Il voto
Salario minimo, il Cnel di Brunetta si spacca ma passa il documento che boccia la proposta dei 9 euro l’ora
Economia - di Carmine Di Niro
Come ampiamente prevedibile e previsto il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto dall’ex ministro Renato Brunetta, ha sostanzialmente bocciato la proposta di legge relativa all’introduzione in Italia del “salario minimo”, diventato negli scorsi mesi un cavallo di battaglia delle opposizioni (Pd, Movimento 5 Stelle, Avs, Azione e +Europa, con la sola eccezione di Italia Viva) che avevano proposto una soglia minima di legge da fissare a nove euro lordi l’ora.
Il Cnel ha approvato oggi a maggioranza il documento finale: su 62 componenti presenti (su 64), 39 hanno votato a favore e 15 contro, 8 consiglieri si sono astenuti. A votare contro sono stati i rappresentanti dei sindacati Cgil, Uil e Usb, oltre a cinque esperti tra quelli nominati dal presidente della Repubblica (ne nomina otto).
Il Cnel è formato da 10 esperti tra cui economisti, sociologi e giuristi (di cui 8 sono nominati dal presidente della Repubblica e 2 dalla presidenza del Consiglio dei ministri); 22 consiglieri sono in rappresentanza dei sindacati per i lavoratori dipendenti, 9 in rappresentanza degli autonomi, 17 in rappresentanza delle associazioni datoriali e 6 del terzo settore.
Dunque al momento del voto c’è stata una importante spaccatura. In particolare i cinque esperti nominati dal Quirinale che hanno espresso parere contrario al documento finale avevano presentato a loro volta una proposta per introdurre solamente una sperimentazione del salario minimo a partire dai settori più critici, quelli con retribuzioni più basse e ad alto rischio di lavoro povero: idea che però non è passata.
Il documento approvato dal Cnel sostiene in sostanza che il salario minimo “non risolverebbe” la questione del lavoro povero: per garantire salari adeguati la ricetta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è invece quella di una maggiore contrattazione collettiva. Brunetta ha difeso il documento approvato, “in linea con la tradizione di questa istituzione che ha sempre creduto nella buona contrattazione“, criticando il leader della Cgil Maurizio Landini, per il quale non sarebbe il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro la sede per risolvere il problema. “Noi siamo pienamente in linea con la Costituzione che affida al Cnel questi compiti, molto più della prassi degli incontri nella sala verde di palazzo Chigi“, le parole dell’ex ministro.
In realtà anche l’affidamento totale alla contrattazione collettiva, che copre secondo una indagine della fondazione Adapt il 97 per cento del totale dei lavoratori (escludendo però chi la lavora nell’agricoltura e nel lavoro domestico), ha delle falle importanti. Consente ad esempio ai datori di applicare i cosiddetti “contratti pirata”, negoziati da piccoli sindacati poco rappresentativi con l’obiettivo di pagare di meno lavoratrici e lavoratori, un metodo molto diffuso in particolare nella logistica.
Pur non essendo vincolante, il “no” del Cnel alla proposta di salario minimo è un grosso assist politico alla premier Giorgia Meloni: lo scorso 11 agosto la presidente del Consiglio, sotto il pressing delle opposizioni e con una buona parte dello stesso elettorato di destra che si diceva nei sondaggi favorevole alla proposta, aveva incaricato il Cnel di Brunetta di elaborare entro 60 giorni un “documento di osservazioni e proposte” sul salario minimo legale, in tempo utile per la legge di bilancio.
secondo quanto filtra alle agenzie, la maggioranza dovrebbe rinviare in commissione il documento del Cnel per un approfondimento: la maggioranza sarebbe orientata ad avanzare la richiesta la prossima settimana, quando è prevista la discussione in Aula alla Camera del ddl sul salario minimo mercoledì mattina.
In ogni caso per le opposizioni la spaccatura emersa in sede di voto al Cnel è un primo segnale. “Il tentativo della presidente Meloni di usare il Cnel per affossare la proposta di salario minimo delle opposizioni è miseramente fallito“, le parole della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. “L’esito delle votazioni sul documento finale sancisce una divisione così forte all’interno del Cnel da far si che le conclusioni offerte al governo ne risultino fortemente indebolite“, ha aggiunto la leader Dem, che promette: “Aspettiamo al varco governo e maggioranza. Non ci stancheremo di incalzarli se decideranno di fuggire, ancora una volta, rimandando il disegno di legge in commissione”.
Dello stesso avviso Giuseppe Conte e Carlo Calenda. Il leader dei 5 Stelle assicura infatti che “con Schlein continueremo la battaglia in Parlamento“. Calenda invece chiama in causa la premier Meloni: “Il Cnel si è spaccato – ha scritto su X il leader di Azione – Ora tocca a Giorgia Meloni dire una parola sulla posizione del Governo e su come affrontare il problema del lavoro povero. Ci eravamo incontrati l’11 agosto con la promessa di una risposta entro sessanta giorni”, auspicando di “evitare se possibile uno scontro parlamentare“.