La manifestazione
Manifestazione per la pace, siamo tutti palestinesi e israeliani
Non richiede prudenze, bilancini. Se si va in piazza è per la pace e per la difesa degli oppressi. Oggi sono i palestinesi, ieri gli israeliani
Editoriali - di Piero Sansonetti
Oggi scende in piazza il Pd. Sarà la sua giornata. Finalmente il popolo della sinistra entra nell’arena politica e rompe il silenzio. Speriamo che sia una manifestazione grande, forte, combattiva. Speriamo che il Pd torni in gioco.
Fino ad oggi la sinistra è stata silenziosa sul tema decisivo: la guerra. Io sono convinto che il pacifismo sia la madre di tutte le battaglie della sinistra. Perché è costruito sul più importante ed assoluto di tutti i suoi principi. Quello che dice che il conflitto – la lotta politica, per qualcuno anche la lotta di classe – non è guerra ma è esattamente ciò che sostituisce la guerra.
Anche perché la legge del più forte – cioè la legge che regola la guerra – è la più ingiusta fra tutte le leggi, e i “gendarmi del mondo”, per definizione, sono dalla parte della sopraffazione, non della liberazione. Il pacifismo è nel Dna della sinistra da almeno 80 anni. Lo era ancora prima, ai tempi dei vecchi socialisti – Costa, Turati, in Italia, Jean Jaures in Francia, August Bebel, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in Germania – ma è diventato vera e propria pietra fondativa dopo l’olocausto e Hiroshima, con i “partigiani della pace”, con l’impegno di personaggi giganteschi come Einstein, Oppenheimer, Bertrand Russell, Joliot Curie.
Mi permetto di trascrivere queste poche righe di un discorso parlamentare di Jaurès (1895), che all’epoca era il capo del partito socialista francese: «Signori, c’è solo un modo per abolire la guerra tra i popoli, è quello di abolire la guerra economica, il disordine di questa società; è quello di sostituire la lotta universale per la vita – che conduce alla lotta universale sul campo di battaglia – con un regime di concordia sociale e di unità. Ed ecco perché, se non si guarda alle intenzioni che sono sempre vane, ma all’efficacia dei princìpi e alla realtà delle conseguenze, razionalmente, profondamente, il partito socialista è, nel mondo di oggi, l’unico partito della pace».
Idee vecchie? A me sembrano le idee del futuro. Perciò la speranza è che finalmente il partito più importante della sinistra italiana – e uno dei più forti partiti della sinistra europea – torni alle sue battaglie. Rinunciando a prudenze, paure, tatticismi. Ho letto che il Pd vorrebbe impedire che oggi a piazza del Popolo, dove si svolgerà la manifestazione, sventolino le bandiere della Palestina.
Spero che non sarà così. Spero che le bandiere sventoleranno. In questi giorni è in corso una feroce aggressione da parte dell’esercito israeliano contro la Palestina. I morti, tra i civili, sarebbero circa 11.000. Ma il Washington Post sostiene che siano molti di più. Un cittadino di Gaza ogni 200 è stato ucciso. Di questi più di quattromila sono bambini.
Vi rendete conto: 4000 bambini uccisi dalle bombe in 30 giorni. Più di cento al giorno. È una delle stragi di innocenti più veloce e tragica di tutta la storia, almeno della storia dell’Occidente. Circa 700 giornalisti di tutti i paesi occidentali hanno firmato un documento nel quale condannano la censura e affermano che le parole che andrebbero usate per descrivere quello che sta succedendo, e che è successo, e che succederà, sono parole terribili: apartheid, pulizia etnica, genocidio…
Non credo che nessuno al mondo, onestamente, possa negare che in questo momento il popolo della Palestina è vittima di un’aggressione spietata che tende ad annientarlo. E sulla base di quale ragionamento, allora, si può chiedere a un pezzo di popolo pacifista di considerare la bandiera degli oppressi come uno straccio di provocazione? E qual è la ragione di questa richiesta? La necessità di non schierarsi, di smussare, di non esagerare con la denuncia dell’orrore?
Il problema non è quello di prendere le distanze dagli oppressi. Casomai il problema è quello di vedere come la doppia aggressione – prima di Hamas al popolo israeliano e poi del governo israeliano al popolo palestinese – non produca una spaventosa doppia ondata razzista. Doppia perché costituita da due razzismi opposti: quello antico antisemita e quello più recente anti-islamico. È un rischio molto grande, al quale ci si può opporre solo con le armi del pacifismo.
Tra i nomi che ho citato qualche riga sopra, dei fondatori del pacifismo, ci sono quelli del tedesco Bebel e del francese Jaurès che furono veri e propri leader della battaglia contro l’antisemitismo. In particolare Jaures, insieme ad Emile Zola, fu uno dei più accaniti difensori di Alfred Dreyfus, vittima storica della persecuzione antisemita in Francia.
Non è prendendo le distanze dalle vittime che si costruisce la pace. È schierandosi al loro fianco. È, in questo caso, ripetendo il grido di John Kennedy (“siamo tutti berlinesi”) e aggiornandolo e raddoppiandolo: siamo tutti palestinesi, siamo tutti israeliani.
E perciò andando in piazza con le nostre bandiere. Quelle del popolo della Palestina, quelle del popolo di Israele, perché noi sappiamo che solo se sventoleranno insieme queste bandiere sarà possibile tornare al dialogo e alla pace.