Il vicepresidente Pd

Intervista a Paolo Ciani: “La sinistra si metta nei panni di chi soffre, basta chiacchiere da bar”

«Da Hamas atto terroristico senza precedenti, ma la reazione di Israele va ben oltre il diritto di difesa. L’Ucraina? Abbiamo visto che armi e sanzioni non sono la soluzione. Sui migranti provvedimenti inumani: non sono i giudici ad andare contro il governo, è il governo a violare le leggi»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

15 Dicembre 2023 alle 13:00 - Ultimo agg. 15 Dicembre 2023 alle 13:20

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Il vicepresidente del gruppo Pd Paolo Ciani
Il vicepresidente del gruppo Pd Paolo Ciani

La pace e il dialogo sono sempre stati la bussola del suo impegno politico. È stato uno degli animatori della Comunità di Sant’Egidio. È tra i fondatori di Demos, Democrazia Solidale, di cui è segretario nazionale, e Vice presidente del gruppo PD-IDP alla Camera dei deputati. La tragedia di Gaza, il dramma dei migranti, la guerra in Ucraina e la leadership globale di Papa Francesco, abbiamo intervistato Paolo Ciani.

Il Natale si avvicina, ma in Terrasanta si combatte e si muore. Gaza, per usare un’affermazione forte dell’Onu, è l’inferno in terra.
La guerra in Terrasanta è iniziata, il 7 ottobre, con un atto terroristico senza precedenti, quanto a dimensioni e gravità, da parte di Hamas. Quell’atto ha scatenato una reazione devastante da parte d’Israele, che sta producendo un numero impressionante di morti. È comprensibile la decisione d’Israele di reagire ad un attacco di quella portata, una vera e propria operazione terroristica-militare, ma quello che sta accadendo oggi è molto preoccupante anche perché non se ne vede la fi ne. Il numero di vittime civili è elevatissimo, in una popolazione, quella della Striscia di Gaza, molto giovane. Si contano a migliaia ormai i ragazzi e i bambini che hanno perso la vita. È qualcosa di inaccettabile, che va ben oltre l’esercizio di un diritto di difesa. Mi sembra che a livello internazionale si stiano esercitando pressioni affi nché si possa evolvere in una fase nuova, purtroppo, però, non siamo ancora arrivati a questo momento, al momento cioè di un immediato cessate il fuoco umanitario. Avvicinandoci al Natale, la mia speranza è che si giunga ad una nuova tregua che possa permettere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e di altre milizie palestinesi a Gaza, e un po’ di sollievo per una popolazione civile palestinese stremata e costretta ad una sofferenza inumana. Una “tregua di natale”, sarebbe un segnale di speranza e di umanità per il mondo intero.

In questi mesi si è riparlato, non so con quanta convinzione, di una soluzione di pace fondata sul principio “due Stati, due popoli”. Lei ci crede ancora?
La soluzione, due popoli, due Stati” è ancora quella auspicabile, anche perché è l’unica che aveva avuto una condivisione nel corso della storia, dalle risoluzioni delle Nazioni Unite agli stessi accordi di Oslo-Washington del 1993 e alla Road Map del Quartetto per il Medioriente (Usa, Russia, Ue, Onu, ndr). Ritornare a quella proposta, se pur oggi può sembrare una utopia di fronte a quello che sta accadendo, vuol dire ritornare a l’unico accordo bilaterale, assunto in ambito internazionale, che aveva visto la condivisione delle leadership dei due popoli. Sarebbe la soluzione migliore.

Da un fronte di guerra ad un altro. Da Gaza a l’Ucraina. Oggi da più parti, molte delle quali per mesi e mesi hanno affidato tutto alla “diplomazia delle armi”, si parla di compromesso, di una necessaria soluzione politica. Per Lei che è stato tra i non molti a criticare il reiterato invio di armi all’Ucraina, questo approdo politico lo vive come un successo personale?
No, non mi sento ripagato e non sono per niente contento. Anzi, il contrario. Sono molto preoccupato e angosciato per la popolazione ucraina, perché il protrarsi della guerra ha aumentato il numero di dei morti, ha moltiplicato a dismisura distruzione e sofferenza. Non è una consolazione il fatto che qualcuno oggi inizi a ricredersi. Semmai, vedo un rischio maggiore…

Quale?
Quello dell’assuefazione. Che si finisca per abituarsi alla guerra, derubricata a sesta notizia dei nostri telegiornali. E la stessa cosa rischia di ripetersi con Gaza. Questa non è una buona notizia. Perché laddove si lascia fare alle armi e alla guerra, la pace non arriva. È necessario impegnarsi, ciascuno per quel che può, affinché i conflitti finiscano, spingendo per un’opera diplomatica, di convincimento che non può passare soltanto dall’invio delle armi e dalle sanzioni, non fosse altro perché abbiamo visto che non è sufficiente. Mettendo da parte tutti i convincimenti, etici, morali, politici, che ognuno può avere, basta guardare con onestà intellettuale la realtà dei fatti per prendere atto che la guerra non è la soluzione ma è il problema, e sentire ancora parlare di vittoria militare preoccupazione molto. La guerra non si ferma con la guerra.

A proposito di tragedie “oscurate”, non solo dai media ma anche dalla politica. I migranti. Siamo quasi alla fi ne dell’anno. Che bilancio trae, su questo fronte, delle politiche del governo, ultima, in ordine di tempo ma non di gravità, il blocco dei fondi per i migranti bambini?
Un bilancio estremamente negativo. È uno dei campi in cui maggiormente questo governo ha male operato. Non solo perché non ha fatto quello che aveva promesso ai propri elettori, che non era certo quello che io auspicavo per il nostro paese. Ciò che è gravissimo è che i provvedimenti adottati si sono rivelati oltre che inefficaci, inumani. Sono dei provvedimenti che attaccano il diritto umanitario, della Costituzione e degli accordi internazionali. Il fatto poi che questi provvedimenti siano impugnati e sanzionati di volta in volta dai giudici, non è, come lasciano intendere e spesso denunciano ministri e la premier stessa, perché c’è una congiura antigovernativa della magistratura, ma perché su questo tema, quello dei migranti, il governo ha adottato provvedimenti al di fuori e contro quello che è il diritto italiano e quello europei su queste tematiche. Il provvedimento sui migranti minorenni è particolarmente grave, anche perché sancisce per legge che un minore straniero vale meno di un minore italiano, stabilendo che minori stranieri possano essere collocati incentri per adulti, cosa che il diritto italiano ha sempre esplicitamente vietato. Con un decreto legge, il governo ha stabilito che quelli sono meno minorenni dei nostri fi gli. E questo è inaccettabile.

Di fronte a tutto questo, la sinistra nel suo insieme, si è dimostrata all’altezza di queste sfide?
Sembra che si faccia fatica a stare dietro a tutto. Da un lato, la mia risposta sarebbe sì. Nel senso che c’è una società civile che opera, che va avanti, che pratica quotidianamente la solidarietà verso i più deboli e indifesi, che fa cultura, che è presente. E anche quella è sinistra. Non c’è solo la sinistra parlamentare. Ma anche questa sinistra sta acquisendo nuova consapevolezza e protagonismo su alcune di queste battaglie. A mio modo di vedere, ancora con troppa lentezza rispetto alla drammaticità delle sfide poste dal nostro tempo. È sempre il tema di mettersi nei panni degli altri. Le nostre discussioni da bar su dove siamo schierati, di fronte alla morte di migliaia di persone, un po’ stride. Dovremmo sentirci un po’ di più nei panni degli altri, di quanti soffrono, sentire il freddo, il dramma di certe situazioni per provare ad essere più incisivi.

Chi è sempre incisivo, è Papa Francesco. Da più parti si sostiene che ormai da tempo, Bergoglio sia l’unico leader globale.
Sulla leadership globale dei papi si è ragionato anche in passato, ad esempio con Giovanni Paolo II. In un tempo in cui c’è una politica debole e un pensiero altrettanto debole, un uomo che incarna, che vive e prova a diffondere la radicalità del Vangelo, sicuramente costituisce un faro nel panorama internazionale, attirandogli anche antipatie e contrasti. Il Vangelo è una parola molto radicale ed è normale che possa dar fastidio a qualcuno.

Radicalità. C’è chi in politica, anche a sinistra, dà una accezione negativa a questo concetto, come se il consenso politico, ed elettorale, possa venire da una declinazione “moderata”, i politologi direbbero “centrista”.
Anche da una posizione radicale si può compiere un’azione meritoria di mediazione, che spetta alla politica. Radicalità non significa estremismo fine a se stesso, o, come qualcuno sostiene, non porsi il problema del governo di una società complessa come la nostra. Questa è una banalizzazione della “radicalità”. Il problema non è la mediazione. Il problema è da dove parti, con quali idealità, e dove arrivi attraverso la mediazione. Mediare non signifi ca, almeno per me, acconciarsi a compromessi al ribasso. Credo che vi sia una idea confusa e sbagliata della politica, non come mediazione tra le parti ma, per l’appunto, come accordo al ribasso. Mediare per mediare. Punto. Questa è idea sbagliata anche del “centrismo”, del mettiamoci d’accordo. Il problema è una mediazione alta che parte da idealità profonde.

Il 2024 sarà un importante anno elettorale. Ci saranno le elezioni europee. Qual è la vera posta in gioco?
Il 2024 vedrà in Italia elezioni regionali, e anche quelle saranno interessanti e molto impegnative. E poi le europee, elezioni molto importanti perché negli ultimi anni si è realizzata una coalizione anomala, popolari e sinistra, che ha comunque garantito la possibilità di praticare alcune linee che l’Unione Europea porta avanti da tempo. Il rischio è che si possa affermare una destra che da quando è nata l’UE, si batte perché questa Unione venga distrutta o fortemente indebolita. Sarebbe il primo caso in cui all’interno del Parlamento europeo si insedia una maggioranza di antieuropei. Questo preoccupa molto, sia per quello che è la loro proposta politica – stiamo parlando di forze politiche xenofobe, anti democratiche per tanti aspetti – e sia per quello che sarebbe il futuro dell’Europa. Si tratta di partiti che fino a pochi anni fa erano contro l’euro, contro Maastricht, contro l’Europa. Come queste forze potrebbero interpretare e indirizzare la nuova Europa, dovrebbe preoccuparci molto.

15 Dicembre 2023

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