La logica del disprezzo

Vite ammassate in centri pollaio, così i migranti vengono trattati come scarti

Vite ammassate in centri pollaio, privi di servizi di assistenza legale. Misure vessatorie anche per i minori. Il terzo dl targato Meloni è una deroga a norme, convenzioni, alla Costituzione. E all’umanità

Editoriali - di Gianfranco Schiavone

11 Ottobre 2023 alle 15:30

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Vite ammassate in centri pollaio, così i migranti vengono trattati come scarti

Era appena iniziato in Parlamento l’esame del secondo decreto legge del Governo sull’immigrazione, il DL 19.09.24 n.124 (il primo è stato il decreto Cutro convertito in L.50/23), che fulmineo ne arriva un terzo: il D.L. 6 ottobre 2023 n.133. Il tutto in violazione, ancora una volta, del fondamentale, ma negletto precetto costituzionale che autorizza il Governo ad adottare decreti legge solamente quando ricorrano i presupposti “i casi straordinari di necessità e urgenza” fissati dalla Costituzione (art.77 co.2).

Per ragioni di spazio esaminerò solo quegli aspetti del nuovo decreto che permettono di cogliere la cupa visione culturale che sottoposta alla nuova normativa. All’art. 7 del nuovo decreto si consente “in tali casi, tenuto conto delle esigenze di ordine pubblico e sicurezza” connesse alla gestione dei flussi migratori, di “derogare ai parametri di capienza previsti per le strutture di accoglienza (…) nella misura non superiore al doppio dei posti previsti”. Quali sono “tali casi”? Nient’altro che “gli arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti” (d.lgs142/15 art.11) che autorizzano l’apertura dei CAS.

La possibilità di una deroga temporanea dei parametri abitativi non viene dunque collegata a una situazione di crisi temporanea da superare il prima possibile, bensì si introduce una sorta di deroga strutturale e di fatto permanente alla capienza delle strutture; laddove ci stavano 50 persone d’ora in avanti ce ne staranno dunque 100; dove stavano in 100 ci staranno d’ora in poi in 200, e così avanti, operando una magica moltiplicazione dei posti di accoglienza, invece di attuare un piano di crescita del sistema di accoglienza secondo una logica di sostenibilità sociale e di equa distribuzione territoriale. I requisiti di abitabilità degli alloggi, l’agibilità degli spazi, i requisiti igienico-sanitari; tutto salta per questa categoria di sotto-uomini o vite di scarto che sono i migranti, che, diversamente da noi, possono dunque vivere ammassati uno sull’altro non per una temporanea e straordinaria mancanza di posti in un dato luogo, ma perché attivare luoghi di accoglienza idonei a ben guardare non serve proprio.

E’ evidente in ciò la violazione del principio costituzionale di eguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione, nonché della riserva di legge di cui all’art. 10 comma 2 (v’è totale discrezionalità amministrativa nel decidere, senza alcun criterio predeterminato per legge, quando avvalersi del trucco della magica moltiplicazione dei posti). Collocare strutturalmente le persone in condizioni che violano i requisiti di abitabilità è altresì costituzionalmente illegittimo anche per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto dall’art. 3 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. L’ammassamento delle vite ritenute di scarto è però del tutto coerente con la previsione, già presente nella norma, di fornire nei CAS solo “servizi essenziali” (D.lgs 142/15 art.11 co.1), nonché, come disposto dalla L.50/23, di cancellare del tutto nei centri i servizi di informazione legale e quelli di assistenza psicologica, nonostante l’evidente contrasto di tale scelta con quanto previsto dalla Direttiva 2013/33/UE.

La stessa logica di disprezzo traspare nei confronti dei minori non accompagnati, sia per ciò che attiene la loro accoglienza, sia per ciò che attiene l’accertamento dell’età. All’articolo 5 del decreto legge si confermano i principi generali sulla base dei quali condurre l’accertamento dell’età che “è effettuato dalle equipe multidisciplinari e multiprofessionali previste dall’Accordo sancito in sede di Conferenza Unificata di cui all’art. 9 co.2 lettera c) del d.lgs.281/97 recante il Protocollo multidisciplinare per l’accertamento dell’età”.

Subito dopo però viene introdotto un nuovo comma che stravolge tutto prevedendo una procedura derogatoria destinata nei fatti a sostituire la procedura ordinaria. Si dispone infatti che “in caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati a seguito di attività di ricerca e soccorso in mare, di rintraccio alla frontiera o nelle zone di transito di cui all’articolo 28-bis, comma 4, del d.lgs 25/08, di rintraccio sul territorio nazionale a seguito di ingresso avvenuto eludendo i controlli di frontiera“ alle autorità di pubblica sicurezza viene attribuita la scelta se “disporre nell’immediatezza, lo svolgimento di rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici, volti all’individuazione dell’età, dandone immediata comunicazione alla procura della Repubblica presso il Tribunale per le persone, per i minorenni e le famiglie che ne autorizza l’esecuzione in forma scritta”.

La cautela sulle procedure di accertamento dell’età e dunque l’obbligo di applicare un approccio multidisciplinare complesso (che non è fastidiosa burocrazia ma strategia obbligata per ridurre errori dagli esiti nefasti) svanisce nel nulla e subentrano accertamenti indicati in modo generico e forse applicabili persino in alternativa tra loro (solo misurazione del polso, metodologia i cui forti limiti è stata da tempo evidenziata dai più autorevoli studi scientifici? Solo rilievi antropometrici? E cosa si intende?) La nuova norma sembra violare in modo palese il principio di ragionevolezza come elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto si prevedono procedimenti e standard diversi per conseguire il medesimo obiettivo, ovvero condurre in modo rigoroso l’accertamento dell’età.

È evidente che la conseguenza dell’applicazione della deroga verso la gran parte dei minori, “colpevoli” solo di essere arrivati in Italia, avrà come esito un esame della loro età del tutto approssimativo con altissimi rischi di errore. Già con la Sentenza del 21.07.22 nella causa Darboe e Camara c. Italia (Ricorso n. 5797/17) la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo aveva condannato l’Italia per il caso di un minorenne che, nonostante avesse dichiarato di essere minore, era stato ospitato a lungo nel centro di accoglienza per adulti di Cona (VE) ed era stato sottoposto a una approssimativa procedura di determinazione dell’età. Già allora il Governo italiano si era difeso usando il tradizionale argomento della emergenza dovuta al grande numero di arrivi, ma la Corte aveva invece evidenziato come “le difficoltà derivanti dall’accresciuto afflusso di migranti e richiedenti asilo, in particolare per gli Stati che costituiscono le frontiere esterne dell’Unione europea, non esonerano gli Stati membri del Consiglio d’Europa dai loro obblighi” (par.182).

Non meno allarmante è la previsione in base alla quale “il verbale delle attività compiute, contenente anche l’esito delle operazioni e l’indicazione del margine di errore, è notificato allo straniero e, contestualmente, all’esercente i poteri tutelari, ove nominato, ed è trasmesso alla procura della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nelle quarantotto ore successive. (…) Il predetto verbale può essere impugnato davanti (allo stesso) tribunale entro 5 giorni dalla notifica, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del c.p.c”. Il presunto adulto che vorrà contestare l’attribuzione dell’età si troverà però chiuso nel frattempo in un hotspot o collocato in uno dei novelli centri-pollaio, privi, come evidenziato, di ogni orientamento legale; come potrà dunque comprendere cosa gli sta succedendo, reperire un legale e agire a sua difesa nell’irragionevole termine di 5 giorni? La violazione del diritto di difesa appare decisamente macroscopica.

Le nuove disposizioni applicate nell’ambito delle nuove procedure accelerate di frontiera presentano un rischio altissimo di violazione del tassativo (ma ora aggirabile) divieto di non respingimento dei minori di cui all’art. 19 del T.U. sull’Immigrazione. Il nuovo decreto permette infine di collocare i minori almeno sedicenni in centri per adulti (nel frattempo magicamente raddoppiati nella capienza) per un tempo massimo di 90 giorni. Il Governo ritiene di risolvere così, con la solita disposizione furbetta, il problema, sollevato da tutti gli Enti Locali, della grave mancanza di posti per l’accoglienza dei minori non accompagnati, confidando che la maggior parte di essi, come avviene da tempo, si disperdano rapidamente verso altri paesi europei.

La nuova norma appare però del tutto non conforme all’art. 20 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia che stabilisce che un minore privo del suo ambiente familiare debba essere collocato in affidamento familiare o in strutture specifiche per minorenni. Altresì sussiste la violazione della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti asilo che all’art. 24 prevede che le strutture di accoglienza per i minori possano essere sezioni delle stesse strutture per adulti ma solamente se ciò “è nel loro interesse superiore” (art.24 par.2) e non certo in conseguenza di disfunzioni organizzative che nulla hanno a che fare con il superiore interesse del minore.

Con sentenza del 31.08.23 l’Italia è stata appena condannata dalla Corte Europea per i diritti dell’Uomo (causa M.A. c. Italia) per violazione dell’art.3 CEDU (trattamenti inumani e degradanti) in ragione della lunga permanenza di una minore non accompagnata in un centro per adulti a Como. La Corte ha riscontrato una “prolungata inazione delle autorità nazionali riguardo alla sua situazione [della minore] e ai suoi bisogni di minore particolarmente vulnerabile” (par.48). Un richiamo caduto nel vuoto.

11 Ottobre 2023

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