I sogni infranti della premier
Perché la sconfitta di Morawiecki in Polonia fa saltare il piano della Meloni
L’idea era quella del “costituzionalismo illiberale”, un ossimoro che però riassume la nuova ideologia dell’estrema destra europea. La sconfitta di Morawiecki fa saltare tutto. Resta solo Lollobrigida...
Politica - di Michele Prospero
Il suo sbandierato punto di forza, la leadership esercitata all’interno di una espansiva famiglia del conservatorismo europeo, si sta trasformando in un incubo. È volata in Spagna, e di “Santi” (come lei chiama il neo-franchista Abascal) si sono perse le tracce. Ha fatto più volte scalo a Varsavia, e il risultato è che il “PiS” di Morawiecki è finito al tappeto.
La più efficace arma dell’antifascismo militante nel vecchio continente sembra essere proprio Giorgia Meloni: ovunque metta piede per suonare il piffero della restaurazione si volatilizzano i “patrioti”, e così le rimane solo la famiglia, non quella continentale dei “Conservatori e Riformisti” che continua a perdere colpi, ma la compagine raffazzonata alla guida del partito e del governo.
Per la statista del Torrino, la Polonia, con le sue leggi liberticide ostili all’autonomia funzionale degli organi giurisdizionali e ai ruoli di garanzia e di controllo, rappresentava nientemeno che “il confine morale dell’Europa”. Per gli studiosi di diritto costituzionale comparato, invece, la destra polacca aveva in maniera molto più prosaica conferito all’ordinamento, che formalmente conserva ancora un volto elettorale-competitivo, un chiaro tratto illiberale mirante a restringere le politiche di inclusione, a bloccare l’apertura all’applicazione delle norme del diritto europeo e internazionale in nome del principio del “primato del diritto nazionale” (che Fratelli d’Italia vuole inserire in Costituzione).
Un importante volume di Tímea Drinóczi e Agnieszka Bień-Kacała ha un titolo inequivocabile: Illiberal Constitutionalism in Poland and Hungary. The Deterioration of Democracy (Routledge, 2022). Pur senza precipitare in un esplicito sistema autoritario di stampo novecentesco, secondo gli autori, il governo trainato da “Diritto e Giustizia” ha disegnato, attraverso continue riforme costituzionali dai lineamenti illiberali, un regime ibrido sbilanciato che, in conformità ad un’accezione minima di democrazia competitiva, non sopprime il voto ma restringe il pluralismo, non schiaccia il dibattito ma condiziona l’accesso alla sfera pubblica, non annichilisce lo spazio deliberativo ma contrae la composizione della società civile.
La Polonia ha conosciuto, durante i governi della destra clerico-sovranista, l’allentamento dei vincoli giuridici europei e lambito una “decadenza democratica”, con un evidente deterioramento dei principi e degli istituti del costituzionalismo liberale (si pensi agli attacchi furenti alla separazione dei poteri e ai diritti civili). La persistenza del legame europeo ha rallentato la propensione del ceto politico dominante verso sbocchi ancora più autocratici, ma, senza un tangibile radicamento popolare effettivo, i valori del costituzionalismo sono comunque condannati all’oblio.
Cucendo la stretta illiberale ordinata nelle istituzioni con “il desiderio di un leader carismatico”, che procede senza una coerenza ideologica nell’apertura di una fabbrica della rabbia, la Polonia ha interrotto l’evoluzione oscillante del sistema politico in senso democratico-rappresentativo coltivando le tare autoritarie e gli arcaismi radicati in consistenti fette di popolo. “Il vittimismo e il narcisismo collettivi, i valori illiberali di un certo modello di società, sono stati fortemente invocati e innescati da un leader autocratico populista di destra, contribuendo così alla formazione di un costituzionalismo illiberale” (ivi, p. 198).
Gli studiosi ricorrono per l’appunto all’ossimoro di “costituzionalismo illiberale” nel tentativo di descrivere un regime populista formalmente squilibrato negli incastri dei poteri statali, che rimodella la costituzione, fa economia dei diritti fondamentali e rafforza la volontà di potenza del capo carismatico sciolto dai limiti delle forme. “Il termine ‘costituzionalismo illiberale’ indica un processo di deterioramento che non ha portato (ancora) ad un’autocrazia o ad un autoritarismo moderno perché esiste ancora un debole vincolo interno nell’esercizio del potere pubblico (‘illiberalizzazione del costituzionalismo’)” (ivi).
Il voto del 15 ottobre, nelle intenzioni del partito alleato di Meloni, avrebbe dovuto legittimare proprio questo modello carismatico-plebiscitario-populista di governo in virtù di una cronica sordità dell’elettorato più tradizionalista ai valori portanti dello Stato di diritto e dell’individualismo moderno. Non sono bastati agli amici di Giorgia l’indizione di un referendum-farsa sui migranti (recita il quesito: “sei favorevole all’ammissione di migliaia di immigrati illegali del Medio Oriente?”), il monopolio della rete, l’occupazione pervasiva dei media e la trasformazione delle emittenti pubbliche in agenzie di propaganda, la ridefinizione dei collegi elettorali per favorire le campagne rispetto alle città, la guerra di “liberazione dall’ideologia LGBTQ+” e dal diritto all’aborto, la trasformazione del sistema giudiziario in appendice del governo.
C’è stata, in un anello debole del laboratorio europeo, una eccezionale mobilitazione di settori rilevanti della società civile per il mantenimento delle strutture portanti del costituzionalismo liberale. La marcia verso un ulteriore inasprimento autoritario giustificato dai valori identitari della fede è stata interrotta, perché il declino democratico, con l’alterazione delle regole del gioco, allarma anche l’opinione pubblica più consapevole in Polonia. La graduale conquista da parte di Meloni di un ruolo nel futuro “governo europeo” è al momento fallita. Se a Varsavia suona la campana a morte del sovranismo e dei governi con il mandato di “difendere Dio”, la premier può rispondere solo annunciando che al Parlamento europeo mostrerà i prodigi del cognato di Tivoli, la macchietta della Sovranità alimentare.