La manifestazione
L’antisemitismo non merita un sit-in
O è scontato ripudiarlo (mentre non lo si ripudia), o perché un pochetto è comprensibile, visto quel che fanno gli israeliani a Gaza, il risultato è comunque che l’antisemitismo non merita una manifestazione contro.
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Proviamo a vedere per quale motivo a nessun partito politico, a nessun sindacato, a nessuna associazione, a nessun comitato della Repubblica italiana, la Repubblica democratica fondata sull’antifascismo e sulla resistenza, la Repubblica delle Giornate della Memoria e delle leggi contro l’odio, proviamo a vedere come mai a nessuno di quelli, ma proprio a nessuno, gli ha puzzato di organizzare una manifestazioncina, un corteuccio, una conferenza stampa, un sit in, niente, contro l’antisemitismo che sta bellamente fiorendo nelle piazze, nelle vie, nelle scuole, nelle università di mezzo mondo Italia compresa.
Proviamo a vedere per quale motivo tutti quelli hanno dovuto aspettare che fossero delle associazioni ebraiche a organizzare una manifestazione contro l’antisemitismo, con adesioni un po’ sì e un po’ no e perlopiù a mezzo di personali testimonianze, e con una quota non irrilevante di diserzioni.
Prima ipotesi (le facciamo proprio tutte, a cominciare da quella più radicale): a nessuno di quelli è venuto di organizzare in proprio, per iniziativa propria, qualcosa contro l’antisemitismo perché in realtà non c’è traccia di antisemitismo. Diremmo che neppure il negazionista provetto saprebbe sostenerlo.
Seconda ipotesi: perché magari un po’ di antisemitismo circola, ma non è abbastanza grave da giustificare che ci si mobiliti per denunciarlo e contrastarlo. Cioè: “Fuori i sionisti da Roma”? E che sarà mai.
Stelle disegnate sulle case degli ebrei? E vabbè. Cimiteri ebraici e sinagoghe vandalizzati? Uff, quante storie. Cittadini ebrei cui si suggerisce di non farsi riconoscere, perché rischiano le botte o peggio? Mica casca il mondo.
Potremmo continuare con gli alberghi e gli aeroporti in cui si apre la caccia all’ebreo, con la scuola in cui lo studente ebreo è preso a criterio per il tema sul nazismo israeliano, con le università in cui si riafferma il diritto di invocare il genocidio degli ebrei a patto che l’istigazione non si traduca in “condotta”, e via così: ma non continuiamo, perché si crede che basti.
E invece, evidentemente, tutto questo non basta. Tutto questo, evidentemente, non ammonta a materia sufficiente affinché “la politica”, come si dice da un po’ a questa parte, si senta pungolata a denunciare con dimostrazioni autonome e concrete, non con divagazioni su richiesta, la tracimazione della fogna antisemita.
Terza ipotesi: non si manifesta contro l’antisemitismo perché il ripudio dell’antisemitismo è scontato. Tipo: comincia la caccia al meridionale, o al comunista, o al cristiano, ma che cosa manifesti a fare visto che nella Repubblica democratica queste cose sono ripudiate?
La quarta ipotesi: ciò che inibisce l’organizzazione di manifestazioni contro l’antisemitismo è il conflitto in corso laggiù, dopo i massacri del 7 ottobre. Questa quarta ipotesi, notoriamente, rinvia a presupposti diramati in tre versioni: 1) che Israele sta inammissibilmente esagerando nella reazione, facendo troppe vittime civili; 2) che Israele è uno stato nazista, il quale ha programmato e sta attuando un genocidio; 3) che Israele costituisce in sé, e a prescindere da ciò che fa, una realtà abusiva e di usurpazione, da eradicare “dal fiume al mare”.
In questo quarto quadro ipotetico, dunque, funziona così: vuoi forse scendere in piazza per difendere un bambino ebreo preso a sassate in quanto ebreo, mentre Israele sta ammazzando migliaia di palestinesi, tra cui proprio tanti bambini? Vuoi forse manifestare per il diritto degli ebrei di non nascondersi, di non vedere le loro case segnalate, di non essere aggrediti per strada, di non vedere boicottate le loro attività, di non vedere assaltati i loro negozi, mentre Israele bombarda interi quartieri palestinesi?
Vuoi forse manifestare per il diritto degli ebrei di non essere presi in quanto ebrei, a centinaia e centinaia, uno per uno, nelle loro case, e lì assassinati, sgozzati, bruciati, quando è chiaro che occupano da sempre una terra che non è loro, una terra che sarà libera e in pace solo quando sarà cancellata l’impronta ebraica che la tiene in sequestro?
C’è infine la quinta: non si manifesta contro l’antisemitismo – salve le iniziative della stessa minoranza che lo subisce – perché dell’antisemitismo, quello che coglie oggi e qui gli ebrei in quanto ebrei, non importa nulla a nessuno. O, appunto, non abbastanza perché si senta la necessità di sentirsene oltraggiati, e di manifestarlo, nel Paese che fu delle leggi razziali.
Che sia vera la prima, la seconda, la terza, la quarta o la quinta cambia abbastanza poco: o perché non esiste, o perché, se anche esiste, non è grave, o perché è scontato ripudiarlo (mentre non lo si ripudia), o perché un pochetto è comprensibile, visto quel che fanno gli israeliani, o perché, come si dice in latino corrente, ‘sticazzi, il risultato è comunque che l’antisemitismo non merita una manifestazione contro.