Siparietti e zero domande

La conferenza stampa di Meloni: un mix di vittimismo, aria fritta e bugie

Siparietti simpatici (“me scappa la pipì”), rivelazioni telefonate (“Sospendo Pozzolo”), propositi vaghi su Mes e balneari (“Provvederemo”). Meloni parla moltissimo ma non dice nulla, aiutata da un gregge di giornalisti belanti

Politica - di David Romoli

5 Gennaio 2024 alle 11:30

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La conferenza stampa di Meloni: un mix di vittimismo, aria fritta e bugie

Il colpo a sorpresa Giorgia Meloni lo mette a segno per caso. Quel “Sto a mori’ rega’” amplificato dal microfono e seguito poi dall’ammissione, “Scusate ma devo proprio fare la pipì”, con tanto di corsetta verso la toilette vale più di tutte le 45 risposte distribuite nel corso di un’interminabile conferenza stampa.

Se non agli occhi degli addetti ai lavori, certo a quelli del pubblico televisivo. Discorso opposto per la Fnsi, che aveva deciso di boicottare la conferenza stampa per protesta contro la cosiddetta “legge bavaglio”, poi però nessuna testata se la è sentita di disertare l’appuntamento. Il boicottaggio è solo nominale, annunciato ma in assenza di assenze significative. Come figuraccia non si batte.

Tanto più che una premier per una volta ben addestrata risponde rapida e a tono: “La proposta viene dall’opposizione e la ha approvata il Parlamento, io forse non la avrei introdotta. Comunque non è che non si possano pubblicare i contenuti delle ordinanze: solo il testo. Era così fino al 2017 e non risultano boicottaggi della stampa fino a quel momento”. Definitivo.

In realtà la presidente cerca di dire il meno possibile. Assicura che “la lettera del presidente sulla concorrenza non resterà inascoltata”, ma cosa s’intenda resta oscuro. Si proclama decisa, nella prossima settimana, a quadrare il cerchio sui balneari: “Dobbiamo evitare la procedura d’infrazione e allo stesso tempo garantire certezze agli operatori”.

Come farà ad accontentare l’Europa e anche i balneari con Salvini dietro però non lo dice. Dalla voce più dolente, il patto di stabilità e la resa dell’Italia, la salva il plotone dei cronisti che non solleva il problemino. E sì che lei invece se lo aspettava: “Dovremo parlarne a lungo”.

Però nessuno chiede e di conseguenza non se ne parla proprio. Il Mes, quello sì che viene tirato in ballo ma lì Giorgia ha gioco facile: “Per me è obsoleto e la reazione dei mercati al nostro veto lo conferma. Dunque il nostro veto è un’occasione per renderlo meno obsoleto. E comunque è stata una scelta del Parlamento”. Finalmente si è capito quale ruolo spetti al Parlamento nella riforma costituzionale disegnata dalla premier: alibi e foglia di fico.

Solo su un punto Giorgia è esplicita. Non ha alcuna intenzione di entrare in una maggioranza Ursula con il Pse dentro, figurarsi: “Lavoro all’ipotesi di un’altra maggioranza ma se in base ai voti non sarà possibile non starò in maggioranza con la sinistra in Europa come non ci starei in Italia”. Dura e decisa.

Certo però il voto a favore della presidenza della Commissione è un’altra cosa. Quello mica vuol dire stare in una maggioranza e quello, l’unico che conti, invece ci sarà perché la premier vuole che il commissario italiano sia quello che sceglie lei. Del resto, se la candidata sarà l’amica Ursula, pagherà il prezzo in piena letizia.

Nel caso non bastasse a rassicurare l’Europa, sottolinea che con AfD e Marine Le Pen, gli alleati dell’alleato suo Salvini, ci sono “differenze insormontabili”. Quel che Berlino e Parigi volevano sentir dire.

Ma sull’Europa la premier indugia. La decisione se candidarsi o meno non la ha ancora presa, devono essere tutti e tre i leader di maggioranza a scegliere se correre tutti come acchiappavoti o meno e il problema, anche se questo Meloni lo dice, è proprio lì, nella scarsa propensione di Salvini e Tajani a certificare nelle urne il vantaggio schiacciante della Sorella tricolore.

Ma lei scalpita: “Verificare il consenso dei cittadini è sempre una prova di democrazia, e magari anche qualche leader dell’opposizione potrebbe fare la stessa cosa…”. È una sfida aperta rivolta a Elly ma è anche l’esposizione più chiara possibile di cosa intenda la leader dell’ex Msi per democrazia: la sua versione plebiscitaria, peronista nella migliore delle ipotesi.

Ma attenzione, chi pensa di trasformare il referendum in un pronunciamento sulla sua persona e sulla di lei permanenza a Chigi ha fatto i conti senza l’ostessa: “Non si voterà su di me ma sulla stabilità dell’Italia dopo di me. Io, con tutti gli scongiuri, ho una maggioranza solida e il problema non mi riguarda, ma non bisogna guardare solo all’oggi. Il voto non sarà sul presente ma sul futuro”.

Lei, insomma, resterà ben salda a Chigi qualsiasi cosa succeda e a maggior ragione quando un’altra prova referendaria, anche più difficile, si svolgerà con la separazione delle carriere, che promette di varare subito dopo il premierato, come posta in gioco.

Sull’autonomia differenziata, che non è riforma costituzionale, invece bisognerà accontentarsi della sua parola senza voto: “Con un premier forte ci vogliono autonomie forti e comunque l’autonomia non toglie niente al sud”. Parola sua.

Solo in un paio di casi una Meloni rilassata come mai prima in conferenza stampa si scalda e l’ira trapela. Quando le viene ricordato il parere tagliente di Giuliano Amato che la accusa di voler mettere sotto controllo la Corte Costituzionale: “Il Parlamento, nel 2024, dovrà nominare 4 dei cinque giudici scelti dalle Camere. Ma non è che quando la sinistra è maggioranza decide e quando in maggioranza c’è la destra invece decide sempre la sinistra. Vogliono una riforma costituzionale per cui le nomine le fa la sinistra, sentiti gli intellettuali di riferimento e Amato? Continuano a pensare che tra la sinistra e la destra ci sia una differenza per cui quel che è lecito per l’una non lo è per l’altra. Ma quell’epoca è FI-NI-TA”.

Torna sul capitolo della differenza tra una sinistra legittimata a tutto e una destra sempre Cenerentola a più riprese l’ex underdog. Sulle nomine Rai:Quando solo FdI era all’opposizione solo FdI non era presente nel cda Rai”. Sulle accuse di “familismo”: “Nel gruppo Pd e in quello di Sinistra italiana ci sono due coppie di coniugi, in SI sono due su 8, il 25%. Eppure io non dico che è familismo, perché so che non lo è”. Sassolini, anzi pietre che escono dalla scarpetta di Giorgia.

Ma non ci sono solo i nemici conclamati e canonici. A più riprese fa cenno alle lobby che sperano di condizionarla, torna su quell’ “Io non so’ ricattabile” degli esordi, assicura che non parla in via scolastica ma per esperienza diretta, cita il peccato e non il peccatore. Però, messe così le cose, l’effetto pizzino è inevitabile.

Il caso increscioso, quello del pistolero Pozzolo, è un’arma spuntata e infatti la domanda arriva dopo oltre un’ora di conferenza stampa. Risposta pronta da 24 ore: “Lo ho deferito ai probiviri e sospeso in via cautelativa”. Linea dura e non solo, fa capire, per l’indifendibile armato. “Non posso essere solo io responsabile, tutti devono addossarsi la responsabilità e in caso contrario sarò rigida”.

Fratello avvisato… Sul caso Anas invece va liscia: “Aspettiamo l’esito dell’inchiesta e comunque sono cose che risalgono alla scorsa legislatura e Salvini non è coinvolto. Non c’è alcun motivo per cui debba riferire in aula”.

Dalla prova della conferenza stampa, che per lei è di solito la più difficile, Giorgia stavolta è uscita bene. Merito di una preparazione da pugile alla vigilia dell’incontro per il campionato ma anche di una platea di giornalisti più belante che ringhiosa.

Non solo nessuno prova a inchiodarla sul patto di stabilità ma quando si parla d’immigrazione nessuno chiede lumi su quegli oltre 60 morti per precise responsabilità italiane, neppure quando lei, candida, assicura che il momento più duro è stato Cutro. E quando la presidente, ineffabile, sfodera la sua ricetta contro la barbarie del sistema penitenziario italiano, “Più Carceri!”, nessuno, proprio nessuno batte ciglio.

5 Gennaio 2024

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