Il messaggio del Presidente
Mattarella, col discorso di fine anno Meloni incassa ma finge di non sentire gli schiaffoni
Mattarella nel suo discorso ha raccontato un’Italia del tutto opposta da quella cercata e impersonata dalla Meloni. Che però si è congratulata. Come quel personaggio di Totò: “E che so Pasquale io?”
Editoriali - di Michele Prospero
Giorgia Meloni, che telefona al Quirinale per rallegrarsi dopo il discorso presidenziale di fine anno, somiglia un po’ al personaggio di Totò. Prendeva schiaffi da uno che lo chiamava Pasquale e dopo ogni ceffone, il poveretto, rideva e se ne usciva: “e che so’ Pasquale io?”.
Di schiaffi Mattarella ne ha dati a ripetizione. Ha cominciato elogiando “la composta pietà della gente di Cutro”, così in palese contrasto con le gesta del governo. Dalla maldestra conferenza stampa della premier fino alla prova canora con Salvini, la destra si scopriva senza alcun sentimento di “composta pietà” proprio mentre i pupazzetti dei bambini erano restituiti dalle acque.
Il capo dello Stato ha proseguito con l’evocazione delle immagini più forti del 2023, celebrando la gente di Romagna, che da sola si è liberata dal fango. In quei giorni Giorgia Meloni preferiva girare uno spot nelle acque melmose solo per farsi santificare da un distributore di oro nero, catturato da una visione mistica della donna della Provvidenza.
Senza alcun senso delle autonomie, e per pura ostilità politica al governatore emiliano, l’esecutivo ha nominato un commissario esterno per gestire la ricostruzione e soprattutto ha negato, attraverso un prolungato ostruzionismo, i fondi necessari per la rinascita.
A una destra che con la manovalanza leghista strizza l’occhio ad Alternative für Deutschland, la quale propone persino di isolare nelle classi gli studenti con disabilità, Mattarella sembra quasi aver risposto accarezzando “gli occhi e i sorrisi dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a PizzAut”. Alla sparata del “patriota” Bartolomeo Amidei, che invoca la licenza di fuoco per i sedicenni, il presidente ha reagito con una raccomandazione “contro il rischio di diffusione delle armi”.
Le parole in politica fanno la differenza. Suonano scialbe le frasi di Meloni, che dinanzi alle quotidiane scene di molestie, stupro, femminicidio, non aveva altro da ripetere che la ricetta “che mi diceva mia madre quando uscivo da ragazza. Cioè «occhi aperti e testa sulle spalle”.
Un linguaggio ben più ricco emerge invece dal messaggio di Capodanno: il rapporto di coppia implica, dice Mattarella, “dono, gratuità, sensibilità” perché la relazione “non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio”. Nulla a che fare con la invettiva meloniana contro “gli animali”, che derubrica la violenza di genere a fenomeno naturale.
La narrazione della destra al potere è da sempre imbevuta di metafore che mobilitano evocando la paura contro la “sostituzione etnica”. Dal Colle scendono invece concetti di tutt’altro segno: “affermare i diritti significa anche non volgere lo sguardo altrove di fronte ai migranti”.
Sulle Ong, sulle pratiche di accoglienza è in atto una dura campagna contro Papa Francesco, orchestrata, più ancora che dai fogli di destra, dalle paginate del “Corriere” e della “Stampa”. Non a caso, dinanzi agli strepiti del coro clerico-reazionario, il presidente si rivolge con riconoscenza a Bergoglio “per il suo instancabile magistero”.
In controtendenza rispetto a un mondo “underdog” rapito dal rito pagano dei soldi, e che per questo osanna Musk a Castel Sant’Angelo, il messaggio del Colle affronta la sfida dell’intelligenza artificiale consegnando alla politica il compito cruciale di operare affinché “la rivoluzione resti umana”.
Rispetto alle cadute cognitive di una destra che, davanti alle continue emergenze climatiche, invita i ministri teutonici a starsene rintanati nella loro Foresta Nera, le preoccupazioni di Mattarella si rivolgono alla necessità di prendere sul serio le questioni ambientali.
Non meno urticanti sono le considerazioni presidenziali in merito alla guerra. La destra crede di trovare la propria legittimazione attraverso il ricorso ad un doppio registro: nel segreto telefonico, si rivolge a fantomatici capi di Stato africani nutrendo scetticismo sul sostegno a Kiev; nelle posizioni ufficiali, invece, il governo preferisce inneggiare agli aiuti militari sino alla vittoria.
Le esortazioni di Mattarella a rendere la cultura della pace “il più urgente e concreto esercizio di realismo” dovrebbero spingere a ricalibrare la politica estera italiana, sostenuta (da Draghi in poi) secondo un assoluto conformismo rispetto agli imperativi atlantici.
Sul terreno economico-sociale, poi, i richiami ai principi costituzionali evidenziano un’impostazione a tratti persino sovversiva rispetto alle pratiche di governo. Alla statista del Torrino, che inveiva contro il fisco come “pizzo di Stato”, il Quirinale rammenta che “l’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale”.
C’è infatti un evidente nesso tra l’occhiolino strizzato agli evasori e il vistoso aggravarsi delle “difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi”. Il capo dello Stato, nel rispetto del ruolo di custode dei principi sociali della Carta, ha pronunciato frasi che l’opposizione non sa scandire.
Alla propaganda, che racconta di sensazionali incrementi dell’occupazione, il presidente reagisce con la punta di spillo che fa esplodere i palloni gonfiati dai media governativi e lascia cogliere la nuda realtà, dalla quale emergono “il lavoro che manca”, l’impiego dequalificato e sottopagato.
Evocando “le immani differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio”, Mattarella ha inteso sussurrare qualcosa a chi fa le barricate contro il salario minimo e cancella misure elementari di protezione sociale.
Mentre il governo oscilla tra “la Bestia”, che colpisce gli avversari e le figure della società civile servendosi di immagini di odio, e gli “appunti di Giorgia”, che descrivono un mondo irreale nel tentativo di fuga dalle responsabilità del potere, il Quirinale rammenta che l’avversario merita sempre rispetto (il contrario di quanto mostrò Donzelli accostando il Pd alla mafia e ai terroristi) e che la democrazia non è “stare sui social” ma “esercizio di libertà”.
Pesante, rispetto alla retorica postfascista su “Patria” e “Nazione”, è poi l’indicazione del presidente secondo cui l’unità in una democrazia matura si fonda esclusivamente sui principi della Costituzione.
Quest’anno il discorso di Mattarella era particolarmente atteso, anche nella sua valenza politica, perché veniva subito dopo le parole allusive del presidente del Senato che, a giustificazione della “grande riforma” del premierato assoluto, adduceva gli eccessivi poteri “materiali” in mano al capo dello Stato.
Il problema italiano, tra i tanti, è anche quello per cui, come massima figura istituzionale che dovrebbe vantare una maggiore capacità unificante, la destra sa proporre solo un cuore nero che lucida il busto della Buonanima, rievoca i nazisti di via Rasella come “banda musicale di semi-pensionati”, respinge l’essenza fondativa del 25 Aprile e teme come una peste gli organi che esercitano la funzione di garanzia costituzionale.
Semplicemente comunicando con il lessico della Carta, Mattarella ha distribuito fendenti su vari fronti, dai valori alle politiche sociali e dell’immigrazione. Le sberle sono state tante, e ben distinguibili sembrano anche i destinatari. Giorgia incassa e riesce pure a dare un colpo di telefono al Colle, tanto lei mica si chiama Pasquale.