L'intesa

Nuovo Patto di Stabilità, chi sono i vincitori dell’intesa all’Ecofin

Tutti i Paesi europei hanno accolto l’intesa all’Ecofin come un successo, ma per capire chi sono vincitori e vinti occorrerà leggere nero su bianco

Editoriali - di Alessandro Plateroti - 22 Dicembre 2023

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Nuovo Patto di Stabilità, chi sono i vincitori dell’intesa all’Ecofin

La Spagna canta vittoria: il nuovo patto di stabilità ha recepito le richieste di Madrid. Anche la Grecia è più che soddisfatta: l’accordo sulle nuove regole fiscali si muove nella direzione indicata da Atene. Persino l’Italia rivendica vittoria: l’esclusione delle spese militari e del Pnrr dal calcolo del deficit accoglie le richieste fatte dal governo Meloni.

Ma l’accordo tra Francia e Germania che ha sbloccato la riforma del patto di stabilità piace anche ai falchi del rigore, come l’Austria e l’Olanda: chi più chi meno, tutti cantano vittoria. Almeno per ora.

Perché il vero bilancio tecnico del compromesso politico raggiunto all’Ecofin, resta ancora tutto da scrivere: l’Europa dovrà infatti mettere nero su bianco non solo le nuove regole, ma soprattutto definire e quantificare le esenzioni e le concessioni economiche a cui avrà diritto ogni singolo paese dell’Unione per rispettare gli impegni sul debito e sul deficit. Solo allora si potrà giudicare chi ha vinto e chi ha perso.

Detto questo, non c’è dubbio che l’accordo del 20 dicembre rappresenti un risultato politicamente ragionevole: per certi aspetti migliore della riforma proposta dalla Commissione europea nell’aprile 2023, per altri peggiore. Rispetto alle norme attuali, comunque, sembra un grande passo avanti.

Innanzitutto, la natura specifica per paese dei requisiti di aggiustamento fiscale, determinata dall’analisi della sostenibilità del debito, è stata per lo più preservata, in linea con l’idea centrale della Commissione: questa coerenza renderà più probabile l’implementazione dell’accordo Ecofin.

Vengono inoltre mantenuti l’utilizzo di un percorso di spesa netta (spesa al netto del pagamento degli interessi e delle voci cicliche) come obiettivo operativo principale e le clausole di salvaguardia generali e nazionali proposte dalla Commissione. Secondo le aspettative, si dovrebbe rendere così il sistema meno pro-ciclico, evitando politiche di austerità in fasi recessive.

Anche se la Commissione gestirà il processo di rientro del debito, quest’ultimo dovrà essere approvato, pubblicato e replicabile dal Consiglio. Ciò aumenterà la proprietà e la conoscenza collettiva sui nuovi metodi di calcolo. Non solo. L’accordo franco-tedesco ha corretto anche alcune distorsioni della vecchia proposta della Commissione.

La “salvaguardia del debito” che richiede una velocità minima di riduzione del debito indipendentemente da ciò che affermano i Debt Sustainability Assesment (i piani di rientro) è stata riformulata. Il cambiamento più importante è che il periodo durante il quale viene valutata la riduzione del debito inizia solo dopo che i paesi hanno ridotto i loro deficit al di sotto del 3%. Ciò offre ai paesi ad alto deficit (come l’Italia) la possibilità di rispettare la salvaguardia.

Sul fronte negativo, invece, gli attuali programmi di ripresa e resilienza (Pnrr), che scadono nel 2026, non saranno sufficienti affinché i paesi possano beneficiare di un’estensione del periodo di aggiustamento da quattro a sette anni.

Ai paesi dell’Ue sarà inoltre richiesto di portare avanti gli sforzi di riforma e i livelli di investimento finanziati a livello nazionale per il resto del periodo di quattro-cinque anni coperto dal loro piano fiscale-strutturale a medio termine. Al Comitato europeo di bilancio indipendente viene assegnato un ruolo significativo nel monitorare l’attuazione delle nuove regole.

Sul fronte negativo, l’Ecofin ha concordato una nuova “salvaguardia per la resilienza del deficit” che richiede ai paesi di continuare l’aggiustamento fiscale fino a raggiungere “un margine di resilienza comune” dell’1,5% del Pil al di sotto del benchmark del disavanzo del 3%. L’idea di richiedere un “margine di sicurezza” non è sbagliata.

Tuttavia, la salvaguardia microgestisce il processo di aggiustamento (un minimo di 0,25-0,4% del PIL annuo) e il margine dell’1,5% potrebbe rivelarsi troppo rigida per alcuni paesi. Nel caso dell’Italia, il margine si traduce in un requisito di saldo primario strutturale superiore al 4% del PIL.

L’Ecofin, inoltre, sembra aver raggiunto un compromesso incerto sull’attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (PDE). Le fasi minime annuali di aggiustamento pari allo 0,5% del PIL potrebbero inizialmente escludere il pagamento degli interessi.

Tuttavia, le misure di aggiustamento devono includere il pagamento degli interessi dopo il 2027: ciò renderà la vita più facile ai governi che hanno negoziato il compromesso, ma più difficile (e senza alcun guadagno) per i loro successori.

Il finanziamento degli investimenti pubblici approvati dal Consiglio, in particolare degli investimenti legati al clima, avrebbe dovuto essere escluso dall’applicazione delle salvaguardie. Invece, c’è solo il cofinanziamento nazionale dei fondi UE nel 2025 e nel 2026.

Infine, il ruolo delle istituzioni fiscali nazionali indipendenti è stato notevolmente indebolito rispetto alla proposta della Commissione. Mentre la proposta della Commissione richiedeva alle istituzioni finanziarie internazionali di valutare il rispetto a livello nazionale del percorso di spesa netta concordato con il Consiglio, la versione del Consiglio si limita ad affermare che i governi nazionali “possono richiedere” tale valutazione. Sebbene i governi dell’Ue siano felici che il Comitato fiscale europeo monitori le azioni della Commissione, chiaramente non sono contenti che il comitato fiscale nazionale riveda le loro.

22 Dicembre 2023

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