Il summit sulla manovra

La maggioranza all’assalto di Giorgetti: “Facciamo più deficit”

La Lega insiste con lo stop alla Fornero, il Ponte sullo Stretto e i Lep. FI rilancia le pensioni minime. Gelo della premier: “Niente grilli per la testa”

Politica - di David Romoli

7 Settembre 2023 alle 12:00 - Ultimo agg. 8 Settembre 2023 alle 11:16

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La maggioranza all’assalto di Giorgetti: “Facciamo più deficit”

La parola impronunciabile, magica e maledetta, che aleggia sul primo vertice di maggioranza con la legge di bilancio in discussione, palazzo Chigi, ore 18.30, è “deficit”. Senza il ministro dell’Economia Giorgetti, primo responsabile della manovra ma assente, ci sono la premier e i vicepremier, incidentalmente leader dei tre partiti di maggioranza, e di fronte a loro i capigruppo dei medesimi partiti. L’assenza del ministro più direttamente interessato è strategica: serve a derubricare il vertice, trasformandolo in ricognizione sulle prossime scadenze parlamentari. Non a caso al posto di Giorgetti c’è Ciriani, il ministro per i Rapporti con il Parlamento.

Ma glissare del tutto sulla manovra non è possibile. Istruiti dai ministri-leader i capigruppo sono qui per esporre, in questa prima ricognizione, la lista dei loro obiettivi, o forse delle loro chimere. La premier li anticipa, ripetendo quando notificato più volte, sia ufficialmente che ufficiosamente, nei giorni scorsi: niente grilli per la testa, nessun sogno di poter usare la manovra, come si faceva ai bei tempi, per garantirsi consensi alle prossime elezioni europee. La situazione è delicata, le prospettive a breve preoccupanti. Calma, gesso e molto risparmio. Il ministro illustra la panoramica, e tra una cosa e l’altra è da brividi.

I capigruppo, consapevoli dei chiari di luna, hanno in tasca le loro proposte di copertura, più o meno realistiche, per le misure reclamate. La Lega vuole almeno passetti avanti sui suoi provvedimenti bandiera: lo smantellamento della Fornero sulle pensioni e le tasse. Va bene non poter fare molto ma qualcosa ci vuole: quota 41 limitata al contributivo ed estensione della tassa piatta per le partite Iva fino a 100mila euro. Non che basti. Servono i soldi per il Ponte sullo Stretto di Salvini e soprattutto per i Lep, altrimenti della autonomia differenziata di Calderoli quasi non vale neppure la pena di parlare. I fondi si possono cercare dove li si è spesso andati a cercare: in un condono fiscale.

Le richieste di Fi sono all’insegna del sociale: pensioni minime da 600 a 700 euro, detassazione di tredicesime e straordinari. Le coperture non ci sono ma basta privatizzare qualcosina, magari molto, forse moltissimo, per risolvere il problema. Ci sarebbe la dismissione delle quote Mps in mano allo Stato, che tanto dovrà avvenire comunque in tempi brevi, probabilmente entro l’anno prossimo, perché questo è stato concordato con Bruxelles. Se non fosse che il ministro Giorgetti è ferramente ostile, pur non avendo chiuso ogni porta alle privatizzazioni. Restano parecchie vendite possibili: i servizi portuali, il trasporto locale e quant’altro.

Ufficialmente si parla di coperture ma la sensazione è che ci si trovi di fronte a un capovolgimento della logica corrente: non sono le coperture che servono a raggiungere gli obiettivi ma questi ultimi che vengono messi in campo per giustificare le coperture stesse. Insomma, l’obiettivo non sembrano tanto le pensioni minime quanto le privatizzazioni in sé. FdI non ha bisogno di alzare la voce per sostenere i propri provvedimenti bandiera. Sono gli stessi della premier, godono di priorità assoluta: il prolungamento del taglio di 7 punti del cuneo fiscale per almeno un anno, le misure a favore di famiglia e natalità. Con le spese militari, una delle principali voci di uscita ancorché pudicamente quasi mai citata, e con il rinnovo del contratto della Pa saranno comunque le misure cardine della manovra austera di Giorgetti.

Però qualcosa per la sanità al collasso bisognerà trovarla. Non i 4 miliardi indispensabili secondo il ministro Schillaci, ma scovare almeno un paio di miliardi sembra proprio imperativo. Al saldo si tratta di una quarantina di miliardi, Giorgetti non vuole andare oltre una manovra da 30 miliardi, e preferirebbe qualcosa in meno. A disposizione ce ne sono in cassa più o meno 7, includendo nel conto la tassa sugli extraprofitti delle banche. Il problema è grosso e non si ferma qui. Il quadro dell’economia, in effetti, non si limita alla manovra. Alla fine di questo mese scadono i sostegni per le bollette di gas e luce. La corsa del prezzo del carburante non si fermerà con la fine dell’estate, non dopo la decisione di Arabia saudita e Russia di confermare i tagli sulla produzione di petrolio fino alla fine di quest’anno.

Insomma almeno in parte i bonus andranno rifinanziati e il problema del carburante, nonostante il no a qualsiasi ipotesi di tetto sulle accise, in un modo o nell’altro bisognerà affrontarlo: forse con un bonus limitato a tre mesi. Diverse decisioni urgono anche in materia di Superbonus. Per evitare che il bonus pesi sul deficit dei prossimi anni, quando sarà tornata la gabbia del patto di stabilità, è necessaria un’ulteriore e drastica stretta: probabilmente limitando il bonus ai redditi Isee più bassi, per la furia dei costruttori e di molti inquilini. Solo che non si possono lasciare i condomini con i lavori a metà e i finanziamenti azzerati, dunque per chi abbia realizzato almeno il 70% delle ristrutturazioni il Superbonus dovrebbe essere prorogato.

Avanzano sempre, secondo i dati dell’Agenzia delle entrate, 35mila euro di crediti generati quest’anno, e quelli andranno per forza nel deficit di quest’anno, per fortuna ancora libero dalla tirannia del patto di stabilità. Ma per quanto la si giri, per quanti dinieghi si oppongano alle richieste dei partiti, alla fine sembra proprio che Meloni e Giorgetti al deficit dovranno fare ricorso, rassegnandosi a contrattare con Bruxelles una revisione del 3,7% sin qui concordato.

Più facile a dirsi che a farsi: i segnali che arrivano al governo sul fronte più nevralgico di tutti, quello del nuovo Patto di Stabilità, indicano che uno spiraglio per la richiesta di scorporare molte spese dal calcolo del deficit, la mano santa in cui spera il governo, ci sarebbe. Ma a tre condizioni: la definizione delle spese scorporabili concordata con Francia e Germania, la sospirata ratifica del Mes e una manovra “seria”, formula che si traduce con “molto austera”. Si compone così, muro su muro, un labirinto perfetto: quello nel quale il governo ha iniziato a inoltrarsi con il vertice di ieri.

7 Settembre 2023

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