Sorpresa alle urne
Javier Milei, come è diventato presidente il “Grillo” d’Argentina
Battuti il favorito Massa e il peronismo. Il nuovo presidente è una specie di Grillo di estrema destra e ha trionfato al ballottaggio col 56 per cento. Torna in pista la vecchia casta.
Editoriali - di Angela Nocioni
Sorpresa. Ha vinto “il pazzo” Milei. Il voto di protesta manda al governo dell’Argentina, affogata nel 142% di inflazione annuale, una sorta di Beppe Grillo di estrema destra che ha vinto le elezioni con la promessa di abbattere la politica e le sue regole, pronunciata mentre era abbracciato a una motosega.
Javier Milei, 53 anni, ha vinto il ballottaggio con il 56% dei voti. Sergio Massa, il candidato del peronismo e ministro dell’economia, non ha superato il 44%. La differenza tra l’uno e l’altro è stata di quasi tre milioni di voti, un disastro senza precedenti per il peronismo.
“Oggi inizia la ricostruzione dell’Argentina, oggi inizia la fine della decadenza. Il modello portatore di miseria dello Stato onnipresente è finito. Oggi torniamo a inseguire le idee della libertà, quelle dei nostri padri fondatori”, ha detto Milei, ieri, come presidente eletto.
La sua idea di promettere d’essere il Trump di Buenos Aires ha funzionato. Ora si ingegnerà a imitare i passi dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e dovrà farlo in fretta, prima che l’arte di risorgere dalle ceneri del peronismo argentino gli renda l’impresa impossibile.
La classe media argentina, scivolata nella miseria negli ultimi cinque anni, ha scelto il salto nel buio e ha seppellito l’illusione di Sergio Massa di essere diventato il suo punto di riferimento. Lui era certo di prendersi i voti del centro, certo di apparire agli occhi dei conservatori “il male minore”. Invece no. La classe media gli ha preferito la motosega.
Sia per capacità di leadership sia per esperienza politica, Massa è stato percepito come il leader nel governo, e con l’ex presidente Cristina Kirchner e il suo successore Alberto Fernandez fuori scena, questo gli era bastato al primo turno per prendere i voti moderati e del centro, oltre a quelli peronisti classici, perché mostrava di essere affidabile e anche a destra sembravano preferire un classico peronista capace di galleggiare tra scandeletti vari, piuttosto che tentare un salto tra le braccia di un personaggio di nessuno spessore politico.
Dopo il voto delle primarie di luglio (le primarie in Argentina sono obbligatorie e riguardano tutti gli schieramenti, una sorta di prova generale prima del primo turno) Massa aveva recuperato il voto di molti che a destra avevano scelto “el loco Milei” (il pazzo Milei) che nella politicamente fondamentale Provincia di Buenos Aires – l’ex cordone operaio attorno alla capitale nel quale si concentra un quarto dell’elettorato – non aveva potuto superare il 25%. Lí Massa al ballottaggio era sicuro di replicare il 43% ottenuto al primo turno.
E invece no. Ora, furioso, ha capito che molti l’hanno tradito tra i vecchi “punteros” peronisti, i vecchi luogotenenti che assicurano il controllo capillare del voto da decenni in quell’enorme distretto, riserva di voti sicuri e che invece gli hanno fatto perdere quel fondamentale vantaggio sull’outsider Milei.
Ed è lì che si staglia la figura dell’opposizione a Milei: l’unico sopravvissuto, l’astuto radicalissimo Axel Kicillof. Lui, governatore della provincia di Buenos Aires, il pupillo di Cristina Kirchner, è l’unico governatore peronista di peso che è rimasto in piedi dopo i diversi turni elettorali di quest’anno. E già parla come la punta di diamante della resistenza al piano di ristrutturazione economica annunciato da Milei in campagna elettorale.
I consiglieri di Massa ieri si mangiavano le mani rimproverando a se stessi di essersi adagiati, dopo il successo del primo turno, sul detto “il leone che ruggisce troppo forte, spaventa”. Erano certi che la campagna di Milei avesse incorporato elementi eccessivi anche per gli arrabbiati elettori argentini: soprattutto pensavano che gli insulti a papa Francesco gli sarebbero costati molti punti percentuali.
Invece no. Pur in uno scenario economico di grande crisi, di impoverimento della classe media e di incertezza, la promessa dollarizzazione dell’economia che Milei sbandiera, e che manderebbe alla fame nera i non ricchi, è restata per la maggioranza dei votanti in secondo piano rispetto alla tentazione di buttare alle ortiche la Casta. Così la chiamano, come da noi nel primo grillismo: la Casta.
Ovviamente con Milei torna ora in grande spolvero un’altra casta argentina: non i navigati faccendieri peronisti di Sergio Massa, ma le facce della vecchia destra che stanno dietro i grandi elettori di Milei: l’ex presidente liberista Mauricio Macri e la sua ex ministra delle finanze Parricia Bullrich.
Milei non ha nessuna idea di quale siano le leve del potere di governo. A loro, anche ignorandoli in pubblico, finirà necessariamente per affidarsi. A loro e ai latifondisti della soia, ai viceré dell’agrobusiness, ai grandi esportatori che, giocando di sponda con quel che è rimasto (tanto) della destra militare che volle e appoggió il regime di Videla (1976-1983), sono ancora le colonne della vera destra argentina. E hanno mostrato con un colpo grosso di saper capitalizzare anche il voto di protesta dei lavoratori finiti in miseria.