Il seggio a Monza
Galliani vince a Monza ma tra Meloni, Mediaset e Forza Italia senza Berlusconi si è rotto l’asse
Sia da Cologno Monzese che da Palazzo Chigi negano le tensioni, ma la sensazione è che il problema sia più serio di quanto sembri. La scomparsa di Berlusconi fa la differenza
Politica - di David Romoli
Per eleggere Berlusconi, o per provare a contrastarlo, un anno fa a Monza era affluito il 70% degli aventi diritto: un record. Per sostituire il compianto, stavolta, si è mosso solo il 19,23% degli elettori. Se non è un record negativo poco ci manca.
Certo in questo caso si trattava di elezioni suppletive, prova nella quale l’affluenza rasoterra è una costante, ma è ugualmente impossibile evitare la sensazione che non sia solo Adriano Galliani, che si profila vincitore più o meno con la stessa percentuale del Cavaliere, intorno al 51%, a scaldare i cuori molto meno del sovrano d’Arcore ma tutto il partito che Berlusconi aveva creato a sua immagine e somiglianza e che adesso, nonostante Tajani stia dando una prova superiore a molte attese, si ritrova senza volto e forse anche senz’anima.
In Trentino la situazione è tutta diversa ma la musica non cambia. Il leghista Fugatti ottiene una vittoria facile, del resto come amministratore lo stimano tutti, e la Lega, sommando i propri voti a quella della Lista Fugatti, perde quota rispetto alle precedenti elezioni ma sta comunque intorno al 22%, dieci punti oltre FdI al 12%. Il Pd col 16% è il primo partito, senza tener conto della Lista civica del vincitore. Per Fi invece il risultato è cupo: 2% o poco più. A Bolzano, Alto Adige, una piccola sorpresa c’è stata: l’onnipotente Sudtiroler resta sovrana ma al 34,5%, in calo di 7 punti rispetto a cinque anni fa.
Tra i partiti nazionali il meglio piazzato è FdI, che con il 6% doppia la Lega al 3% supera il Pd fermo al 5% e si accinge a governare con la Sudtiroler. Ma Fi, come sull’altra sponda il M5S, resta fuori dal consiglio comunale. Per capire le tensioni nemmeno troppo sotterranee di questi giorni, più che alle vicissitudini boccaccesce dell’ex firstgentleman Giambruno, bisogna guardare a questo sfondo. Le tensioni, sia dagli spalti Mediaset che da quelli di palazzo Chigi , le negano tutti e come capita sempre in questi casi la negazione ottiene l’effetto contrario: diffonde la sensazione che il problema sia anche più serio di quanto non appaia.
Perché i segnali si moltiplicano. Ieri da palazzo Chigi sono arrivate voci senza alcuna sordina sull’irritazione della premier nei confronti del sottosegretario con delega all’Editoria Barachini, reo di aver nominato Giuliano Amato presidente del Comitato che dovrebbe studiare l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’editoria, ma reo soprattutto di averlo fatto senza avvertire, più precisamente senza chiedere il permesso, alla presidente del consiglio. Giovanni Donzelli, che sarà pure scalmanato come pochi ma è anche responsabile dell’organizzazione di FdI e nella cerchia stretta della premier, avverte commentando il noto fattaccio che non c’è “nessun riguardo per Mediaset” ed è un messaggio chiaro.
Non significa, sia chiaro, che nel suo furioso messaggio domenicale Meloni parlasse di Fi quando si è scagliata contro quelli “che rotolano nel fango mentre noi continuiamo a volare alto”. Lì ce l’aveva davvero con i giornalisti che rovistano nella sua vita privata, con i partiti dell’opposizione che non disdegnano quella poco onorevole strategia offensiva, faceva propaganda e dava l’ennesima prova di quel vittimismo da cui è palesemente affetta. Il problema però c’è davvero e si spiega proprio con i risultati elettorali di cui sopra e con quelli prevedibili. Un anno fa il governo non avrebbe potuto manifestare altrettanta insofferenza nei confronti degli interessi Mediaset.
A fare la differenza è la scomparsa di Berlusconi. Sul pallottoliere Fi, partito emanazione dell’azienda, è ancora in grado di far cadere il governo. Ma mentre finché c’era Silvio poteva sperare di sopravvivere allo sgambetto ora non può più nutrire simili speranze: il potere di condizionamento che il partito azzurro esercitava, e che la premier ha sempre vissuto con malcelato fastidio, è oggi un’arma spuntata. “Se Fi esplodesse i suoi voti in massima parte passerebbero semplicemente a noi”, commenta sicuro un dirigente tricolore.
Non è detto affatto che lo scabroso e assai increscioso affaire Giambruno sia direttamente collegato a questa tensione che si è palesata quando il governo ha varato la tassa sugli extraprofitti bancari che penalizzava Mediolanum e da allora ha continuato a montare. Ma quella tensione esiste e Mediaset si trova a dover fare i conti con un governo certamente amico ma non più dipendente.