Parla il parlamentare dem

Intervista a Roberto Morassut: “Destra al capolinea, al Pd il compito di ricostruire”

«Dal blocco navale al fantomatico piano Mattei, Meloni ha dimostrato tutta l’inadeguatezza delle sue proposte. Noi dem dobbiamo ridare speranza a chi soffre e rimettere al centro l’uguaglianza»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

16 Settembre 2023 alle 13:00

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Intervista a Roberto Morassut: “Destra al capolinea, al Pd il compito di ricostruire”

Il messaggio che lancia dalle colonne de l’Unità è chiaro ed è il filo conduttore della nostra conversazione: “Ora tocca a noi. Un movimento democratico per dare speranza a chi soffre”. Ad affermarlo è Roberto Morassut, parlamentare dem, vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti

Dall’estate militante all’autunno “caldo”. Siamo ad un passaggio chiave nella politica italiana?
Con la prossima legge di bilancio si aprirà una nuova fase di questa legislatura. Le promesse della destra e del governo si sciolgono, giorno dopo giorno, come neve al sole. L’incapacità di affrontare con una seria strategia la crisi energetica e la conseguente dinamica dei prezzi ci sta portando in una condizione di stagflazione, con aumento dei prezzi e blocco della crescita. Il Piano Mattei è una fantomatica novella alla quale non crede già più nessuno anche all’interno del governo. L’applicazione del Pnrr è entrata in crisi con le ultime scelte del governo che ha rimodulato 16 miliardi su settori strategici come gli interventi per le periferie e quelli sulla difesa del suolo. Con la tragedia di Brandizzo si è aperto un grande interrogativo sulla gestione delle grandi opere e su un corretto rapporto tra la velocità di realizzazione degli interventi e la tutela e le garanzie per la sicurezza e la dignità del lavoro ma aggiungo anche sulla qualità delle opere fin dalla fase di progettazione e di messa a terra degli interventi. Perché è illusorio pensare che certi segmenti del ciclo creativo e produttivo di un’opera pubblica possano essere ridotti o illusoriamente semplificati fino all’inverosimile, pena la realizzazione di opere scadenti e pericolose e una compressione inaccettabile sui lavoratori in termini di salari e sicurezza.

Si riapre, sulla sanguinosa scia di sangue delle stragi sul lavoro, il tema degli appalti.
Il nuovo codice degli appalti mette al centro il “totem” del risultato e apre la strada ai subappalti in modo tale che esso diventa la pratica prevalente sui cantieri. Purtroppo non ci rendiamo ancora conto che c’è in origine un problema di fragilità delle amministrazioni pubbliche che non dispongono più delle risorse umane e tecniche adeguate per dare le risposte che servono alle imprese e ai territori. E questo non vale solo per le opere pubbliche ma anche per la sanità, la scuola, la pubblica sicurezza. Il governo e la coalizione che lo sostiene non sarà in grado di affrontare con questa legge di bilancio nessuno di questi nodi ne sarà in grado di portare avanti i suoi progetti di revisione costituzionale spacca-Italia, come l’autonomia differenziata, che presuppongono risorse finanziarie che non ci sono. C’è poi l’enorme fronte dei migranti che può risultare una deflagrante carica di destabilizzazione della stessa maggioranza. Siamo alla riaffermazione della linea securitaria. Ora Salvini torna all’idea del blocco navale per superare a destra Giorgia Meloni dopo i suoi clamorosi fallimenti diplomatici in Europa e in Nord Africa. Si torna alla criminalizzazione delle Ong, già introdotta nel primo decreto migranti di inizio legislatura e ad uno scontro con la Germania ma non si ha la forza di rompere con il blocco di Visegrad che si oppone alla revisione degli accordi di Dublino determinando l’alibi anche per Francia e Germania di rivederlo. L’Italia non ha l’autorevolezza per costruire una rete diplomatica che superi questi vincoli, una situazione ed un obiettivo difficile per tutti ma impossibile per questo governo.

Con quale prospettiva immediata?
Ci troveremo in una situazione di grande confusione politica e di sofferenza del Paese che dovremo saper raccogliere e interpretare con una proposta riformista e democratica convincente prima che qualcuno possa raccogliere le inevitabili delusioni con nuove parole d’ordine populiste illusorie e devianti.

La butto giù seccamente. Il Pd di Elly Schlein è attrezzato per far fronte a questa sfida?
In questi mesi con la segreteria di Elly Schlein si è avviato un lavoro importante per riposizionare il Pd nel cuore delle grandi sofferenze sociali del Paese. Su questo Elly ha vinto le primarie: ricollegare il Pd alla società reale e vincere l’immagine di un partito di “establishment” che nella sua responsabilità nazionale ed europea si era quasi del tutto identificato con la dimensione di governo e di potere. Ma penso che al punto in cui siamo, i vari messaggi positivi che abbiamo lanciato nel corso di questa estate in primo luogo su salario minimo e sulla sanità debbano trovare una unificazione in un “racconto” e in un “discorso” al paese che inizi a far percepire i tratti di un’alternativa credibile.

Con quale iniziativa che vada oltre la “democrazia dell’audience”? E poi, non c’è il rischio che il tutto si riduca al rovello delle alleanze?
Dobbiamo iniziare da noi, sapendo che il tema delle alleanze assumerà tratti completamente diversi nel momento in cui il Pd saprà essere, nei fatti, il traino di una diversa possibilità di governo aperto e plurale. Ora occorre cambiare passo e muoversi secondo me in tre direzioni. Un tempo si sarebbe detto che serve la “spinta delle masse” e penso sia una espressione ancora valida.

Quali direzioni?
Occorre dare uno sbocco al malessere di milioni di lavoratori, studenti, imprese e famiglie, offrire un terreno di lotta diretta, un protagonismo attivo che non sia solo lasciarle spettatrici del nostro dibattito interno che senza un fatto nuovo è destinato, come è facile vedere, a ricadere nei soliti stilemi. La spinta della gente cambia le cose, riposiziona gli animi e i giudizi, orienta diversamente anche la comunicazione politica. Sono felice che Elly abbia raccolto a Ravenna una proposta che ho avanzato già prima dell’estate: quella di svolgere per l’autunno o comunque prima della fine dell’anno, a ridosso della legge di bilancio – che non deve restare un processo solo parlamentare – una grande manifestazione “democratica” popolare, con un grande corteo e una conclusione in una grande piazza di Roma. Il Pd ne ha bisogno come l’aria in questo momento e sono certo che avrebbe successo. Quando dico una manifestazione “democratica” non parlo di una manifestazione strettamente di Partito. Certo dovremo starci con le nostre bandiere, orgogliosamente, ma aprire alla presenza di centinaia di realtà territoriali, civiche e associative che si muovono e lottano ogni giorno al nostro fianco ma fuori di noi per cambiare le cose e contrastare le scelte del governo. Una manifestazione democratica che sia anche un seme piantato per avviare finalmente quella Costituente per puntare ad un nuovo soggetto democratico che superi, in avanti, le ristrettezze, le ritualità attuali del Pd e che, come è evidente, sono un ostacolo e un logorìo costante per qualunque possibile gruppo dirigente. Questo passo va fatto, con coraggio. In terzo luogo occorre dare alla nuova Fondazione il profilo di un soggetto di ampio respiro in grado di federare tutte le varie e storiche fondazioni culturali del campo democratico e metterle al lavoro su un programma fondamentale sui grandi temi del mondo moderno e del ruolo dell’Italia in questo contesto mondiale così diverso solo da qualche anno fa. Deve crescere un profilo unitario che metta insieme tutte le giuste azioni settoriali lanciate in questi mesi. Chi siamo noi? Cosa vogliamo fare per affrontare questa crisi?

Belle domande, su cui fin dal suo ritorno in edicola, l’Unità ha sviluppato un dibattito approfondito, plurale, fuori dal politicismo mainstream. Cos’è il Pd?
Noi siamo il movimento democratico della giustizia sociale, delle opportunità per tutti, della crescita, dell’unità del Paese. Un programma riformista che vuole finanziare programmi espansivi per la sanità, la scuola, la casa, il lavoro e la pubblica amministrazione – finalizzata all’efficienza dei servizi – deve anche dire dove trovare le risorse e qui credo che noi si debba affrontare con chiarezza una discussione al nostro interno sulla nostra linea per il fisco. Le nostre proposte vanno bene, sono serie ma manca il “cazzotto” si direbbe in un vecchio gergo sportivo ma anche politico. Sono tra coloro che non disdegnano una riflessione non su una “patrimoniale”, parola che può essere confusa e distorta in mille modi e rigettata contro chi la propone. Ma mi domando: le grandi rendite, i grandissimi patrimoni come partecipano alla ripresa economica del Paese? Se non si affronta, anche con durezza, questo aspetto noi non potremo mai dirci fino in fondo una forza di sinistra e non potremo mai nemmeno affrontare credibilmente l’altro corno del problema dell’evasione fiscale che sta nel diffuso, nella piccola e media evasione del piccolo commercio, dell’artigianato, della piccola impresa che possono partecipare con più consapevolezza se si interviene prima sulle grandi rendite, quelle accumulate in forme faraoniche in questi anni di crescenti ingiustizie e polarizzazione dei redditi, delle rendite e dei patrimoni.

Quello che lei delinea è un riformismo di sinistra.
C’è un carattere di classe, riformista che va riscoperto nella nostra proposta sociale in modo più netto e più chiaro. Se vuoi sollevare chi sta male, chi sta dietro devi saper redistribuire quel che è stato mal distribuito prima. Non ci piove.Lo dico nel cinquantennale del golpe in Cile di Pinochet e della barbara eliminazione di Allende. E bene ha fatto l’Unità a dare il dovuto risalto al leader cileno che oggi tutti ricordano come un martire ma che questo tema poneva per il Cile di allora martoriato e impoverito dalla rapina delle multinazionali e della borghesia cilena ad esse legate. La società non è più quella ma le diversità di redditi e ricchezze forse sono anche aumentate. Noi, in questo mondo qua, non possiamo più permetterci 100 miliardi di evasione all’anno o accettare che la risposta a questo burrone sociale e finanziario possa essere la spaccatura dell’Italia con l’autonomia differenziata. Un fisco nazionale più giusto e un nuovo regionalismo più equilibrato sul territorio che rafforzi soprattutto il Sud con una unica regione forte e popolosa, passando per una unica Zes come propone De Luca – e sono d’accordo – è la via per una progressiva strategia di riforma dello Stato e del patto fiscale tra Stato e territori.

16 Settembre 2023

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