Il portavoce di Unicef Italia

“Gaza cimitero dell’umanità”, intervista a Andrea Iacomini

«Da entrambe le parti ci sono piccoli traumatizzati: non dormono, non parlano più. Bisogna fermare la spirale dell’odio, crescere una generazione diversa. Ai giovani dico: scendete in piazza per una pace giusta, la pace di Papa Francesco»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

11 Novembre 2023 alle 10:30

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Il portavoce Unicef Andrea Iacomini
Il portavoce Unicef Andrea Iacomini

“Gaza è ancor più di un cimitero dei bambini. Gaza sta diventando il cimitero dell’umanità”. Ad affermarlo è Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.

Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha dichiarato: «Ogni anno, il numero più alto di uccisioni di bambini da parte di qualsiasi attore in tutti i conflitti a cui assistiamo è al massimo di centinaia. In pochi giorni a Gaza abbiamo migliaia e migliaia di bambini uccisi, il che significa che c’è anche qualcosa di chiaramente sbagliato nel modo in cui vengono condotte le operazioni militari». Gaza il “cimitero dei bambini”.
In realtà Gaza è il cimitero dell’umanità. Non si ferma a Gaza l’eccidio di bambini. È sbagliato fare distinzioni tra bambini di Gaza e bambini israeliani, come farle tra bambini vivi e bambini morti, o distinguerli per la loro provenienza. Quello che accade da un mese a Gaza e in Israele è un disastro inimmaginabile che colpisce i bambini, ma che avviene negli ultimi vent’anni sistematicamente in tante parti del mondo, con numeri ancora peggiori. Gaza è il punto finale. Questa umanità ha ucciso, trucidato, mutilato, ferito, ridotto a sfollati, a profughi, milioni di bambini. Loro sono nel mezzo della peggiore crisi umanitaria e politica del pianeta, che è iniziata dalla ex Jugoslavia, proseguita con il Ruanda, andata avanti con l’Iraq, arrivando alla peggiore di tutte, la guerra in Siria, che ha segnato una ecatombe di bambini. Questo non è un mondo a misura di bambino e probabilmente neanche di uomo. Oggi ci scandalizziamo, ma ieri abbiamo dimenticato i morti in Siria, come quelli dello Yemen o di altre crisi. Crisi che non sono legate soltanto alle guerre, 450 milioni di bambini vivono oggi in zone di guerra, ma sono anche bambini vittime di emergenze, di catastrofi globali, che abbiamo completamente perso per strada.

Per tornare sulla stretta attualità. A differenza di tanti altri, l’Unicef i bambini di Gaza ha cercato di sostenere e di salvare anche quando c’era la “normalità”. Ma che “normalità” è quella dei bimbi che vivono in una prigione a cielo aperto che è Gaza?
Da tempo non era neanche una parvenza di normalità. 800mila bambini avevano difficoltà ad accedere all’acqua potabile. Come Unicef facevano da tempo un lavoro di assistenza, ad esempio con i centri di pompaggio, sistemi di desalinizzazione dell’acqua. Attività di istruzione, sostegno rispetto ai traumi, che stavano dando dei frutti, ma restava una situazione insostenibile che veniva da lontano. Noi siamo da sempre presenti nella Striscia. Non a caso che quando è scoppiata la guerra, i nostri interventi erano già pre-posizionati. Avevamo pasticche per la potabilizzazione dell’acqua, kit igienico-sanitari, team preposti per sostenere le famiglie. Abbiamo riparato subito i sistemi di desalinizzazione dell’acqua, siamo entrati con 50 camion, anche se abbiamo ribadito che ce ne vogliono almeno 100 al giorno per far fronte alle necessità più impellenti. Eravamo presenti negli ospedali per sostenere, con medicinali, i reparti di ostetricia, anche se sappiamo che la mancanza di carburante mette a rischio la vita di centinaia di neonati e ci sono 14 ospedali che non funzionano più. La nostra è una storia di grande presenza. Anche su un altro piano fondamentale.

Quale?
Il lavoro nelle scuole. Sia nella Striscia, sia in Cisgiordania, sia in Israele. Contribuire al dialogo, far parlare questi bambini, farli sentire tutti uguali, togliere le distanze, insegnare la convivenza, la fratellanza, la pace. Questa parola che invece di unire in una unica idea, come fu dopo la seconda guerra mondiale, oggi divide, lacera, contrappone. La pace è una sola. Ed è quella che meritano i bambini. Un altro lavoro molto importante che veniva fatto è quello sui traumi. Il grande tema di questo mese di guerra, oltre quello dell’acqua. Ci sono bambini, da entrambe le parti, che non dormono, che non rispondono più, che non parlano, che fanno la pipì a letto, e se sentono soltanto il rumore di un mobile che si sposta, di una finestra che si apre, pensano che sia un bombardamento: come i bambini ucraini, yemeniti, siriani. Bambini che hanno visto il papà o la mamma uccisi o feriti, che hanno perso il fratello o la sorellina, la casa, i giocattoli. Noi lavoriamo per il superamento di questi traumi. Bisogna cercare di fermare una spirale per la quale oggi cresciamo una generazione di bambini e bambine che odiano e che saranno gli adulti terroristi o che domani bombarderanno e si uccideranno a vicenda. Se si continua così non si va da nessuna parte. Bisogna crescere una generazione diversa e certo non è questo il modo.

Di fronte a questa tragedia immane, l’Unicef, insieme a tutte le altre agenzie Onu e importanti Ong internazionali, ha chiesto una tregua umanitaria.
Sin dai primi giorni, noi abbiamo chiesto l’apertura dei valichi, un cessate il fuoco immediato, cosa complicata, e una tregua umanitaria. È bene chiarire che tregua umanitaria significa almeno 72 ore per portare gli aiuti, per potere entrare nelle zone critiche, per fare uscire da Gaza i bambini e le bambine più gravi, per arrivare nei posti dove è più difficile accedere. Non è mai capitato che ci fosse un appello congiunto di tutte le agenzie umanitarie per chiedere una tregua umanitaria. E questo dà il segno della drammaticità della situazione. Noi di Unicef abbiamo valorosi colleghi che continuano a operare a Gaza, con i quali a un certo punto abbiamo perso anche il collegamento, perché non c’era elettricità, connessioni telefoniche. A loro va tutto il plauso per il grande lavoro che fanno. Noi siamo collegati anche a due Ong locali, alla Mezzaluna rossa, che stanno facendo un lavoro eroico. Ma senza una tregua immediata, di almeno 72 ore, è tutto molto, molto complicato.

In questo mese le agenzie Onu hanno perso tanti operatori, vittime dei bombardamenti nella Striscia. Quale sono le testimonianze che più l’hanno toccata?
Penso, con dolore e commozione, a quella collega dell’Unicef che ci ha chiamato e ci ha detto che una persona palestinese delle Ong locali che ci supportano, aveva perso la madre e quattro figli. Le perdite più grandi le ha avute soprattutto l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Ma quella che mi ha colpito di più è la storia di una bambina, si chiama Nesma, che raccontava che non ce la faceva più e che chiedeva alla mamma perché non beveva più l’acqua potabile ed era costretta a non bere o a bere acqua non buona o addirittura alcune volte l’acqua del mare. Sentire un bambino innocente che domanda perché non posso più bere l’acqua è una cosa agghiacciante, assieme alle testimonianze di famiglie sfollate, disperate, che hanno perso tutto.

Su conflitti e tragedie umanitarie che durano da tempo, i riflettori dei media, oltre che l’interesse della comunità internazionale, si spengono e si riaccendono a comando.
Sull’emergenza a Gaza le Nazioni Unite si pronunciavano dal 2005 con report dettagliati in cui si evidenziavano profonde criticità tra le due parti in causa. È come la cronaca di un disastro annunciato. Viviamo in un pianeta dove una emergenza “mangia”, oscura, le altre. E la comunicazione accende i riflettori e poi li spegne con una facilità tale per cui quando una emergenza non trova più spazio sui nostri media, improvvisamente il cittadino “comune” pensa che quella emergenza sia finita, mentre quello è proprio il momento in cui l’emergenza ha bisogno di sostegno, di continuità. Non è un caso che gli aiuti umanitari, come ha rimarcato anche l’Alto commissario dell’Unhcr Filippo Grandi, a livello globale si siano dimezzati. E aumentano invece gli investimenti in armi perché aumentano i conflitti. A questo siamo arrivati. Vorrei concludere con un auspicio rivolto soprattutto ai giovani, agli studenti.

Qual è questo auspicio?
Il 20 novembre è la Giornata mondiale dell’infanzia, spero che si ritrovino in piazza, non a gridare da una parte o dall’altra, non a insultare una parte o l’altra, ma unirsi per chiedere con forza ai governanti del pianeta, alle classi dirigenti globali, che per noi prendono posizione, che ci vuole una pace giusta, che non abbia colore, perché di mezzo ci sono i bambini. La pace di Francesco, quella a cui inneggia il Papa. L’unico che racconta e denuncia le storture di questo secolo. Ai giovani di dovremmo insegnare ad andare in piazza e a manifestare, senza colori, e poi andare alle urne per scegliere chi vuole davvero la pace e non chi alimenta la guerra e semina odio.

11 Novembre 2023

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