Il caso Sicuritalia

Salario minimo e paghe da fame, perché non basta la contrattazione

La Cassazione ha sancito la prevalenza dell’art. 36: la retribuzione deve essere “sufficiente” ad assicurare un’esistenza “libera e dignitosa”. Il giudice può mettere in discussione i contratti poveri come il CCLN Vigilanza Privata

Editoriali - di Marco Grimaldi - 8 Dicembre 2023

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Salario minimo e paghe da fame, perché non basta la contrattazione

A metà ottobre Sicuritalia Servizi di Sicurezza spa, controllata al 99% da Sicuritalia Ivri spa, ha acquisito l’azienda gestita dalla cooperativa Servizi Fiduciari, che a sua volta “fa parte” del grande gruppo comasco Sicuritalia.

A fine novembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato di non avviare l’istruttoria su tale acquisizione, ritenendo che l’operazione “non ostacoli in misura significativa” la concorrenza e “non comporti la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante”. Può darsi.

Questi però sono gli ultimi episodi di una vicenda tutt’altro che pulita, cominciata il 22 giugno, con un’ispezione della Guardia di Finanza di Como e la disposizione di controllo giudiziale (ovvero commissariamento) da parte del Tribunale di Milano della cooperativa accusata di caporalato.

Salari da fame, nonostante un CCNL sottoscritto e da poco rinnovato con le organizzazioni più rappresentative. L’inchiesta della Guardia di finanza di Como per sfruttamento del lavoro e caporalato induce il gip di Milano a disporre il “controllo giudiziario” (ovvero il commissariamento) per la società Servizi Fiduciari.

L’inchiesta rileva paghe orarie di 5,37 euro lordi, pari a circa 930 euro lordi e 650 netti al mese, ma anche stipendi ulteriormente ridotti fino a 450 euro al mese in caso di malattia, giornate di lavoro da 20 ore, 80 ore di straordinari al mese. Poi carenze igienico-sanitarie, insalubrità o pericolosità intrinseche, minacce, intimidazioni e violenza verbale e fisica verso i lavoratori.

Mentre i dipendenti ricevevano i loro 5,37 euro l’ora, il Gruppo Sicuritalia dal 2016 raddoppiava i suoi introiti, registrava fatturati in crescita anche durante la pandemia, fino a raggiungere più di 100mila clienti e ricavi per oltre 700 milioni e più di 17 mila dipendenti.

Numerose sono le cause pendenti, o in corso di instaurazione, nei confronti della Servizi Fiduciari – ricordano gli avvocati Giuseppe Civale e Simona Peluso del Foro di Torino – ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, secondo cui “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

È lecito chiedersi, come osservavano i legali: il 31 ottobre, quando la Servizi Fiduciari ha trasferito a Sicuritalia Servizi di Sicurezza la propria azienda e tutti i dipendenti mettendosi in liquidazione, che ne è stato di condanne, cause in corso e appelli pendenti, in particolare di quelle relative ai rapporti di lavoro cessati?

L’articolo 2112 del Codice Civile prevede, infatti, che l’acquirente risponda dei crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento; che ne sarà del dovuto a dipendenti cessati e relativi a periodi antecedenti al 31 ottobre? Si potrebbe ritenere che ai sensi dell’articolo 2560 del Codice Civile, nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde di quei debiti anche l’acquirente, ma solo se essi risultano dai libri contabili obbligatori.

Ma che cosa accade se le pretese, ancora sub iudice o da proporre, non sono iscritte nei libri contabili obbligatori e l’acquirente può non risponderne? Come si procede se la cedente rimane di fatto una scatola vuota? Come impedire che il trasferimento d’azienda si trasformi in una mossa per sottrarsi nella sostanza alle prossime sentenze di condanna, cedendo attività e guadagni ad altro soggetto? È possibile che ciò accada benché la società sia sottoposta a controllo giudiziario per decreto del GIP di Milano? È la preoccupazione che mi esplicitano gli avvocati torinesi Simona Peluso e Pino Civale, che seguono alcune cause.

Da quello stesso decreto si evince che la cooperativa era di fatto una società di comodo, eterodiretta da Sicuritalia Ivri Spa e in cui la partecipazione alla vita sociale da parte dei lavoratori era di fatto inesistente. Ecco perché una “scatola vuota”. Il tentativo di sfuggire ai processi, e di conseguenza ai propri debiti verso Inps e fisco e verso i lavoratori (soprattutto quelli i cui rapporti sono cessati), appare evidente.

E anche la tempistica è sospetta: il 2 ottobre la Corte di Cassazione, con una serie di sentenze molto articolate e argomentate, ha reso ancora più ineludibile il tema di un salario minimo legale. Dopo che il giudice di primo grado aveva dato ragione al dipendente della cooperativa Servizi Fiduciari, che lamentava la non conformità all’articolo 36 della Costituzione del suo stipendio di vigilante (in un supermercato Carrefour), la Corte d’Appello si era fermata, riconoscendo un primato alla contrattazione collettiva.

La Corte di Cassazione, invece, ha ribaltato la sentenza di secondo grado e sancito la prevalenza dell’art. 36: la retribuzione deve essere “sufficiente” ad assicurare un’esistenza “libera e dignitosa” e la contrattazione collettiva “non può tradursi, in fattore di compressione del giusto livello di salario e di dumping salariale”.

Per la prima volta questo dibattito è arrivato in Cassazione, sancendo che il giudice può mettere in discussione i contratti poveri come il CCLN Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari. E per la prima volta la Cassazione ha parlato di “povertà nonostante il lavoro”, introducendo in sostanza al massimo grado la categoria di lavoro povero nel dibattito giurisprudenziale.

Poco dopo, la Procura di Milano ha messo sotto controllo giudiziario – oltre a Servizi Fiduciari, Cosmopol e Mondialpol – anche la biellese All System e la vicentina Battistolli Servizi Fiduciari, che applicano lo stesso CCLN. Capo d’imputazione: caporalato e sfruttamento del lavoro per compensi tra i 5,3 e i 6,9 euro l’ora. È evidente che c’è una questione di fondo.

Con la sentenza di ottobre, la Cassazione ha affermato che per stabilire un giusto salario la contrattazione non basta, ma si può fare riferimento non solo ad altri CCLN affini, ma a indicatori economici e statistici, nonché alla Direttiva UE 2022/2041, per la quale il salario non deve solo consentire di uscire dalla povertà, ma anche di “partecipare ad attività culturali, educative e sociali”.

Una decisione cruciale, che nessuno può ignorare. Non possono farlo le aziende e non lo dovrebbe fare il Governo, che invece pensa di avere liquidato definitivamente il salario minimo con il voto di ieri alla Camera, con cui ha ratificato un vergognoso blitz: assumere su di sé la delega a decretare sul tema dei giusti compensi, stravolgendo l’impianto della proposta di legge delle opposizioni.

Eppure, quel dibattito che loro hanno evitato con tutte le proprie forze sta già spalancando gli occhi della collettività su un esercito di lavoratori e lavoratrici invisibili, su cui molto spesso si regge il funzionamento delle nostre vite quotidiane.

Da chi immagazzina, muove e trasporta i pacchi che ordiniamo, a chi pulisce gli uffici in cui lavoriamo o gli ospedali in cui entriamo, a chi ci apre la porta o ci fa il biglietto in un cinema, a chi taglia la carne che mangiamo, a chi appunto si occupa della sicurezza nei luoghi pubblici.

È un mondo che brulica di persone di cui molto spesso non ci si accorge ed è un mondo che si regge su elementi di ormai endemica ingiustizia: a partire dall’uso sistematico di esternalizzazioni e subappalti con cui le aziende scaricano la responsabilità dei lavoratori su terzi.

Nella logistica, nei servizi igienici, nei servizi fiduciari si utilizzano contratti collettivi nazionali con salari sotto la soglia di povertà come il CCLN Multiservizi, il CCLN Logistica, il CCLN Commercio, il CCLN Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari. Questi contratti, attenzione, non sono pirata, sono firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, eppure sono contratti “poveri”.

I sindacati non sanno fare il loro mestiere? Non credo. Di sicuro i sindacati sono in una posizione troppo fragile per portare da soli il peso della contrattazione. E il fatto che il Governo si dica strenuo difensore della contrattazione collettiva sembra una brutta barzelletta a un funerale.

Soprattutto se raccontata per bocca di un nemico storico dei sindacati come Brunetta. Se il Governo avesse a cuore la contrattazione, proporrebbe una legge per regolare la rappresentanza e la corrispondenza dei contratti alle mansioni.

Invece finge che sia tutto a posto e propone di usare, per stabilire l’adeguatezza del salario, il parametro del contratto più applicato dalla categoria quando, oltre ai contratti “pirata”, sempre più spesso contratti collettivi con un campo di applicazione trasversale concorrono al ribasso nei confronti di altri contratti collettivi dedicati a determinati settori economici.

Ecco perché sono stati i rappresentanti sindacali stessi a insistere sull’introduzione del salario minimo legale per sostenere la contrattazione collettiva. Per mettere fine con un sostegno normativo a una stagione lunghissima in cui imprese corsare hanno costruito i propri profitti sfruttando il lavoro, senza che nessuno chiedesse loro conto di ciò.

Nei servizi, dove il valore degli appalti è sempre più al ribasso, una legge come questa sarebbe stata decisiva. Il Governo, invece, non ha avuto neanche il coraggio di respingerla a viso aperto. Per viltà e servilismo ha preferito voltare le spalle a milioni di lavoratori e lavoratrici che sono “poveri nonostante il lavoro”.

8 Dicembre 2023

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