Il solito copione

La lagna di Meloni all’assemblea FDI: “I problemi? Tutta colpa dei governi precedenti”

“Pil da record, occupazione record, centralità internazionale”. Meloni si autocelebra, ma usa toni lividi contro i predecessori ed evoca complotti: “Vogliono defenestrarci, attenti!”

Politica - di David Romoli

13 Settembre 2023 alle 13:00

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La lagna di Meloni all’assemblea FDI: “I problemi? Tutta colpa dei governi precedenti”

“Non sarà un’avventura”: per fare il punto sulla situazione e riassumere il suo accorato intervento di fronte all’assemblea nazionale di FdI la premier e leader unica del partito cita Lucio Battisti. Il suo governo, il governo della destra “non è un fuoco che col vento può morire”. Molto più che nelle conferenze stampa, terreno scivoloso, è questa l’occasione per trarre un bilancio del primo anno di governo: a casa, in un partito che non conosce dissenso e dove l’unico in odore di eresia, Fabio Rampelli, prende la parola solo per esaltare la ex pupilla che lo ha defenestrato.

Persino Ignazio La Russa, per non creare imbarazzi, rinuncia a presiedere il consesso. Qui, senza scettici e maligni, la premier può cantare vittoria, rivendicare risultati eccezionali, addossare alla solita maledetta opposizione ogni eventuale colpa: “Siamo fieri dei risultati che abbiamo raggiunto”, scandisce: “Economia più solida, maggiore credibilità e centralità internazionale, livelli record di occupati, Pil al di sopra della media europea”. E se per la manovra ci sono quattro soldi è “grazie ai nostri predecessori che hanno buttato miliardi tentando di comprare consenso”. Rivendica tutto Giorgia Meloni, persino il dl Rave: tutti lo deridevano ma da allora “non c’è più stato un rave illegale”.

E se il dl Cutro non ha dato frutti a breve è perché a lei “non interessano soluzioni effimere: voglio risolvere il problema in modo strutturale”. Ma se il saldo è tanto positivo, com’è che i toni della premier smentiscono tanto ottimismo? Dice di non “aver tempo per giocare con l’opposizione alla lotta nel fango”, però spende oltre metà del suo discorso per denunciare i rivali senza risparmiare neppure l’accusa di allearsi con lo straniero pur di colpire il governo, e quanto a fango non c’è male. Pullulano le accuse di complotti, fake news, colpi bassi, “inchieste durate mesi su amici e parenti”. Più che le fanfare del trionfo sembra di sentir suonare le sirene d’allarme. È una chiamata alle armi in vista di un futuro livido, quando “il dibattito diventerà anche più feroce, gli attacchi si moltiplicheranno e i tentativi di disarcionarci anche”.

Un po’ è l’eterno vittimismo della destra italiana, in Meloni particolarmente pronunciato: a tratti sembra che rinfacci all’opposizione la colpa grave di non applaudirla. Un po’, anzi molto, è il tentativo da manuale di addossare ai rivali ogni responsabilità: se le cose sembrano andare male è per la propaganda turpe di un’opposizione preconcetta, dove vanno male davvero è per le responsabilità di chi governava prima, cioè dell’opposizione stessa. Ma il malcelato panico, l’insistenza quasi isterica sulle manovre abiette del nemico, non si spiegano solo così.

La premier sente il terreno mancarle sotto i piedi. Nonostante i sondaggi comunque favorevoli. Nonostante l’inettitudine di un’opposizione innocua. Nonostante l’occupazione incontrastata di ogni posto e posticino di potere. A tradirla è la realtà. Non deve guardarsi dai nemici, ma dagli amici del Ppe che la hanno mollata di punto in bianco vanificando tutta la strategia centrata sul cambio di maggioranza in Europa: non un incidente di percorso ma un disastro politico in piena regola. Ad assediarla sono la guerra e le regole europee che si accingono a risorgere e a strangolare ogni sua velleità, ma contro le quali non può tuonare perché della guerra è la prima sostenitrice e alle regole europee si è adeguata come neppure Mario Monti.

A chiuderla nell’angolo è una crisi economica che non solo morde ma morderà sempre di più perché gli effetti della stretta della Bce e della recessione in Germania si faranno sentire davvero solo l’anno prossimo e perché i risultati che vanta sono in buona parte frutto di quelle misure, come il Superbonus, che hanno certamente avuto il loro peso negativo ma anche effetti positivi destinati ora a svanire. A fronte di queste difficoltà effettivamente immense la premier e il suo molto modesto governo non hanno letteralmente idea di come muoversi e si vede. Il riflesso del capo, a parte il solito mix di vittimismo e trionfalismo, è un appello al serrate le file: “La partita che si apre è più dura di quella che si ha alle spalle”. Il partito resterà nelle sue mani: “Il presidente si chiama Giorgia Meloni e finché non deciderete di sostituirmi eserciterò quel ruolo”. Di congresso si parlerà (forse) dopo le europee:Farlo prima sarebbe un errore”.

A gestire il rinnovamento di un partito che “va riorganizzato” sarà un fedelissimo, Donzelli, e per il resto c’è Arianna “che fa politica da quando aveva 17 anni ed è sempre stata penalizzata per il fatto di essere mia sorella”. Un’altra vittima. Quanto agli alleati, pur con una prova proporzionale alle porte si ricordino che “il peso sulle nostre spalle è talmente grave da non consentirci di sprecare energie in eventuali atteggiamenti egoistici”. Tutti, a partire da quelli che hanno preso di mira la tassa sugli extraprofitti che rivendica e le cui finalità esorta a “difendere nel corso della conversione”. Può bastare questo appello a una disciplina combattente per fronteggiare l’assedio di una realtà ostile? Probabilmente no, ma più questo una premier che si sta scoprendo molto più debole del previsto non sa fare.

13 Settembre 2023

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