Parla il vice presidente dem
Intervista a Paolo Ciani: “Lavoratori, donne e migranti: in quelle vite calpestate c’è la crisi della nostra società”
L’Italia dovrebbe essere leader in Europa di un nuovo approccio sulle migrazioni, invece guarda questa vicenda da buco della serratura. Mi viene in mente la frase di Frisch: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
È stato uno degli animatori della Comunità di Sant’Egidio. È tra i fondatori di Demos, Democrazia Solidale, di cui è segretario nazionale, e Vice presidente del gruppo PD alla Camera dei deputati. La parola a Paolo Ciani. Che sulla guerra ha sempre avuto idee chiare e comportamenti politici e parlamentari coerenti: «Occorre dire “basta” di fronte alle armi per contrastare l’idea che la pace sia dei deboli, sia dei fessi sia degli stupidi, utili idioti al servizio di Putin – ha affermato andando controcorrente rispetto ad un pensiero unico bellicista-. È inaccettabile quel ridicolizzare l’interlocutore che oggi va tanto di moda senza capire un fatto fondamentale e cioè che la pace si fa con i nemici. Con chi altro? È questa è l’unica strada. Dobbiamo tener presente che i parlamentari che hanno portato alla nostra Costituzione e all’articolo 11 di ripudio della guerra erano in buona parte partigiani che avevano fatto la guerra, imbracciato le armi, probabilmente ucciso e visto morire arrivando, poi – forse proprio per questo – da padri costituenti, a dire “Mai più!”. Dobbiamo rimettere al centro del nostro impegno questa riflessione comune».
“Naufragi e operai: una Repubblica fondata sulle morti”. È il titolo di apertura di questo giornale a un impegnato articolo di Mons. Paglia.
Un titolo che sintetizza con efficacia e giustezza eventi tragici e tutt’altro che episodici, come ben argomenta Mons. Paglia. Le vicende dolorose di questa estate ci hanno aperto, o riaperto, gli occhi di fronte a delle tematiche di fondo, che sono tali perché riguardano gli esseri umani. Il tema delle migrazioni, che tragicamente nel nostro paese si rivela attraverso i naufragi e i morti in mare, è un tema sul quale l’Italia non riesce ad aprire una pagina nuova. Lo dico in maniera bipartisan. L’altro giorno è scomparso Giuliano Montaldo, il grande regista di “Sacco e Vanzetti”. Il nostro paese dovrebbe essere campione del mondo di migrazioni, proprio per l’esperienza che milioni di nostri connazionali hanno vissuto negli anni. Esperienze segnate anche da tanta sofferenza, dolore, morte, ma anche esperienze di successo, di vite cambiate in meglio, di sostegno al paese di origine attraverso le rimesse. Tante cose che oggi potremmo rivedere nei cittadini di tutto il mondo che provano ad arrivare in Europa. Invece continuiamo a vedere questa vicenda dal buco della serratura, sperando che, non si sa bene come, possa risolversi. Al contrario, ritengo che dovrebbe essere il ruolo dell’Italia in Europa quello di farsi promotrice di un nuovo approccio del nostro continente rispetto alle migrazioni. Un approccio non emergenziale, un approccio intelligente e, aggiungerei, anche “utilitaristico”.
Vale a dire?
In una Europa che invecchia, con paesi spopolati; in un continente alla continua ricerca di manodopera, il tema di flussi che possono essere gestiti e non subiti, mi sembrerebbe la cosa più intelligente. Purtroppo, però, l’Italia non riesce ad uscire da una logica emergenziale e securitaria. Le vicende di questi giorni, anche l’idea di Cutro per cui da una tragedia il governo ha deciso di fare un provvedimento punitivo nei confronti dei migranti, la vicenda stessa delle Ong e del decreto che le ha fortemente penalizzate, le norme che hanno previsto lo smantellamento dell’accoglienza diffusa, va tutto nella direzione opposta. Non ci sono novità in vista, se non l’annunciata moltiplicazione dei numeri sui decreti flussi dei prossimi anni, il che va a dimostrare il fatto che anche il governo riconosce una necessità. C’è bisogno di un radicale cambio di visione, di politiche, ma anche, la dico così, di “rivoluzione” culturale.
Quella che invoca è una “battaglia di civiltà” che unisca idealità e concretezza. Da cosa partire?
Mi viene in mente un’affermazione di Max Frisch: “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. Con questa frase Frisch bollava – a metà anni Settanta – le politiche di reclutamento di manodopera straniera (italiana in larga misura) in Svizzera. Una riflessione che aderisce perfettamente al dibattito odierno e che dovrebbe spingerci a fare un ragionamento rispetto alle persone che arrivano e non rispetto alla ricerca di manodopera. Per il dibattito attuale sembra fantascienza. Ma il fatto che anche il governo riconosca la necessità di far entrare 450mila immigrati in tre anni è una novità significativa, anche se non va dimenticato che la più grande sanatoria di cittadini immigrati irregolari in Italia l’ha fatta la Bossi-Fini.
Altro tema tornato di drammatica attualità è quello del lavoro, e dei morti sul lavoro: la strage di Brandizzo e non solo.
I video che stanno uscendo in questi giorni sono sconvolgenti. Perché dimostrano, cosa che può sempre accadere, che il tema non è l’errore umano o qualcosa che non ha funzionato. Il tema è che questa è la consuetudine. Come la donna morta al telaio a cui era stato tolto il blocco perché potesse lavorare più velocemente. Emerge che questa è la normalità. Coscientemente si fa sì che la vita dei lavoratori non valga nulla o ben poco. Se coscientemente togli quello che potrebbe proteggere la loro vita, di quelle morti sei in qualche modo responsabile, se non sul piano giudiziario, certo su quello politico e mi permetto di aggiungere morale. Aggiungerei il tema della violenza che in questa estate è stata particolarmente efferata. Gli stupri, i femminicidi. Laddove si tocca la persona – morti in mare, morti sul lavoro, violenza contro donne e minori – ciò è la drammatica sanzione di una grande crisi della nostra società.
Perché battersi per il salario minimo o per una diminuzione delle spese militari genera ancora tanto scandalo, anche tra chi si dice progressista?
Un po’ perché si sono affrontati questi temi in maniera ideologica e dal mio punto di vista ciò ha sviato da una giusta lettura delle cose. E’ chiaro che se noi mettiamo come presupposto e al tempo stesso finalità assoluta del lavoro, la massimizzazione del profitto, il primato assoluto dell’impresa e dell’imprenditore, il lavoratore e il salario vengono comunque dopo, in totale subalternità. Viviamo in un paese in cui c’è ancora diffusissimo un tema di lavoro nero, di sfruttamento dei lavoratori. Un tema che non va disgiunto o addirittura contrapposto al salario minimo. Chi lo fa mente due volte. E poi un diffusissimo lavoro sottopagato che il Covid ha disvelato in dimensioni impensabili. A venire giù non sono stati i datori di lavoro che erano in regola con i contributi ai dipendenti, e che sono riusciti a tenere grazie ai ristori, ma quelli che non avevano i lavoratori in regola e, ahinoi, ancor di più i lavoratori che negli anni sono stati sfruttati attraverso il lavoro nero. Io ho conosciuto gente in fila a prendere i pacchi viveri, persone che pensavo potessero essere il mio vicino di casa, il mio compagno di scuola, ai quali chiedere perché stai qua. A diversi di loro l’ho chiesto. Mi hanno risposto: perché lavoro per un noleggio con conducente, con un contratto a 3 ore pur facendo l’orario pieno. Questa è una realtà largamente diffusa. Conosco tante giovani donne che lavorano a 4,5 euro nelle mense, nelle pulizie degli alberghi…Non è possibile questo. Battersi per un salario minimo è battersi per la giustizia, per la dignità.
E lo stesso vale sulle armi. Io credo che una nostra serietà nei rapporti internazionali, di fedeltà a impegni, siano sacrosanti. Ma va subito aggiunto che se non ci fosse stata questa sciagurata guerra russo-ucraina, sono anni che l’Europa vive in pace, che stiamo riflettendo sulla de- escalation delle armi nucleari, sulla loro messa al bando, che dibattiamo su un esercito europeo e quindi di un risparmio rispetto agli eserciti nazionali. Cose più che normali in un’epoca in cui decidere come destinare il budget dello Stato, tanto più in un tempo di crisi sociale ed economica. In un tempo segnato da una crisi del genere, che nessuno può disconoscere, rimettere in discussione le spese militari mi sembra una cosa di assoluta normalità, di certo una delle sfide che la sinistra non solo non deve aver paura di affrontare ma che deve attrezzarsi per vincere. In questo senso, il fatto che la Segretaria del PD, Elly Schlein, si sia detta favorevole al rinvio di 5 anni dell’obiettivo del 2% del Pil per le spese militari, rappresenta un segnale importante che va nella giusta direzione.
La guerra. Anche qui. C’è un mondo solidale che continua a sostenere la necessità di andare oltre la diplomazia delle armi. Perché in Italia chi afferma questo viene tacciato di essere filo-Putin. Pure Papa Francesco…
Anzitutto non esiste la diplomazia delle armi. Le armi servono a fare la guerra e non diplomazia. Purtroppo c’è stato un appiattimento di pensiero, in un primo momento dovuto anche allo shock di vedere l’invasione di un paese libero, sovrano, nel cuore dell’Europa. Era comprensibile una prima reazione. Ma il fatto che, dopo più di un anno e mezzo, aprire una discussione seria, fattiva, sul tema di un cessate-il-fuoco, possa sembrare un cedimento all’invasore russo, è veramente incomprensibile. Dopodiché è altrettanto evidente, per chi conosce e vede i conflitti nel mondo, che la guerra non s’interrompe a soluzione trovata. La guerra s’interrompe e poi si cerca una soluzione. Dire che oggi non dobbiamo parlare con la Russia perché loro sono gli invasori, è sbagliato. Perché prima dobbiamo fermare la guerra e poi trovare la soluzione migliore, più giusta per tutti. La tragedia di guerre che si protraggono da decenni, ci dimostra che la guerra se non la fermi va avanti. E l’idea di poter firmare la guerra con una vittoria militare è irrealizzabile. Per sostenere prima di tutto gli ucraini aggrediti, che hanno subito tantissime perdite e distruzioni, dobbiamo cercare di arrivare quanto prima possibile ad un cessate-il-fuoco. In questo sicuramente il ruolo di Papa Bergoglio è fondamentale, come d’altro canto lo è stato quello dei papi del ‘900 e dell’inizio di questo secolo rispetto alla pace.