Il conflitto Israele-Palestina

Intervista a Beppe Vacca: “Le cause della crisi israeliana cercatele in Ucraina”

"La sicurezza di Israele, durante l’età del bipolarismo e della Guerra Fredda, è stata garantita da un equilibrio internazionale. Come si può farlo ora, se il mondo delle grandi potenze precipita in uno scontro radicale come quello iniziato nel 2014 a Piazza Maidan?"

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

14 Novembre 2023 alle 11:00 - Ultimo agg. 14 Novembre 2023 alle 20:11

Condividi l'articolo

Intervista a Beppe Vacca: “Le cause della crisi israeliana cercatele in Ucraina”

Il disordine mondiale e le guerre che ne sono il frutto avvelenato. Ne parliamo con Giuseppe Vacca, Professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bari, già direttore dell’Istituto Gramsci, più volte parlamentare del Pci.

Professor Vacca, nell’ultimo numero di Limes, “Guerra Grande in Terrasanta”, il direttore Lucio Caracciolo s’interroga sul perché siamo finiti nella Guerra Grande. “Risposta – cito testualmente – : perché le massime potenze si vogliono in pericolo di vita. Vale per Stati Uniti, Cina e Russia. Ciascuna a suo modo sente l’acqua alla gola. Il panico confonde la mente dei decisori e accelera la disgregazione del ‘mondo basato sulle regole’, leggi: egemonia americana”. Cosa ne pensa?
Nella sostanza, almeno in parte, io penso la stessa cosa del direttore di Limes. La situazione che si è venuta creando negli ultimi anni è sempre più determinata dalla impossibilità degli Stati Uniti di avere una proiezione egemonica mondiale, anche per avere ritenuto, agli inizi degli anni ’90, che la Guerra fredda era finita con la loro vittoria, la vittoria del mercato e della democrazia, e che quella (presunta) vittoria apriva una prospettiva di egemonia unipolare americana basata sul mantenimento delle distanze tra la potenza militare degli Stati Uniti e l’insieme delle forze militari dei loro alleati, e comunque la loro superiorità rispetto al mondo ex sovietico e anche alla Cina. Questo ha creato una narrazione che io ritengo infondata…

Vale a dire?
Che si potesse parlare, per il dopo Guerra fredda, di un mondo unipolare, quando la struttura del mondo era già multipolare da diversi anni. E questa forse è, nel lungo periodo, la principale ragione dell’inadeguatezza della regolazione bipolare delle relazioni internazionali, quella che era valsa fino agli anni ’80, Gorbaciov incluso ed escluso al tempo stesso. Vede, quello che mi colpisce, non solo nella guerra russo-ucraina ma anche in quella che Caracciolo chiama la Guerra Grande apertasi in Israele e a Gaza, è la estrema debolezza dell’Occidente. Occidente inteso come Stati Uniti e in questo caso Israele. La debolezza è provata dal modo del tutto frettoloso e fallimentare del ritiro dall’Afghanistan, cioè dell’inadeguatezza della risposta all’11 Settembre, all’attacco alle Torri gemelle. Risposta data in termini di caccia globale all’islamismo, a Bin Laden, compresa la sua uccisione, sulla linea che poi era sempre quella di George W.Bush, e cioè che il compito che giustifica e legittima la funzione mondiale degli Stati Uniti non è tanto la possibilità di essere partner di un nuovo equilibrio mondiale, quanto nell’essere il protagonista principale, se non assoluto, nella lotta al terrorismo internazionale.

Cosa non regge in questo schema, professor Vacca?
Non regge, per dirne una, l’estrema riduzione a terrorismo di ogni fenomeno che non sia inglobabile in una espansione lineare dei modelli occidentali di politica e di economia. Su questo mi lasci aggiungere una cosa che ritengo di grande importanza e che può risultare indigesto ad un certo pensiero irreggimentato….

Qual è questa considerazione indigesta?
Terrorismo non è un soggetto politico. Terrorismo è una forma di lotta. Basti ricordare quanto sia stato sapiente l’uso del terrorismo da parte del movimento sionista nella formazione, soprattutto contro la volontà degli inglesi, dello Stato d’Israele. Il terrorismo internazionale come nuovo Nemico è una narrazione di comodo, che però nel medio periodo ha mostrato e sta mostrando sempre di più una grande debolezza.
La grande debolezza sta, appunto, nell’unilateralismo americano, cioè nel pensare di poter dettare un ordine sostanzialmente da soli. Questo si è rivelato particolarmente nella guerra russo-ucraina…

In che modo?
Con la risposta data innanzitutto attraverso delle sanzioni esagerate, esorbitanti, a cui l’Europa si è uniformata sebbene fosse la parte destinata ad essere maggiormente colpita, per i contraccolpi determinati da questa politica di eccesso sanzionatorio.
Questo non ha giovato nemmeno a Israele.

Perché?
In questa strategia non vedo la cura con cui gli Stati Uniti si sono fatti carico di garantire la sicurezza d’Israele.
La sicurezza d’Israele è stata garantita, nell’età del bipolarismo e della Guerra fredda, dal fatto che quello era comunque un equilibrio internazionale. Il problema di come si garantisce la sicurezza d’Israele ha implicato innanzitutto una nuova responsabilità delle sue classi dirigenti, il farsi carico di dover fare una politica verso il mondo arabo in prima persona, cosa che non è mai stata impostata in termini adeguati. E per quanto riguarda l’Occidente, come si fa a garantire la sicurezza d’Israele se poi il mondo delle grandi potenze precipita in uno scontro così radicale come quello che è cominciato sostanzialmente nel 2014, a Piazza Maidan, con l’uso dell’Ucraina come piede di porco per rendere la Russia permanentemente instabile o comunque soggetta a insicurezza, impossibilitata a reclamare e a costruire un proprio ruolo di grande potenza. Con l’illusione di poter mantenere la Russia nelle condizioni in cui aveva accettato di essere negli anni di “Corvo Bianco”, Boris Eltsin, prima che arrivasse la squadra di Putin, con la ricostruzione non solo della potenza ma anche della società russa che ha fatto nel corso degli ultimi 15-20 anni. Non c’è un meccanico rapporto causa-effetto, ma non v’è dubbio che lo scontro radicale esploso sul fronte russo-ucraino ha dei riverberi planetari, e dunque anche sullo scenario mediorientale. L’altro elemento che colpisce nella guerra israeliana, è la straordinaria fragilità mostrata per la prima volta dall’apparato militare d’Israele. A parte il giudizio su Hamas, che non può essere ridotto a puro soggetto terroristico, per le ramificazioni e le solidarietà che comunque suscita in tutto il mondo islamico e non solo, Israele per la prima volta è stata colpita in quello che era il core del suo prestigio e della sua potenza, cioè la sua forza militare e la proiezione esterna della sua forza, i servizi d’intelligence. E’ incredibile come tutto questo apparato sia stato colpito al cuore dall’attacco del 7 ottobre. Come si può pensare di garantire Israele, una volta che da quindici anni alla testa del Paese c’è Netanyahu? Netanyahu andava prevenuto, adesso francamente non so come se ne possa uscire. Netanyahu è una grande personalità dell’estrema destra internazionale, che ha un credo molto preciso.

In cosa s’invera questo credo, professor Vacca?
La guerra è inevitabile e nulla si ottiene senza di essa. La guerra per la guerra.
Per tornare alla domanda iniziale. Concordo profondamente con questo angolo del triangolo – gli Stati Uniti – a cui accenna Caracciolo. Molto meno per quanto riguarda la Russia e la Cina. C’è un anno chiave in questa evoluzione internazionale.

Quale?
Il 2008-2009. Un biennio nel quale l’elusione del problema posto dall’esplosione della prima globalizzazione “clintoniana”, e l’imposizione dello stesso tipo di sviluppo trainato dalla speculazione e dalla finanza, che tagliò subito le gambe al neo presidente Obama, e che tentò di riversare sulla Russia tutto il peso della crisi mondiale, trovò una soluzione nel fatto che la Cina intervenisse a sostegno della Russia e d’allora si è stabilito un asse strategico, che è poi quello che guida tutta l’evoluzione del mondo dei BRICS e il tentativo di fare dell’Asia un nuovo grande polo dell’articolazione multipolare. Questa strategia è andata avanti, e ancor più avverrà nel 2024, a fronte della risposta di un Occidente sempre più frantumato al proprio interno. Di nuovo, si torna alla guerra in Ucraina. Alla favola che quella guerra sia stata voluta da Putin e che essa rappresenti una minaccia per tutto l’Occidente, quando lì la guerra è cominciata nel 2014 ed è stata fortemente covata dal modo in cui Stati Uniti e Gran Bretagna, in difformità dall’Europa, hanno alimentato una evoluzione dell’Ucraina nel senso che poi abbiamo visto e al quale Putin non ha potuto rispondere in altro modo. Questo eccesso di risposta all’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, e la favola di cui sopra, hanno accelerato il processo di costruzione dell’alternativa dei BRICS che continua a procedere e che ha fortemente accelerato i tempi della contendibilità asiatica dell’egemonia americana.

Asiatica?
Dico asiatica, perché io non riesco più a separare Russia, Cina, India e persino Iran, per non dire delle proiezioni in America Latina, di un’alternativa all’ordine mondiale che gli Stati Uniti hanno presuntivamente cercato di dettare dopo la fine del bipolarismo, con una accelerazione dei tempi che non si aspettavano. I loro think tank, i policy maker, ammettono che non pensavano che questi problemi sarebbero stati posti così rapidamente, perché ritenevano che prima del 2030 la Cina non sarebbe stata in grado di attrezzarsi da grande potenza. “Profezia” clamorosamente smentita dalla realtà.

E tutto questo come investe l’Occidente?
In una uniformazione agli Usa. Con la trasformazione della Nato, il suo allargamento, e la sospensione di fatto del processo europeo di Maastricht, c’è una nuova unificazione dell’Occidente, ma come parte unilaterale e unilateralista che non è capace di porsi il problema di come si arrivi ad un nuovo ordine mondiale. Sotto questo profilo, mi piace segnalare un libro uscito di recente di Salvatore Minolfi, Le origini della guerra russo-ucraina, che ricostruisce molto bene come ci si arriva, attraverso l’evoluzione della dinamica delle relazioni internazionali post-’89 e post ’90, e non a caso, conclude con la speranza che gli Stati Uniti ritrovino il principio di realtà.

Professor Vacca, cosa significa per lei essere oggi “amici d’Israele”?
Vuol dire assumere il pieno diritto del popolo ebraico ad avere una patria e assumere la sicurezza d’Israele come grande compito della comunità internazionale. La dico così. In un mondo che si va riarticolando in grandi poli, geopoliticamente Israele è destinata ad essere collocata in Asia. Come si fa a garantire la sicurezza d’Israele se non contribuendo ad un ordine mondiale che risolva il problema palestinese, che garantisca Israele, anche di fronte alle difficoltà della sua evoluzione demografica? Di fronte ad una estrema destra la cui immagine più tragica è Netanyahu, si tratta di mettere in atto un’azione che non si limiti, con la lusinga o anche con moniti che lasciano il tempo che trovano, a contenere quella deriva possibile. Come l’altra deriva possibile è lo svilupparsi dell’uso del terrorismo da parte dei palestinesi. L’uno chiama l’altro. Questa doppia deriva può essere spezzata solo dalla politica, non dalla forza bruta.

14 Novembre 2023

Condividi l'articolo