Verso la riconferma
Sanchez verso il governo, ma ci sono molti rischi
Le “convergenze parallele” trovate con gli indipendentisti catalani espongono il governo a molti rischi: dall’amnistia alle richieste di sovranità di Barcellona, fioccano le incognite
Esteri - di Stefano Ceccanti
Come prevedibile e previsto, Sanchez si avvia alla riconferma da presidente del Governo, avendo in particolar modo superato lo scoglio dell’accordo con i secessionisti di Junts, l’unico veramente problematico tra quelli da stipulare.
Le coordinate che spingevano a questa conclusione consistevano nell’assenza di alternative migliori per la Spagna. La cultura politica dei due principali partiti, Pp e Psoe, esclude formule più o meno esplicite di grande coalizione, che danneggerebbero in particolare il partito che non avesse la guida del governo, apparendo come subalterno.
Inoltre, e soprattutto, l’ascesa di un partito di estrema destra come Vox fa sì che uno scenario, dopo eventuali elezioni ripetute, di un governo che dipendesse da esso, scatenerebbe una polarizzazione estrema nella società, analoga a quella vista in Italia nel 1960 col governo Tambroni.
Il conflitto di questi giorni nelle piazze contro Sanchez sarebbe ben poca cosa rispetto a quello scenario. È prevalsa quindi, a ragione, la linea tra tutte le forze politiche non di destra del TTV, tutto tranne Vox. Ciò detto, valutiamo laicamente il testo dell’accordo bilaterale.
Ci sono anzitutto degli aspetti obiettivamente molto positivi e corretti, a partire dal riconoscimento di uno dei punti di origine della crisi tra centro e periferia, la discussa sentenza del Tribunale costituzionale che fece saltare ampie parti dello Statuto catalano.
Il testo non nega poi affatto, con grande trasparenza, le differenze di fondo che fanno sì che l’accordo di maggioranza sia in realtà un’intesa da “convergenze parallele”: Junts ribadisce che vuole un referendum di autodeterminazione e il Psoe che non lo condivide affatto perché con esso si sarebbe fuori dalla Costituzione, nessuna via unilaterale può essere accettata.
Ci sono poi delle ipotesi ragionevoli che possono sfociare in accordi utili a depotenziare il conflitto centro-periferia: il miglioramento del sistema di finanziamento, la ricerca di una modalità per riprendere la definizione di Catalogna come Nazione senza che questo comporti una sovranità statale.
All’opposto ci sono però degli elementi obiettivamente poco sostenibili: l’idea che esista una qualche realtà internazionale di accompagnamento degli accordi tradisce un approccio confederale, come se si trattasse di intese tra Stati sovrani, che non è in alcun modo difendibile; ma soprattutto non sono chiarissimi i contorni della possibile amnistia che rischiano, salva verifica dei testi, di includere alcune tipologie di corruzione economica.
Cosa ricavare da questo bilancio complesso? Che l’accordo rende possibile l’investitura di Sanchez e anche un percorso positivo di inizio legislatura; tuttavia le contraddizioni sono tali che potrebbero non condurre alla scadenza normale di quattro anni. L’accordo non è quindi solo per l’investitura, ma non è neanche credibilmente di legislatura. È un’intesa di “convergenze parallele”, come tale destinata a un certo punto ad essere rinegoziata o a sfociare in un possibile scioglimento anticipato. Un’uscita ragionevole di fronte ad alternative peggiori.