azione sardo Salvini alza la posta per tentare di strappare il terzo mandato per Zaia
Politica - di David Romoli
La lista Lega-Partito sardo d’azione è stata presentata ieri, come del resto era d’obbligo. Ma il nome del candidato, nel logo, non c’è. Come segnale è chiaro ma ancora non si va oltre il segnale.
Le liste vere e proprie devono essere presentate il 22 gennaio, poi ci saranno altri tre giorni di tempo per vincolarle a un candidato. Sino a quel momento i due partiti federati non ritireranno ufficialmente la candidatura del presidente uscente Christian Solinas.
Non perché intendano davvero arrivare alle estreme conseguenze spaccando la maggioranza. Anzi, entrando ieri nella riunione del Federale della Lega, in via Bellerio a Milano, il capo dei senatori ha apertamente escluso la divisione della maggioranza nell’isola. Poi però, all’uscita, Salvini, deludendo quanti si aspettavano finalmente una parola chiara, ha tirato dritto senza una parola.
Il nodo non è più la candidatura di Solinas, sacrificata a favore di quella del sindaco di Cagliari Truzzu, quello sul quale puntava sin dall’inizio FdI. Il punto davvero in discussione è il prezzo della resa.
I sardi chiedono assessorati, la presidenze dell’assemblea regionale, una spartizione vantaggiosa dei posti. Salvini ha mire più alte: soprattutto il terzo mandato per i governatori, quello che spianerebbe la strada alla conferma di Zaia.
Oggi arriverà al cdm il decreto sull’Election Day, con la riforma che elimina il vincolo dei due mandati per i comuni sotto i 15mila abitanti. La norma sui presidenti di Regione non c’è, o ancora non c’è, ma l’occasione renderà quasi inevitabile iniziare ad affrontare la discussione sul serio.
Forza Italia, che si era espressa per bocca di Tajani contro il terzo mandato, ieri ha abbassato di molto i toni. “I due mandati non sono un dogma”, ha aperto le porte il capogruppo Barelli. È anche questo l’esito di una trattativa in corso.
Gli azzurri tremano per la sorte del presidente uscente della Basilicata Bardi. La ricandidatura sembrava intoccabile ma dopo lo sconquasso sardo potrebbe tornare in discussione. Tajani fa la voce grossa e punta preventivamente i piedi ma allo stesso tempo allenta la tensione con la Lega sul tetto dei mandati nelle Regioni.
A non essere convinta però è proprio Giorgia Meloni. Si tratta infatti di rinunciare alla preda più ambita nelle regionali del 2025, il Veneto, e per quanto si renda conto di quale immenso incidente sarebbe insidiare la roccaforte leghista la premier, che non è leader particolarmente generosa, fatica a rassegnarsi alla rinuncia.
La vicenda sarda si intreccia peraltro con una posta che per la Lega è ancora più determinante: l’autonomia differenziata. Oggi la riforma di Calderoli arriva al Senato ma né FdI né Fi hanno ancora accettato in via definitiva quel testo.
L’ipotesi di emendamenti radicali resta in campo, soprattutto per la paura di inimicarsi l’elettorato meridionale che, nonostante le assicurazioni leghiste, sa che uscirebbe fortemente penalizzato da quel modello di autonomia. Va da sé che tutte le partite si intrecceranno in una trattativa tanto inconfessabile quanto certa.
In ballo ci sarebbe anche un’altra posta: la candidatura di Giorgia Meloni in tutte le circoscrizioni per le europee, fortemente invisa tanto al leader della Lega quanto a quello azzurro. Ma qui, a decidere, sarà probabilmente Elly Schlein. Senza di lei in campo Meloni sarebbe l’unica leader in campo oltre a Renzi, che in un certo senso è un outsider.
In una condizione simile, pressata dagli alleati, martellata dalle critiche per la decisione di scendere in campo senza alcuna intenzione di andare poi nel Parlamento europeo, probabilmente la premier sarebbe costretta obtorto collo a sacrificare il sogno di una candidatura che, nelle sue speranze ma anche nelle previsioni di molti sondaggisti, potrebbe portare FdI al 30%.
Con Schlein candidata tutto il quadro sarebbe non diverso ma opposto e la premier quasi non potrebbe comunque evitare la candidatura. Schlein ci sta pensando, deve fare i conti con una pressione molto massiccia nel partito per soprassedere. Ma non è convinta. Anzi è sempre più favorevole all’ipotesi di figurare come capolista in tutte le regioni.
Al punto da star seriamente considerando, secondo le voci dal Nazareno, l’idea di aggirare la critica di Prodi e di quanti con lui trovano sbagliato e scorretto candidarsi e poi rinunciare al seggio con una mossa clamorosa: optare davvero per Strasburgo e guidare il Pd come eurodeputata invece che dal Parlamento italiano.