Le elezioni olandesi
Chi ha vinto le elezioni in Olanda: al potere l’estrema destra anti islam
Il Pvv, partito anti-europeo e xenofobo raccoglie il 24%. Battuto di 9 punti il cartello dei social democratici. L’alleato Salvini festeggia
Esteri - di David Romoli
Il Pvv di Geert Wilders, estrema destra, islamofobo, antieuropeo, non ha vinto le elezioni olandesi: le ha stravinte. Con il 24% surclassa di 9 punti il cartello Social-democratici-Verdi di Frans Timmermans e di quasi dieci il partito liberale di destra del premier uscente Mark Rutte, ora guidato dalla ministra della Giustizia Dilan Yesilgoz-Zegerius.
L’Europa, dopo le elezioni spagnole e polacche, si era illusa di aver esorcizzato il fantasma temuto di un’ascesa travolgente dell’estrema destra. Si respirava già un clima rilassato da scampato pericolo. Ora scopre che lo spettro è ancora alle porte, più aggressivo e agguerrito che nelle più fosche fantasie e il colpo è tanto più duro in quanto completamente imprevisto.
“Ora non potranno più ignorarci. Governeremo”, gioisce il leader della destra estrema e non gli si può dare torto anche se non è affatto detto che il governo lo conquisti davvero. Nel sistema proporzionale olandese per formare il governo occorre una maggioranza su 150 parlamentari. Il Pvv dovrebbe contare su 37 o 38 seggi.
Un’alleanza con i liberali di destra è possibile, la leader Yesilgoz in campagna elettorale la aveva prima considerata possibile ma nella fase finale aveva fatto retromarcia. In ogni caso i 24 voti del partito di Rutte non basterebbero. Sarebbero necessari anche i 20 voti del Ncs, Nuovo contratto sociale, partito centrista appena fondato da Pieter Omtzigt, il quale però esclude la possibilità di un’alleanza.
A Rutte, dopo le precedenti elezioni, erano stati necessari 271 giorni per dar vita a un governo. La salita di Wilders è più ripida. Per l’Europa un governo guidato dal falco che ha condotto una campagna elettorale al grido di “L’Olanda agli olandesi” sarebbe un problema enorme, anche perché l’Olanda non è affatto un Paese di scarsa importanza nell’Unione.
Popolazione limitata, 13 milioni di abitanti, ma peso finanziario enorme. Bruxelles preferirebbe di gran lunga una maggioranza composta da tutti gli sconfitti e si vedrà nelle prossime settimane, o nei prossimi mesi, se è una eventualità concreta. Ma anche in questo caso la paura non passerebbe, il problema non sarebbe affatto risolto.
La possibilità che nelle prossime elezioni europee i partiti omologhi dilaghino in Francia, con il Rassemblement National, e in Germania, con l’Afd, è del tutto realistica. È vero che ovunque, come già in Spagna e Polonia, quei partiti da soli sarebbero fronteggiati da alleanze di tutti gli altri, ma si tratta di maggioranza spurie, tenute insieme solo dalla necessità di fare da diga all’avanzata dell’estrema destra, dunque deboli e fragili.
Una premier che in compenso ha tutti i motivi di brindare c’è ed è Giorgia Meloni. Wilders è alleato di Salvini, che è stato infatti tra i primi a complimentarsi. Ma la situazione italiana è sempre considerata a rischio e il vero baluardo contro l’ascesa di un sovranismo estremo, in Italia ma anche nell’Unione, è quello “moderato”, pragmatico, responsabile, considerato ormai affidabile a Bruxelles di Meloni e del suo partito.
È un ruolo che non sarebbe stato neppure immaginabile prima dell’ingresso a palazzo Chigi e che le garantisce una rendita di posizione alta in tutte le trattative con l’Europa e in particolare in quella sul Patto di Stabilità. Se ne è avuta una dimostrazione plastica nel corso della conferenza stampa congiunta di due giorni fa della premier italiana e del cancelliere tedesco.
La trattativa sulle nuove regole resta durissima ma quella conferenza stampa, nella quale Scholz ha affermato che “non si può costringere nessun Paese all’austerità”, dimostra che la possibilità di trovare un’intesa almeno non troppo penalizzante per l’Italia passa proprio per il ruolo che esercita la premier e che Meloni si è conquistata con un capovolgimento drastico, ancorché mai esplicitato, delle proprie posizioni.
La conclusione è che al momento il vero baluardo contro le posizioni di sovranismo estremo in un Paese la cui importanza va ben oltre quella già elevata dell’Olanda è proprio Giorgia “la Sovranista” e la vera ragione dell’atteggiamento dell’Europa sin qui benevolo come con nessun altro prima, salvo ovviamente Draghi, è questo.
Il trionfo di Wilders offre alla premier italiana un motivo di soddisfazione in più. Quella vittoria sorprendente è dovuta essenzialmente all’immigrazione. Il caso olandese prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che è quella riserva di carburante che alimenta i consensi della destra estrema.
In linea di principio si potrebbe rispondere a questa emergenza inventando vere politiche di accoglienza e integrazione capaci di abbassare almeno il livello dell’allarme sociale, ma di tendenze in questo senso oggi in Europa non se ne vedono.
La vittoria di Wilders spingerà invece i Paesi europei a far propria con maggior lena e convinzione la strategia di cui proprio Meloni è portabandiera numero uno: basta con le redistribuzioni, il problema è fare in modo che non arrivi nessuno.