I flop della premier

Meloni verso l’ennesimo fiasco: dopo i flop di Cutro e Tunisi ci prova con l’Albania

Il patto con Edi Rama coglie di sorpresa e imbarazza von der Leyen. L’opposizione è sul piede di guerra (in Italia e in Albania) ma altri guai aspettano l’ultima trovata di Meloni, alla ricerca di qualche risultato sul fronte immigrazione. A cominciare da una pioggia di ricorsi...

Politica - di David Romoli

8 Novembre 2023 alle 11:30

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Giorgia Meloni ed Edi Rama
Giorgia Meloni ed Edi Rama

L’accordo tra Giorgia Meloni ed l’albanese Edi Rama per “esternalizzare” in Albania un porto dove far sbarcare i migranti salvati dalle navi della Marina italiana, Shengjin, e un Cpr per i richiedenti asilo, a Gjader, è sotto un tiro incrociato che minaccia di riservare all’ultima trovata della premier italiana lo stesso esito fallimentare di quelli precedenti.

L’alleata europea numero uno di Meloni, la presidente della Commissione von der Leyen, è in palese imbarazzo, anche perché né lei né nessun altro a Bruxelles era stato avvertito dell’intesa italo-albanese sino all’ultimo. Ne hanno saputo qualcosa solo lunedì pomeriggio. Le fonti della Commissione si trincerano dietro un diplomatico “Aspettiamo di conoscere i dettagli che abbiamo chiesto”. Fingono di credere alla spiegazione italiana, secondo la quale finirebbero in Albania solo i richiedenti asilo salvati in acque internazionali, dove le regole Ue non valgono.

Il particolare per cui, trattandosi di navi della Marina e non delle ong, sono a tutti gli effetti suolo italiano viene per ora sottaciuto ma è evidente che il gioco non potrà durare a lungo. L’Albania non fa parte dell’Unione, anche se molto probabilmente la contropartita promessa dal governo italiano a quello albanese è proprio un supporto alla richiesta di entrare nell’Unione. Ma al momento e ancora a lungo l’idea di spostare in un Paese extra Ue i migranti in attesa di risposta alla richiesta di asilo non è accettabile per Bruxelles.

L’opposizione, in Italia, è sul piede di guerra. Schlein denuncia la norma “in aperta violazione del diritto internazionale e del diritto europeo”. L’obiettivo sia del Pd che dei 5S è sottoporre la proposta al vaglio del Parlamento, con un dibattito e un voto che metterebbero in piena luce le falle e i punti deboli di un’intesa che in molti punti chiave è a dir poco nebbiosa. Ma se Giorgia ha i suoi guai Edi Rama non sta messo meglio. L’opposizione, lì di centrodestra, attacca a testa bassa: “Il governo Rama non deve trasferire in Albania la crisi italiana dei migranti”.

L’Europa, il Parlamento italiano, l’opposizione albanese sono tutti problemi con i quali la mossa a sorpresa tenuta coperta per settimane dalla premier italiana e svelata due giorni fa dovrà fare i conti. Ma nessuna di queste minacce, neppure il verdetto di un’Europa tenuta a freno dall’alleanza Meloni-von der Leyen, è quella principale. Il guaio vero aspetta l’accordo all’interno “della Nazione”. Proprio come nel caso del decreto Cutro, i profili di incostituzionalità sono palesi.

Si tratterà comunque, infatti, di una misura di privazione della libertà, che, a norma di art. 13, dovrebbe essere vagliata da un giudice entro 48. Per aggirare le previste critiche il governo ha già chiarito che quei campi saranno comunque sotto la giurisdizione italiana, un po’ come Guantanamo insomma.

Però, a parte la confusione tecnica nella ripartizione dei compiti tra polizia italiana in trasferta e forze dell’ordine albanesi, non è facile immaginare magistrati spostati in pianta stabile su territorio albanese per garantire il rispetto dei diritti costituzionali dei richiedenti asilo. Il problema non riguarda solo i magistrati ma, a maggior ragione, gli avvocati dei richiedenti asilo, per i quali fare ricorso in caso di richiesta respinta dall’Italia sarà infinitamente più difficile e dunque lesivo dei diritti costituzionali degli immigrati.

A falciare l’ennesima trovata confusa, caotica, abborracciata del governo in materia d’immigrazione saranno prima di tutto gli inevitabili ricorsi presentati ai tribunali italiani. Non che siano queste le uniche falle di quello che il ministro degli Esteri Tajani, senza temere l’iperbole, definisce “un fatto storico”. Basti pensare al pasticcio delle famiglie, che finiranno per forza divise per 18 mesi dal momento che per i minori non è previsto il “dirottamento” in Albania.

Il tutto con scarsi o nulli vantaggi sul piano pratico, essendo 38mila persone l’anno una cifra troppo esigua per aggredire davvero il problema, e ad alto costo, perché bisognerebbe finanziare una vera unità di missione in Albania. Perché, allora, la premier ha scelto una strada così tortuosa e infida? La risposta è semplice: perché sul fronte immigrazione è disperata.

Dal dl Cutro al memorandum con il tunisino Saied ha collezionato solo fallimenti, gli arrivi si sono impennati nell’ultimo anno, i sondaggi rivelano che il fronte meno apprezzato del lavoro del governo è proprio l’immigrazione, cioè il cavallo di battaglia di chi al governo si trova oggi. La premier ha bisogno a tutti i costi di qualche risultato, ma è possibile che anche stavolta finisca invece contro un muro.

8 Novembre 2023

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