La caccia all'immigrato
La riduzione del danno
Ributtarne in mare mille non impedisce che ne arrivino centomila, e poi perché trattarli tutti da potenziali terroristi è un ottimo modo per fare che un po’ diventino terroristi davvero.
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Un errore madornale possiamo farlo in scioltezza (lo stiamo già facendo): attribuire i fatti terribili e sanguinosi di questi giorni alle presunte istigazioni immigrazioniste di chi vuole la sostituzione etnica, e adoperarli per reclamare il pugno di ferro con gli immigrati. Quanto questa impostazione sia insensata dovrebbe essere compreso da tutti, perché un conto è pretendere attenzione e investimenti per la tutela dell’ordine pubblico, per il rafforzamento e l’affinamento dell’intelligence, eccetera: e un altro conto è spacciare che per contrastare il pericolo terroristico devi tenere diciotto mesi in galera un immigrato senza documenti, o rispedire nel Paese di origine il ventenne che è qui da noi da quando è adolescente e nel frattempo si è messo a studiare e a lavorare regolarmente.
Tra l’altro, proprio il riemergere di quei pericoli e proprio, purtroppo, la tragica esplosione di quel tipo di violenza, dovrebbero indurre a considerare quanto sia importante coltivare e promuovere l’integrazione di quelli che arrivano qui anziché ricorrere alla politica, oltretutto inefficace e anzi controproducente, che li vuole alternativamente ributtati in mare o messi nel carcere chiamato centro di accoglienza. Innanzitutto perché ributtarne in mare mille non impedisce che ne arrivino centomila, e poi perché trattarli tutti da potenziali terroristi è un ottimo modo per fare che un po’ diventino terroristi davvero.
Questo significa che non bisogna applicare le nostre leggi? Vuol dire lasciar correre la violenza? Vuol dire non esercitare con forza e con la necessaria determinazione i poteri dello Stato? No, no e no. Vuol dire comprendere che se vieti la costruzione di una moschea e li obblighi a pregare in uno scantinato è più facile che da quel buco esca uno che poi commette uno sproposito. Vuol dire che se gli offri la piantagione schiavista e i dormitori negli accampamenti di fango e lamiera c’è caso che alcuni di loro siano assoldati da chi ha interesse a mettergli un coltello in mano per farla pagare all’Occidente figlio di Satana.
Vuol dire che per scovare il terrorista rinunci ad allearti con l’assoluta maggioranza dei migranti che vorrebbe soltanto vivere e lavorare. Vuol dire fare confusione, fare casino, creare una febbre inutile dove semmai c’è bisogno di freddezza e lungimiranza. Vuol dire dare la caccia al terrorista passando per la caccia all’immigrato, ed è veramente l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. L’ultima di cui abbiamo bisogno anche, e forse proprio, in termini di sicurezza.