La strage di Brandizzo

Morti sul lavoro, intervista a Susanna Camusso: “La vita dei lavoratori e delle lavoratrici viene prima del profitto”

«Allargare la prevenzione puntando sulla tecnologia. Il salario minimo è una necessità impellente, ma lavoro dignitoso non è solo salario»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

3 Settembre 2023 alle 15:01

Condividi l'articolo

Morti sul lavoro, intervista a Susanna Camusso: “La vita dei lavoratori e delle lavoratrici viene prima del profitto”

Le stragi sul lavoro. Una mattanza senza fine. L’Unità ne parla con Susanna Camusso. “Non si può parlare davvero di sicurezza sul lavoro – spiega l’ex segretaria generale della Cgil dal 2010 al 2019, oggi senatrice e componente della Direzione nazionale del Pd – se non andando al cuore del tema: la vita dei lavoratori e delle lavoratrici viene prima del profitto. Precarietà, retribuzioni ingiuste, sfruttamento incidono sulla sicurezza; se il lavoro non è dignitoso e tutelato quel lavoratore, quella lavoratrice è privata della libertà di non mettere a rischio la sua vita”.

“Crocifissi sul lavoro”, titola a tutta pagina questo giornale a commento della morte dei cinque operai travolti da un treno mentre lavoravano sui binari a Brandizzo.
Ad ogni nuova notizia c’è un groppo in gola che non si scioglie, la sensazione che manchino le parole giuste, ma ancora una volta meno male che il Presidente della Repubblica c’è. Bisogna guardare in faccia la realtà: quella sul lavoro è una strage quotidiana, poco nota alle cronache. Si spendono le stesse parole senza affrontare la questione centrale: perché la sicurezza, ovvero la prevenzione dei rischi non è un punto di partenza su cui convergono tutti i temi del mercato del lavoro e dell’organizzazione del lavoro in qualunque settore di attività? Non è solo questione di norme e sanzioni e non basta invocare la cultura della sicurezza ed aumentare la formazione: è giusto ma se le stragi continuano forse bisogna cambiare il punto di osservazione, mettersi in un’altra prospettiva. Nella discussione si trattano lavoratori e lavoratrici come una voce di costo uguale alle altre, non si progetta in quali condizioni lavoreranno ma come si può risparmiare di più, se per avere tempi più brevi si tolgono le protezioni ai macchinari, per ridurre i costi si preferiscono esternalizzazioni e appalti, si cercano non lavoratori stabili, ma a tempo determinato, in stage, o tirocinio. Tutto questo scompare quando si commentano le stragi: si cerca il colpevole. Il nuovo codice degli appalti è stato scritto avendo in mente la sicurezza o il fare in fretta spendendo meno e con meno controlli? In secondo luogo, è difficile classificare delle tragedie umane, ma dobbiamo affrontare la realtà: da decenni le casistiche e le dinamiche della maggior parte degli infortuni, mortali e non, si ripetono. Non è fatalità, non è l’imponderabile, è la mancanza di quell’ossessione per la sicurezza che dovrebbe guidare gli investimenti sulla prevenzione. Abbiamo delle buone leggi, eppure… eppure oltre ad essere rigorosi con controlli e sanzioni bisogna allargare la prevenzione utilizzando le tecnologie. Perché non suona una sirena nel luogo di lavoro o direttamente all’ispettorato se viene tolta una protezione? Perché non ci sono i sensori per evitare che ci siano persone sotto i carichi sospesi? Se i cantieri sono in autostrada o sui binari non si possono dotare di schermi che mostrino il tratto stradale o ferroviario fino a distanze significative? O ancora perché fuori da silos e cisterne non ci sono visibili le misurazioni di concentrazione dei gas? Non sono una tecnologa, ma di queste tecnologie si parla, si conoscono, non hanno più costi proibitivi, ma non sono un obbligo, non vengono utilizzate, non si progetta includendole nell’innovazione o nella manutenzione. Da questo punto di vista il Pnrr, ma anche industria 4.0 diventano occasioni mancate.

A sedici anni di distanza siamo di fronte a una nuova Thyssen. Quello che è successo alla stazione di Brandizzo è inconcepibile, soprattutto a Torino e in Piemonte”. A sostenerlo è Giorgio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte
Tante similitudini: la provincia, la strage, la notte, la rabbia. Anche tante differenze ma soprattutto, come per la pandemia, il senso di vuoto che dà verificare che non abbiamo imparato, che passato il cordoglio non si fanno le scelte necessarie, ed i lavoratori, le lavoratrici si sentono più soli. É una reazione che credo abbiamo avuto in molti: perché non si impara? Perché ci si dimentica non appena si spengono i riflettori? Perché da troppi anni si disserta di costi, di mercato del lavoro da deregolare e non invece di prevenzione, di strumenti per praticarla, di obblighi, di innovazione tecnologica per la sicurezza, perché gli ispettori come i controlli sono diminuiti nel tempo? Perché continua ad essere difficile far riconoscere una malattia professionale.

Il diritto al lavoro, i diritti e le tutele sul lavoro. Una sinistra degna di definirsi tale non dovrebbe fare di questo il centro della sua azione?
Sicuramente la sinistra dovrebbe avere testa e cuore nel lavoro, nella sua cura, nella sua dignità, nella sua sicurezza, che vuol dire anche qualità, ma vorrei dire la democrazia dovrebbe avere al centro il lavoro e la sua dignità. Per questo non si può parlare davvero di sicurezza sul lavoro se non andando al cuore del tema: la vita dei lavoratori e delle lavoratrici viene prima del profitto. Precarietà, retribuzioni ingiuste, sfruttamento incidono sulla sicurezza; se il lavoro non è dignitoso e tutelato quel lavoratore, quella lavoratrice è privata della libertà di non mettere a rischio la sua vita. Come sempre diritti e doveri, la prevenzione è anche precauzione e quindi conoscenza del luogo, degli strumenti delle misure di protezione e del loro utilizzo e quindi formazione, tutto necessario ma non sufficiente come purtroppo anche la strage di Brandizzo dimostra.

Dall’estate turbolenta ad un autunno caldo. L’unità parlamentare delle opposizioni sul salario minimo può trasformarsi in una iniziativa diffusa sui territori e in particolare nei luoghi di lavoro e di maggiore sofferenza sociale?
Certamente, anzi direi deve. Il successo della raccolta firme sul salario minimo dei primi giorni è la conferma che si può e deve ricostruire una relazione stretta tra ciò che si propone in Parlamento e la mobilitazione per sostenerlo. I sondaggi d’opinione nel paese confortano e spronano. Se il salario minimo ha incontrato consenso e disponibilità ad impegnarsi, non dobbiamo però farne un tema isolato, come peraltro esplicitato già nelle proposte per “l’estate militante”. Il salario minimo è una necessità impellente, ma lavoro dignitoso non è solo salari. La mobilitazione sempre più urgente per salvare – bisogna usare questo termine- il servizio sanitario nazionale e pubblico. Non temi slegati e proprio per questo è essenziale che la politica di sinistra sia nei territori, diffusamente ed in modo radicato. Non solo singole campagne ma ascolto ed iniziativa costante.

Non sono numeri, sono vite spezzate. Lei nei tanti anni vissuti nel sindacato ha incontrato i famigliari e i compagni di lavoro dei tanti morti sul lavoro. Cosa le hanno lasciato sul piano umano?
Sono momenti che si scolpiscono nella memoria, momenti fatti di dolore, rabbia, viene trasmesso il senso di distruzione che travolge parenti, affetti, perché non ci si aspetta mai che non si torni a casa dal lavoro, così come sono drammatici i percorsi di chi subisce infortuni gravi che cambiano radicalmente la vita delle persone e di chi gli sta intorno. Momenti in cui senti che ci vuole un abbraccio corale. Eppure resta in sottofondo una domanda: abbiamo davvero fatto tutto quello che era nelle nostre responsabilità? La contrattazione ha tenuto il passo? L’unità dei lavoratori e delle lavoratrici riesce a superare le frammentazioni e gli spezzettamenti dati da esternalizzazioni, appalti, contratti e datori di lavoro diversi? Temo l’effetto delle crisi e la paura per il lavoro. Domande da continuare a farsi su salute e sicurezza si contratta ma come interpretare i cambiamenti che intervengono, i modelli organizzativi che cambiano? Quando abbiamo discusso in Senato del “decreto caldo”, ho posto la domanda, ha senso un decreto spot che non pensa a come è e sarà il lavoro nella crisi climatica? Vale solo una protezione con gli ammortizzatori sociali per chi li ha? Perché un Ryder o un operaio agricolo ma stagionale vivono il caldo diversamente? Ecco questo è cambiare il punto di vista, l’ossessione alla sicurezza sul lavoro sempre.

3 Settembre 2023

Condividi l'articolo