Rider e salario minimo

Rider uguale sfruttamento: caporalato digitale e morti per un cheeseburger, altro che sharing economy

A febbraio 2021 la prima condanna per caporalato digitale. L’inchiesta su Just Eat, Uber Eats, Glovo e Deliveroo. 733 milioni di ammende per la violazione di norme sulla sicurezza

Editoriali - di Marco Grimaldi - 22 Agosto 2023

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Rider uguale sfruttamento: caporalato digitale e morti per un cheeseburger, altro che sharing economy

È il 2016. A Torino, come in altre città, da un po’ di tempo si vedono per le strade ragazzi in bicicletta con pettorine e borsoni siglati Foodora. A inizio ottobre quei fattorini apriranno una vertenza, la prima in Italia che coinvolge una società attiva nel servizio di consegna a domicilio di pasti preparati in ristoranti convenzionati, mediante una app, ovvero una piattaforma digitale. Circa 50 lavoratori avviano la prima forma di protesta collettiva per chiedere tutele e diritti nell’ambito della “gig economy”.

Pochi sanno che cosa significa. Ma già da un po’ molti hanno capito che, quando si parla di economia nell’epoca del digitale, bisogna intendersi. Perché l’idea dell’economia condivisa è affascinante, ma con la digitalizzazione si sono diffuse anche pratiche che hanno usato l’evoluzione tecnologica per accrescere diseguaglianze e sfruttare il lavoro. La chiamavano impropriamente “sharing economy”. Nulla di più mendace. Nell’era dell’ “on demand” non esistono piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi forniti generalmente da privati, monetizzando risorse sottoutilizzate o non utilizzate. Bensì, una forma efficiente di vera e propria impresa capitalistica, basata su piattaforme digitali, che organizza un servizio tramite lavoro che sconta flessibilità e intermittenza.

Nell’economia del lavoretto non c’è traccia di condivisione: in compenso il volto di molte attività lavorative viene stravolto, perché la crescita dei servizi prestati ai clienti va di pari passo alla diminuzione di salario e tutele nei confronti dei lavoratori. Il cottimo torna alla ribalta. Nella zona grigia tra il lavoro da freelance e quello da dipendente, gli elementi di subordinazione sono numerosi: uniforme aziendale, orario e turni concordati, luogo di partenza per le consegne prefissato, compenso stabilito unilateralmente dalla piattaforma, rapporto di lavoro spesso continuativo, controllo a distanza tramite geolocalizzazione, rischio interamente schiacciato sulle spalle dei lavoratori.

Inizialmente il contenzioso di Foodora riguarda le biciclette, che i lavoratori sono tenuti a fornire a proprie spese, facendosi carico anche della manutenzione. Lo stesso per smartphone e costi telefonici. Poi viene esteso al salario: per tutti i neoassunti l’azienda è passata da una retribuzione oraria di 5,40 euro a una retribuzione a cottimo (2,70 euro per consegna), fino a estenderla progressivamente all’intera forza lavoro. Infine, i lavoratori mettono in discussione il tipo di contratto: i fattorini e i promoter non sono dipendenti ma risultano liberi professionisti assunti con un contratto di collaborazione coordinata. Non hanno alcun diritto a ferie, copertura per infortuni o malattie pagate. Pochi giorni dopo la protesta, due promoter della società vengono “licenziate” per aver solidarizzato con la mobilitazione. Il licenziamento istantaneo avviene bloccando loro l’accesso alla app, senza alcuna formalizzazione.

La protesta fa scalpore, le speranze sono molte. L’11 aprile del 2018, però, il Tribunale del Lavoro di Torino respinge il ricorso dei sei fattorini di Foodora “sloggati” dalla piattaforma, non riconoscendo la natura subordinata del rapporto di lavoro e quindi l’illegittimità del licenziamento. In quei giorni anche io faccio avanti e indietro delle aule del Tribunale. Ne esco, come tutti, pieno di amarezza e sconforto. Ma arrendersi non si può e, alla fine, questa è anche una storia di conquistata egemonia culturale. Ci vogliono tempo e fatica. È anche una storia di “organizzazione dei disorganizzati”. Ossia di sindacalizzazione dal basso da parte dei lavoratori e progressiva presa di coscienza e attivazione dei sindacati storici.

Perché in territori, situazioni sociali, contesti lavorativi dove la coesione sociale si è allentata, i “margini” si allargano sempre di più e una fetta del mercato del lavoro è sfuggita all’impianto delle regole e delle tutele, le modalità ordinarie di costruzione della rappresentanza sociale sono messe in discussione e la grande scommessa è che sia possibile costruirne di diverse. Il 31 maggio 2018 a Bologna viene firmata la carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano, sottoscritta dalle Riders Union di Bologna, dalle organizzazioni sindacali territoriali, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil e dalle piattaforme digitali Sgnam e Mymenù che operano sul territorio.

Le due piattaforme adottano il Ccln della Logistica firmato dai sindacati confederali, che a luglio del 2018 fissano l’impegno a definire “un regime per le nuove forme di lavoro adibite alla distribuzione delle merci tramite, cicli, motocicli, ciclomotori, natanti ed imbarcazioni” all’interno del Ccln Logistica. Il 10 gennaio del 2019 il processo in appello a Torino stabilisce per i lavoratori torinesi di Foodora – a quel punto acquisita dalla spagnola Glovo – il risarcimento dei pagamenti e dei contribuiti previdenziali non goduti, sulla base della retribuzione stabilita per i dipendenti del quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto merci. È un riconoscimento di fatto della condizione subordinata di chi lavora diretto e organizzato da un datore che trae profitto dalla sua fatica.

Il 24 gennaio 2020, la Corte di Cassazione rafforza questo indirizzo, richiamandosi all’articolo 2 del decreto legislativo 81 del 2015, che estende la «disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Si tratta in sostanza di un’“etero-organizzazione”, di un inquadramento a metà tra quello del dipendente a tutti gli effetti e quello del collaboratore esterno.

Secondo il verdetto della Suprema Corte, i fattorini delle app rientrano in tale categoria e devono quindi essere trattati a tutti gli effetti come subordinati. Mentre l’allora ministro del Lavoro Di Maio esulta per aver approvato un primo provvedimento (inutile), nell’ottobre 2020 Assodelivery e Ugl firmano un accordo ‘pirata’, in cui i rider vengono nuovamente inquadrati come lavoratori parasubordinati e retribuiti a cottimo: nessun diritto a indennità notturne, malattia, infortuni. In risposta, a Bologna viene messo in piedi il sistema di Consegne Etiche, una piattaforma su base cooperativa che riconosce il giusto compenso ai rider sull’onda di quanto stabilito ed accordato con la Carta del 2018.

Ma la storia prosegue, si amplia, si complica. La Procura della Repubblica di Milano avvia indagini sui ciclofattorini delle quattro maggiori multinazionali del settore. Non si tratta solo del versante civile, dove si contestano circa 143 milioni di euro di contributi da regolarizzare e circa 11,5 milioni di euro di sanzioni, per quasi 21mila lavoratori coinvolti. C’è anche un aspetto penale: violazioni delle norme sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Si comincia a parlare di “caporalato digitale”.

La Procura presenta richiesta di archiviazione, il giudice per le indagini preliminari la accoglie, le società versano ammende per un totale di 90mila euro. Ma a breve si aprirà un altro filone d’inchiesta. Il 18 novembre del 2021 10 rider di Uber Eats vincono una causa contro il colosso del delivery: il Tribunale del lavoro di Torino riconosce loro un rapporto lavorativo di tipo subordinato, la società deve versare il totale della retribuzione e delle indennità relative al periodo di assunzione. Il 12 settembre del 2022 la Corte d’appello di Torino conferma la sentenza.

A novembre del 2020, una sentenza del Tribunale di Palermo ordina per la prima volta il reintegro di un rider di Glovo come lavoratore dipendente a tempo indeterminato. A febbraio del 2021 la prima condanna in Italia per caporalato digitale: arrivano le dichiarazioni della Procura della Repubblica di Milano sulla maxi inchiesta che coinvolge sei datori di lavoro di Just Eat, Uber Eats, Glovo e Deliveroo:si tratta di un rapporto di lavoro subordinato”. 733 milioni di ammende per la violazione di norme sulla salute e sulla sicurezza del lavoro e l’assunzione obbligatoria di circa 60mila lavoratori in tutta Italia. Una notizia storica.

A novembre 2022 è la volta della sentenza Foodinho di nuovo alla sezione lavoro del tribunale di Torino: riconosciuta la natura subordinata del lavoro dei fattorini, con il diritto del ricorrente all’inquadramento nel VI livello del CCNL Terziario, distribuzione e servizi. Ma la storia nella storia, purtroppo, è quella degli incidenti, delle ferite, a volte delle morti. A gennaio del 2023 un rider 23enne di origini kenyote muore investito da un bus di linea privata in Piazza Re di Roma, nella capitale. Non è certo il primo a perdere la vita sulle nostre strade durante un turno di lavoro. I fattorini in bici sono l’anello più debole della circolazione viaria non solo per i mezzi di trasporto utilizzati e per le condizioni delle strade, ma per i ritmi e gli orari di lavoro. Ed è dall’inizio di questa vicenda che diciamo che non si può morire per consegnare una pizza o uno stramaledetto cheeseburger.

Altri aspetti inconcepibili emergono dal nuovo fascicolo d’inchiesta del pool Ambiente, salute e lavoro della Procura di Milano, aperto con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ed esteso a tutta Italia: rider che lavorano con un account falso ceduto da altri, tra cui molti stranieri irregolari, ma tantissimi con permesso di soggiorno e che però non hanno gli strumenti linguistici per aprire un proprio profilo e sono costretti a rivolgersi a caporali, che forniscono account fasullo in cambio di una percentuale dei bassissimi guadagni, fino al 50 per cento. Abissi e risalite.

A giugno del 2023, i Ministri del Lavoro Ue raggiungono un primo accordo sulle nuove regole a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme digitali: tra i punti principali l’inquadramento, secondo determinati criteri, dei lavoratori della gig economy come dipendenti e non più come autonomi. A luglio, la Camera approva un ordine del giorno di Alleanza Verdi Sinistra di accompagnamento al Dl lavoro, che chiede di avviare un percorso con le parti sociali per definire lavoro subordinato la prestazione di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici della “gig economy”, prevedendo contemporaneamente il divieto di cottimo per le prestazioni di lavoro svolte tramite piattaforme.

La strada è tracciata, che cosa manca è chiaro: un accordo collettivo che generalizzi i principi dalla Corte Costituzionale, ma soprattutto una legge che inquadri queste tipologie di lavoro in modo chiaro. Esiste una proposta depositata il primo giorno della nuova legislatura: “Disposizioni in materia di lavoro mediante piattaforme digitali”. Attendiamo di poterla discutere in Parlamento. Intanto, mentre i lavoratori portavano avanti la loro lotta, tra il 2016 e il 2020 i ricavi della “platform economy” sono cresciuti di quasi cinque volte, da 3 miliardi di euro a circa 14, con più di 500 piattaforme attive.

Durante i lockdown del 2020 il food delivery ha visto una crescita dei propri ricavi del 125%. Secondo Accenture, a inizio 2022 l’industria globale del social commerce valeva 492 miliardi di dollari e potrebbe raggiungere i 1,2 trilioni di dollari entro il 2025. Dove c’è sfruttamento, quasi sempre c’è profitto. Le piattaforme come Uber, Deliveroo e Glovo potrebbero presto doversi preparare ad assumere i rider che, ancora oggi, lavorano per loro come collaboratori “autonomi”. È tempo di salario minimo legale anche per loro, di un contratto collettivo nazionale, ma soprattutto il tempo è scaduto per il pagamento a cottimo di qualsiasi lavoratore e lavoratrice.

* Deputato Alleanza Verdi Sinistra

22 Agosto 2023

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