La libertà di stampa
Legge bavaglio, ma per chi?
Qualcuno impedisce al giornalista di scrivere che qualcuno è indagato ed è stato arrestato? No: gli si impedisce di sputtanarlo mettendo in pagina, prima del processo, le divagazioni accusatorie di un magistrato
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Che sia il giornalismo italiano, il più screditato d’Occidente e anche oltre quando si tratta di libertà e correttezza dell’informazione, specie in materia di giustizia e diritti delle persone; il giornalismo italiano che nei decenni ha dato oscena dimostrazione di sé stesso facendosi insieme propalatore del verbo giudiziario e impunito massacratore della reputazione e della vita dei cittadini; che sia dunque quel giornalismo a insorgere contro un’ipotesi di riforma che non imbavaglia nulla e nessuno, e che semmai si limita a impedire che i giornali facciano scriteriato e irrimediabile volantinaggio degli ordini di arresto e delle allegazioni spesso infondate dell’accusa pubblica, è la prova forse più perfetta di come e quanto sia difficile anche solo sperare in un incivilimento del Paese su questo fronte.
Dopo aver fatto danni inenarrabili, e senza sosta, per decenni e decenni, in occasione di ogni questione di giustizia finita in ribalta, costringendosi tardivamente, e non sempre, a riconoscere l’errore a denti stretti, a cose fatte, ad assoluzioni destinate al trafiletto dopo il trionfo delle accuse in prima pagina, e nel frattempo le carriere dei coinvolti erano distrutte, le loro famiglie distrutte, la loro immagine per sempre distrutta, la loro vita distrutta, dopo tutto questo si poteva forse sperare che quel giornalismo non dico si compiacesse ma almeno che non si lamentasse in questo modo del sacrosanto tentativo di rimediare allo scempio che ha dolosamente perpetrato per tanto tempo.
Ma figurarsi. Il “bavaglio”. L’attentato alla “libertà di stampa”. Il sacrificio del diritto dei cittadini “di sapere”. Ma bavaglio a cosa, a chi? Qualcuno impedisce al giornalista di scrivere che qualcuno è indagato ed è stato arrestato? No: gli si impedisce di sputtanarlo mettendo in pagina, senza contraddittorio, prima del processo, le divagazioni accusatorie di un magistrato che una volta su due o due volte su tre dice cose sfornite di qualsiasi fondamento.
E quale libertà di stampa? La libertà di ripetere la verità togata secondo cui Tizio è un cinico mercante di morte e perciò va arrestato, perché è pericoloso? La libertà di fare il pappagallo del Pm secondo cui Caio è un corruttore preso con le borse piene di soldi e perciò va arrestato, perché potrebbe scappare?
La libertà di fare l’amanuense della Procura della Repubblica secondo cui Sempronio trucca un’asta pubblica e perciò va arrestato, perché altrimenti lo fa ancora? E quale “diritto dei cittadini di sapere”? Sapere che cosa? Sapere che un magistrato ne dice di ogni sul conto di un presunto innocente, il quale assiste attraverso le sbarre della galera al resoconto statisticamente infedele dei propri delitti?
Dice (lo dice Travaglio, l’eminente rappresentante di categoria): con questa riforma non potremo più raccontare “i fatti contenuti nelle ordinanze”. I “fatti”? Ma quali fatti? Nelle ordinanze di custodia cautelare non ci sono “i fatti”. Ci sono le argomentazioni spesso sbagliate, le ricostruzioni spesso bislacche, le impostazioni spesso sfornite di qualsiasi addentallato messe insieme dall’accusa pubblica: non sono “i fatti”.
E quando pure l’ordinanza è perfetta, quando pure essa non si lascia andare a considerazioni pazzotiche, quando pure offre motivazioni che ragionevolmente sorreggono la decisione di togliere la libertà a qualcuno, ebbene comunque si tratta del suono di una sola campana, si tratta in ogni caso di una verità provvisoria e completamente di parte.
Che tuttavia – ed è questo il punto – diventa verità stabilizzata, tanto più ficcante per l’opinione pubblica cui è data in pasto, perché ha il sigillo della “giustizia”. Non esiste nessun diritto di nessuno di far conoscere, né c’è nessun diritto di nessuno di conoscere, i dettagli spesso screditanti e ancora non provati che l’accusa pubblica affastella per ottenere che qualcuno sia sbattuto in galera prima della sentenza che lo condanna.
La notizia che è stato arrestato, e una neutra e rispettosa evocazione dei reati che lo riguardano, possibilmente con l’avvertenza che si tratta dell’accusa, non della verità, dovrebbe bastare e avanzare. Naturalmente per chi vuole fare informazione, per chi vuole fare giornalismo: per chi vuole fare il copista dei pubblici ministeri, strafottendosene dei diritti degli indagati, è un altro discorso.