"Genocidio per voyeur"

Massacri social del virtue signaling, dalle stragi a Gaza ai party nell’appello di Motaz Azaiza: “Non vogliamo la vostra pietà”

L'appello del reporter palestinese ripreso in tutto il mondo: "Le persone condividono le mie storie e le mie foto e nelle storie successive si divertono. Non c’è bisogno di condividere nulla"

News - di Antonio Lamorte - 2 Novembre 2023

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Palestinian rescuers try to pull an injured boy out of the rubble of a destroyed building following an Israeli airstrike in Bureij refugee camp, Gaza Strip, Thursday, Nov. 2, 2023. (AP Photo/Mohammed Dahman) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain LAPRESSE
Palestinian rescuers try to pull an injured boy out of the rubble of a destroyed building following an Israeli airstrike in Bureij refugee camp, Gaza Strip, Thursday, Nov. 2, 2023. (AP Photo/Mohammed Dahman) Associated Press/LaPresse Only Italy and Spain LAPRESSE

“Leggere + riflettere”, vedere e farsi una domanda prima di postare, possibilmente. Motaz Azaiza lo ha scritto in una delle sue stories: una delle tante con le quali tramite i social network sta documentando e raccontando le stragi in corso a Gaza, dove continua l’offensiva di Israele in risposta agli attacchi dei terroristi di Hamas dello scorso 7 ottobre. La sua considerazione è qualcosa che cade un po’ dal cielo, che potrebbe cogliere impreparati da questa parte del mondo. Ma come? Non è quello che cerca, che dall’altra parte del mondo, nell’Occidente al sicuro, vengano condivise le sue immagini di massacri, persone, uomini donne e bambini insanguinati, ricoperti di cenere, sporchi di polvere e calcinacci mentre recuperano corpi di amici e familiari dalle macerie dei palazzi colpiti o accompagnano altri feriti in ospedale?

Netanyahu lo ha ripetuto più volte nei giorni scorsi: nessun cessate il fuoco. Anche se nelle mani di Hamas ci sono oltre duecento ostaggi e l’organizzazione ha detto più volte che si potranno intavolare trattative per il rilascio soltanto con una tregua. E secondo l’organizzazione terroristica – dati impossibili da verificare – sono oltre novemila i morti palestinesi, 1.400 quelli israeliani, 242 gli ostaggi. Nella Striscia mancano beni di prima necessità, viveri e acqua potabile, carburante, gli ospedali sono al collasso, saltano l’elettricità e internet, tanti sfollati non sanno dove andare tra gli ordini dello Stato Ebraico a dirigersi a sud e quelli di Hamas a non muoversi. Una carneficina.

I reporter nella Striscia di Gaza

Motaz Azaiza ha in una misura provocatoria e suggestiva benedetto una delle interruzioni di internet. È una delle fonti più citate e scandagliate dai media in questi giorni, è passato da qualche migliaio di follower a quasi dodici milioni è mezzo su Instagram. È un reporter e fotografo, lavora per l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA, The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East). I suoi video sono spesso anticipati dall’avvertenza che segnala contenuti espliciti: riprende gli effetti delle bombe su uomini, donne e bambini. Pochi giorni fa Vogue Arabia gli ha dedicato una copertina. È diventato seguito e condiviso in tutto il mondo.

 

 

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Dal 7 ottobre nessun giornalista internazionale può entrare a Gaza, il governo israeliano ha chiuso il varco di Erez, l’unico utilizzabile in passato per entrare nella Striscia. Sono rimasti soltanto i giornalisti palestinesi. Sono dipendenti fissi di grandi agenzie come AP, BBC, Reuters e Al Jazeera. Più spesso sono collaboratori. Sono le uniche fonti, non esenti dalla fatica di sopravvivere a un assedio. Alcuni sono morti sotto le bombe anche loro. È grazie a questi se ci arrivano le immagini di quello che sta succedendo. Qualcosa che andrebbe maneggiato con cura, come ha dichiarato Motaz Azaiza.

L’appello di Motaz Azaiza

“Non siamo soltanto noi a vedere le persone di Gaza – anche loro vedono noi. Mischiare le immagini della vostra vita ordinaria con le immagini del loro straordinario dolore li ferisce duramente. Gaza non dev’essere un genocidio da voyeur a senso unico. Ci sono persone reali dall’altra parte che vedono. Siate consapevoli di quello che postate e di come questo possa farli sentire”, ha scritto in una storia di qualche giorno fa dopo aver respinto le richieste di interviste di media da tutto il mondo: ha risposto che il suo lavoro è quello che sta facendo sul campo. Qualche giorno dopo è tornato sul punto.

Internet è saltato di nuovo e, che mi crediate o no, ero felice. Perché dopo quello che abbiamo mostrato al mondo la risposta è stata semplicemente: siamo tanto dispiaciuti e nessuno ha fatto nulla. Le persone condividono le mie storie e le mie foto e il post successivo nelle loro storie si divertono. Quindi, non c’è bisogno di condividere nulla e non vogliamo la vostra pietà!”. Si chiama virtue signaling, per il Cambridge Ditionary che cita esplicitamente i social è “un tentativo di dimostrare agli altri che sei una brava persona” e “l’abitudine moderna e popolare di indicare che si possiede virtù semplicemente esprimendo disgusto o favore per determinate idee politiche o avvenimenti culturali”.

Un appello quantomeno da ascoltare in questa parte del mondo, certo in qualche modo paradossale anche questo. E però la guerra in Medio Oriente è diventata subito e prevedibilmente una questione ideologica, di tifoserie. Ci ha messo pochissimo a diventare una questione da influencer che neanche citano fonti, che nemmeno rimandano a testi o reporter di guerra o esperti per i loro spiegoni e il loro infotainment di quattro slide messe in croce e imprecise. Motaz Azaiza ce l’ha anche con le persone normali, non solo con i media o con chi lavora con i social. Non c’è alcuna virtù senza delicatezza, una strage non deve diventare un’altra occasione di auto-promozione. “Non è necessario condividere nulla”.

2 Novembre 2023

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